Amore, vado a vedere una partita di pallone. In Texas

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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9 min readMay 16, 2014
aztecs

È sabato sera, e nonostante siano già le 7.30 il sole splende ancora sull’House Park, glorioso stadio anni Trenta degli Austin Aztex. Un misto di curiosità e una buona dose di tempo da buttare mi hanno spinto fin qui per vedere la prima partita della nuova stagione della Premier Development League (il quarto livello americano, tipo una Lega Pro, ma non troppo professionista). La squadra di casa sfida gli Houston Dutch Lion, che sono parte di una sorta di curioso franchising e in qualche modo legati al FC Twente. Gli Aztex sono i campioni uscenti, e c’è un po’ il pubblico delle grandi occasioni, posto che le grandi occasioni sportive qui non sono certo la squadra di soccer della città, fondata appena sei anni fa e già trasferita una volta altrove e poi tornata, ma piuttosto le partite dei vari sport della locale università (UT Austin), una delle più grandi degli Stati Uniti. Ma del resto Austin, capitale del Texas, è l’unica tra le grandi città dello stato (San Antonio, Houston, Dallas) che non ha una squadra NBA, e quindi la febbre del sabato sera di sport qualche migliaia di persone la placano assistendo a una lega minore di soccer, questo sport misterioso ma ormai in crescita anche a queste latitudini. Che è pure vero che c’è anche altro da fare in una delle città più cool d’America, dove la musica dal vivo è diffusa come le fontanelle a Roma (Austin è chiamata The Live Music Capital of the World, e qui si svolge ogni anno il South by Southwest), e gli anni Settanta con le loro frotte di hippie sembrano non essere poi così lontani. Ma insomma, ognuno decide di buttare il proprio tempo come preferisce.

All’ingresso il solito rassicurante cartello “Drug Free — Gun Free”.

doggun

Sul programma ufficiale della partita, invece, ci sono le regole del giuoco del calcio.

regole

La mia richiesta di accredito non ha ricevuto neanche una risposta. “Hi, I am the reporter for the Italian webmagazine Sport Cramps, which also has an agreement with the newspaper Page99” è inspiegabilmente una formula che ancora non apre tutte le porte.

Ma non tutti i mali vengono per nuocere, visto che dalla tribuna stampa, ammesso che ce ne sia una in questo stadio, mi sarei perso la visione da vicino del manipolo di ultras, che ci mettono davvero poco a farmi sentire a casa, accogliendo la conta degli ospiti a suon di fischi e buh. Trattasi di un gruppetto alquanto interessante, con gente di tutti i colori (bianchi, neri, asiatici, latini), vecchi hippie ancora urlanti, bambini alle prime armi, un tizio con la maglietta del St Pauli, e poi c’è lui, il mio nuovo capo ultras preferito.

capoultras

Ha la barba lunga, è grosso come un armadio, e visto che la maglietta con scritto “Speziale libero” era a lavare è venuto con il giubbetto di jeans con la toppa dei Buzzcocks e di Emma Goldman (forza, a googolare, se non sapete di cosa stiamo parlando). È un vero leader, si fa sentire e si dedica senza moderazione a distribuire improperi all’arbitro e ai quattro sfigati tifosi avversari, che vediamo qui sotto, dopo aver già accantonato l’idea di farsi sentire, e messo da parte l’enorme tamburo poco battente.

tifosiavversari

E poi dalla famigerata tribuna stampa mi sarei perso i commenti di questo pubblico meraviglioso, del tipo “Ma questo è davvero un campo di calcio? Sì se riesci a seguire le linee” dato che, come si evince dalle foto, questo è soprattutto un campo per un altro tipo, molto meno divertente, di football, quello che si gioca con le mani e super protetti con parapalle e altro. E mi sarei perso anche la mamma preoccupata che urla agli ultras di non dire parolacce, che ci sono i bambini qui, per dinci!

Ci metto pochi minuti a rendermi conto di aver fatto un terribile errore. La polo arancione forse non era troppo adatta per una partita contro gli Houston Dutch Lions che, prevedibilmente come tutto ciò che è olandese, erano effettivamente vestiti di arancione. Mi spiego allora quegli sguardi cagneschi, e l’ironia velata della signora che mi ha venduto il biglietto (parafraso il dialogo per come me lo ricordo “Senta scusi, ma come funziona, l’halftime show quanto dura? Più di 15 minuti?” “Inutile fastidioso europeo, guarda che sempre a calcio giochiamo qui, non è che le regole sono diverse”) (peraltro, durerà venti minuti, ma non mi sembra il caso di brontolare troppo).

L’entrata in campo delle due squadre avviene in uno stadio ancora mezzo vuoto.

entrataincampo

Accarezzo l’idea di comprarmi una maglietta o sciarpa — che naturalmente siamo nella lega Z ma il merchandising è tipo quello di una squadra di serie A italiana — ma la roba più economica costa 25 dollari. Evitiamo, ché non so quanto torni utile nella vita una sciarpa degli Austin Aztex. Ma nessuno si scandalizza troppo, del resto è pieno di gente vestita con magliette di squadre che di certo non militano in questa lega, come quelle di Ibrahimović, Ronaldo, e per fortuna ce ne sono anche un paio del grande Michelone Bradley (quelli con le magliette di Duncan e Ginobili invece sono fuori strada di qualche chilometro).

bandiere

Dopo l’immancabile inno nazionale cantato dal vivo con mani sul cuore e occhi rivolti alla bandiera (well, le bandiere, visto che quella del Texas è immancabile, in uno stato che è quasi un paese indipendente), i primi dieci minuti sono fasi di studio, che si caratterizzano soprattutto per l’inumana violenza in campo, dovuta non a cattiveria quanto proprio a incapacità di controllare il proprio corpo, e all’afflusso continuo di gente sugli spalti, ché deve esserci una sorta di accordo: voi arrivate pure in ritardo, tanto i primi 10 minuti noi se menamo in maniera scomposta e basta, non succede altro. È anche vero che vada trovata la chimica, visto che si tratta di una squadra completamente rinnovata, dopo i trionfi dell’anno scorso, includo l’allenatore che se ne è andato ad allenare in MLS (per i profani, la serie A americana, mica noccioline).

È una squadra piuttosto giovane, imbottita di nativi di Austin o comunque texani e naturalmente con molti di origine centro o sudamericana — come del resto gli Stati Uniti in generale, che sono sempre più un paese bilingue e con una forte componente ispanica, tanto che persino i Repubblicani se ne sono resi conto e potrebbero candidare un Latino alle prossime presidenziali. La presenza che svetta più di tutti in mezzo al campo, soprattutto nel primo tempo, è però quella dell’inglese Danny Frid, che domina il centrocampo con sicurezza e autorevolezza alla Pogba (magari con i piedi meno buoni, ma son dettagli).

fasedigioco

E insomma non succede nulla per dieci minuti, ma poi, all’improvviso, dalla fascia destra arriva un cross di Cruz Oronos che Chuy Cortes non può che mettere dentro, per il primo gol della squadra di casa. E se per i leoni olandesi ci sono problemi difensivi su entrambe le fasce (ma in realtà come vedremo anche al centro, di lato, di sotto, di sopra, eccetera) i giocatori devono lottare anche un ben più arcigno nemico: le righe per terra. Infatti, non si capisce proprio quale sia la linea dell’out, quella rossa? O che sia la blu? O quella tratteggiata bianca?

E insomma nei primi minuti si susseguono i falli laterali, sia sul lato di Oronos che su quello dell’altro non alto esterno difensivo, l’autore del primo gol Cortes, decisamente due dei giocatori più interessanti. Altri tre gol si susseguono, con una facilità disarmante, nel corso del primo tempo. Il secondo, cross sbilenco dalla destra, e difesa orange — che sembra quella della Roma delle passate stagioni –che non trattiene; il terzo arriva invece da un lancio centrale, ma non sono troppo sicuro di cosa sia successo perché ero andato a comprare un hot dog (pessimo) e uno snow cone (che sarebbe un cartoccio pieno di giaccio triturato condito da sciroppo così poco naturale che sul bottiglione di plastica da cui viene spremuto c’è scritto: “completamente artificiale”). Ma al quarantesimo ecco la classica azione che vale il prezzo del biglietto (dieci dollari, fosse costato di più forse non li sarebbe valsi): Tony Rocha, il più talentuoso dei suoi, si libera con una carambola di tre avversari al limite dell’area, e scaglia il pallone verso l’incolpevole portiere degli avversari. Quattro a zero e partita finita, secondo tempo che si preannuncia, ottimisticamente, noiosetto.

Intanto i leoni olandesi provano ad affacciarsi, con pochissima convinzione, dall’altro lato. Il primo grande ostacolo però è proprio il loro centravanti boa, uno che per tutta la prima parte della partita appoggia sempre la palla dietro, invece di andare verso la porta, e alla prima occasione, al minuto 30, produce una ciabattata talmente brutta che si infortuna e deve essere sostituito.

centravanti

È calcio (soccer, pardon) di una lega minore, ma siamo pur sempre negli USA, e quindi a fine primo tempo va di scena l’halftime show, con una pessima copia degli Offsprings a deliziare il pubblico accompagnato da una terribile amplificazione fasulla, e poi ci sono i tizi che tirano le magliette al pubblico — ho tentato con tutti gli sforzi di scalzare qualche bambino e di prenderne una, ma senza successo.

halftime show

Prevedibilmente, il secondo tempo è una noia mortale, ma mi permette di scoprire una delle robe più deliranti che questo meraviglioso sport declinato in salsa americana ci potesse proporre: il calcio d’angolo sponsorizzato. Il calcio d’angolo sponsorizzato è quella roba per cui quando la palla va in angolo lo speaker si affretta ad annunciare “questo corner kick è sponsorizzato da cazzi e ramazzi indoor facilities di Austin”. Deve portar bene, visto che gli Aztex segnano al primo calcio d’angolo: solito cross bruttino, solita dormita difensiva, solita palla che finisce dentro, con minima deviazione. 5–0, come incredibilmente aveva predetto Nick Barbaro sull’Austin Chronicle, il giornale locale (uno a cui affidare i numeri del Lotto). Con il 5 a 0 arriva anche il prevedibile ma comunque piuttosto divertente “Houston, we have a problem” urlato dai sempre più miei amici ultras locali. Per il resto della partita assisto ad una girandola di sostituzioni, che evidentemente qui il limite a tre non c’è e ogni due minuti entra qualcuno di nuovo confondendomi non poco, incluso un tizio che era convinto che si potesse giocare a calcio bevendo dalla borraccia visto che se ne va in giro per il campo armato di beverone finchè l’arbitro non lo redarguisce. C’è tempo ancora per qualche occasione da gol, inclusa una per i Lions, e per sentire lo speaker che invita il pubblico ad andare al pub a bere con i giocatori a fine partita — o almeno alcuni giocatori, visto che non tutti hanno l’età legale per bere, che per qualche ragione imponderabile qui negli Stati Uniti continua a essere a 21 anni.

C’è gloria solo per gli Austin Aztex a fine partita.

saluti al pubblico

Si è fatto buio su questa città non troppo piccola, non troppo grande. Mi fermo cinque minuti ai bordi del vicino skate park, aspettando che mi venga a prendere in macchina la paziente ragazza che al mio “Amore, vado a vedere una partita di pallone” prima mi ha giustamente riso in faccia e poi mi ha chiesto “No, davvero, sei serio? Calcio a Austin?”.

Cinque minuti a guardare qualche sconosciuto fare acrobazie con mountain bike e skateboard sono più emozionanti dell’intero secondo tempo.

Ma il calcio è vivo e vegeto, anche in Texas.

ultras2

Luca Peretti. B.A. in Modern History from the University of Rome, M.A. in Film Studies from the University of College of London, journalist, film festival organizer, film archivist and researcher, sports addicted. Il tutto pronunciato con accento di Lucca. [http://lucaperetti.wordpress.com/]

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