Ancora uno

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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5 min readJul 3, 2015

Nonostante il cognome che mi ritrovo, con i nodi marinari ho pochissimo a che fare. La notte tra sabato 2 maggio e domenica 3 non so se fosse scorsoio o di Savoia, fatto sta che il nodo che mi si è creato in gola, tutt’ora fa fatica a sciogliersi.
Se doveva finire l’era Duncan-Spurs, Tim avrebbe voluto che finisse così, con un tiro preso in faccia sulla sirena di gara 7, da uno uscito come lui da Wake Forest, da uno che ha sempre manifestato una vera e propria venerazione per il numero 21.

“I told tim how much i loved him. That i was watching him since i was eleven years old.” CP3

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Benedetto (tra mille virgolette) fu l’uragano Hugo che sull’isola di Saint Croix risparmiò il canestro del vicino di Tim, benedetta quella stramaledetta abnegazione in qualsiasi cosa faccia che lo accompagna da quando era in fasce.

La sola serie giocata contro i Clippers (serie di una bellezza e di una drammaticità devastante che entra di diritto nella storia del gioco), lo iscriverebbe nella Hall Of Fame per giocate difensive senza senso e per la capacità di tenere in linea di galleggiamento dei San Antonio Spurs non sempre scintillanti.

Inizia a stoppare i migliori centri del mondo all’età di 17 anni quando annichilisce Alonzo Mourning in una partita di esibizione, a cui prende parte con una raffazzonata rappresentativa locale, per continuare fino a Blake Griffin e De Andre Jordan. In mezzo 3/4 generazioni di giocatori e altrettante evoluzioni nel gioco sotto tutti i punti di vista.

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Lui è sempre stato lì, con la stessa imperturbabile espressione per 18 stagioni, con le 50 vittorie in regular season, più abitudinarie di una brioche e cappuccino alla mattina, con una mano in cui nemmeno un dito è scoperto da anelli.

I numeri che ha collezionato dal 1997 ad oggi (per non parlare di quelli scolpiti nella storia di Wake Forest), andateveli a leggere su Wikipedia perchè sono solo una minuscola punticina dell’immenso iceberg che, alla faccia del surriscaldamento globale, è diventato sempre più grande.

Se quella del 3 maggio fosse stata davvero l’ultima partita di Tim, la pallacanestro non sarebbe stata ufficialmente più la stessa. Prima di ogni palla a due, Duncan si fa passare il pallone dalla terna arbitrale e lo abbraccia per qualche secondo. Sembra quasi che ogni volta voglia sussurragli qualcosa, un dialogo tra lui e la palla, senza che nessuno possa sentirlo. In questo gesto che per gli amanti del gioco ha una componente romantica di assoluto spessore, c’è tanto del Tim Duncan giocatore e vero e proprio monumento di questo sport.

Scrivere degli elogi spropositati nei suoi confronti non rispecchierebbe quello che in realtà è il numero 21.
Molto di quello fatto in questi anni dal nativo di Saint Croix non può essere spiegato a parole e men che meno scritto nero su bianco.

Tim Duncan non è semplicemente un essere che nulla ha a che fare con questa terra, è molto di più, è una vera e propria esperienza che solo pochi eletti hanno potuto vivere dall’interno. Solo chi ha potuto giocare con lui ha conosciuto il suo sconfinato carisma, solo chi ha giocato contro di lui è stato benedetto dal suo commuovente rispetto nei confronti dell’avversario.
Siamo al cospetto di un uomo dall’intelligenza superiore alla media, che su una gamba sola continua a scherzare avversari con la metà degli anni, il doppio dei muscoli e venti volte la sua elevazione.
Un giocatore il cui spessore tecnico dovrebbe essere menzionato nell’enciclopedia Treccani e studiato in tutte le scuole basket di questo mondo.

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Dove né l’intelligenza né la tecnica possono fare tutto, arriva il carattere dell’uomo, sempre tenuto nascosto da una faccia di uno che passava di lì per caso, ma in grado di sfornare prestazioni da libro cuore.
Nel caso steste cercando un uomo franchigia nel mondo dello sport americano, non potete assolutamente distanziavi di molto da Tim Duncan, l’uomo franchigia di quella che rispecchia maggiormente il concetto di franchigia in NBA.

Se vi siete avvicinati alla pallacanestro in questi ultimi 15/20 anni e avete avuto modo di seguire l’NBA, nel bene o nel male non siete potuti rimanere indifferenti davanti agli Spurs di Duncan, Parker e Ginobili (con Pop attore non protagonista) e al termine di gara 7 potrebbe esservi capitato di versare almeno qualche lacrima, consapevoli che un’epoca potrebbe essersi chiusa. Un’epoca in cui un maestro silenzioso ha fatto diventare grandissimi i suoi discepoli.

Tim, così come Manu, dopo la sconfitta in gara 7 con i Clippers disse che “it’s too early” per parlare del proprio futuro, ma se per l’argentino sembra quasi scontato il ritiro (60% contro 40%), il caraibico ha deciso di continuare almeno un anno. Dopo il titolo del 2007 lo davano tutti sul viale del tramonto, dopo la gara 7 persa con Miami nel 2013 sembrava fosse arrivato definitivamente all’ultimo ballo. Quella sconfitta nel settimo atto delle Finals ha tirato fuori in lui motivazioni nuove e sappiamo tutti com’è andata a finire la stagione successiva. Se questa nuova sconfitta in gara 7 possa aver fatto scattare un’ulteriore molla in Duncan lo sapremo solo fra un po’ di tempo, per ora non ci resta che andare al playground con la maglia numero 21 e appoggiare al tabellone il più elevato numero possibile di palloni.

Chi ama il basket, più in generale lo sport, più in generale la dedizione al lavoro e il rispetto nei confronti degli altri, non può far altro che ringraziare per quello che ha fatto e per quello che farà Timothy Theodore “Tim” Duncan o più semplicemente, una leggenda.
Grazie Tim, ancora uno insieme.

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