Atrápame si puedes (primo tempo)

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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7 min readNov 16, 2017

Ha un profilo Dugout (non so quanti giocatori ne abbiano uno personale), un Mondiale alle spalle e un altro in cui potrebbe esserci. In mezzo, un grosso punto interrogativo: che ne è stato di Juan Camilo Zúñiga? Dov’è finito il giocatore che ha impressionato tra Siena e Napoli? Ma soprattutto: perché tutto questo casino per il contratto? Abbiamo provato a mettere insieme i pezzi di quella è che una mini-serie targata Crampi Sportivi.

Scena 1 — Il viaggio

Aeroporto di Medellin, 22 maggio 2017

Il volo diretto in arrivo da Londra ha qualche minuto di ritardo. L’uomo indossa ancora la sua tuta di allenamento, gialla e rossa con inserti neri. Fa caldo, ma è un caldo diverso, particolare, tipico di una città che si trova praticamente all’Equatore, però a 1700 metri sul livello del mare. L’uomo porta anche delle cuffie per la musica. Nere, grandi, vistose, gli incorniciano il volto e un berretto azzurro con visiera. È un azzurro che stona un po’ con il resto dell’abbigliamento. Dietro questo berretto c’è una dedica, fatta con un pennarello nero, si legge chiaramente anche a distanza:

5/2013
A te, Juan Camilo.
Perché il meglio deve ancora venire.
Walter

L’uomo attraversa gli arrivi per prendere le valigie. È stato in panchina ieri e non ha fatto nemmeno la doccia dopo la partita dei compagni. La sua squadra ha perso 5–0, lui negli spogliatoi non ha salutato nessuno, solo il suo allenatore, Walter. Un bacio sulla guancia, anzi due: ciao a presto, ci sentiamo.

Ha percorso Vicarage Road a piedi, di corsa, ha svoltato a destra su St. James Road, lo aspettava un taxi di quelli neri, tipici inglesi, prenotato al mattino. La tassista è una donna, come in Pulp Fiction, solo che è decisamente meno attraente: ha i tratti asiatici, i capelli mossi e raccolti, scurissimi, unti, indossa una maglietta dell’Hard Rock bianca. Non riesce a leggere la città, però dovrebbe essere Manchester. Non ha neanche le mani curate, le unghie sono senza smalto, reduci da decenni di impenitente onicofagia.

Nel film di Tarantino il personaggio era concepito in modo molto diverso: si chiamava Esmeralda Villalobos ed era bellissima. Colombiana, proprio come l’uomo, che mentre sale in macchina fa anche il gesto di guardarsi intorno, furtivo. Anche questa è una fuga, pensa, proprio come quella di Butch Coolidge aka Bruce Willis. Solo che il colombiano, questa volta, sono io. Le suggestioni funzionano, pensa mentre chiude delicatamente la portiera.

Il viaggio verso Gatwick è stato breve oppure lunghissimo, non è riuscito a rendersene conto; poi il volo — quello sì che è stato lunghissimo — intervallato da qualche ora di sonno non proprio sereno. Ora è a Medellin. Mentre attraversa gli arrivi per aspettare le sue valigie, l’uomo sblocca l’Iphone che ha in tasca e fa partire la musica. Nelle cuffie si sente una canzone napoletana, pubblicata su YouTube giusto 13 giorni prima. L’ha già imparata a memoria, muove le labbra e canta, ma senza voce.

Messaggio WhatsApp da “Direttore Cristiano”:

L’uomo visualizza e non risponde. Ha deciso che da oggi in poi farà sempre così. Non lo prenderanno mai. Il taxi attraversa la strada che taglia Tucuman, siamo all’inizio del tratto che dall’aeroporto lo porterà al cento di Medellin. Fra tre giorni ha un altro aereo.

Intermezzo

Miami, 30 luglio 2017

Scena 2 — La risposta

Miami, 26 agosto 2017

L’uomo ha optato per la Florida. Dopo il passaggio per Medellín, giusto per salutare la famiglia, ha puntato direttamente su Miami. È lì da tre mesi e un giorno. Ha continuato a ricevere puntualmente i bonifici di accredito del suo stipendio. Quello che ha pattuito durante l’autunno 2013, con “Presidente Aurelio”. Un rinnovo faraonico. Dopo pochi giorni era in sala operatoria.

Messaggio WhatsApp da “Presidente Aurelio”:

L’uomo decide di rispondere per la prima volta: sono tre mesi che non lo fa.

Scena 3 — La fine del mercato

Miami, 31 agosto 2017

A Miami sono le dieci del mattino. L’uomo esce dalla suite 782 al Fontainebleau Miami Beach, sta andando in palestra. Scorre il suo Twitter: trova un post che lo riguarda e sorride.

Mi stanno trovando, pensa. Sta succedendo. Doveva succedere. Si sente anche un po’ sollevato, forse.

L’uomo decide di non rispondere. E non risponderà.

Ore 18.00 di Miami.

L’uomo risponde, per la prima volta dopo cinque giorni:

Poi compone un numero di telefono, lo conosce a memoria:

«Pronto?»

«Juan Carlos, sono io. Ora siamo liberi, il calciomercato in Italia è finito. Posso tornare, ma non deve saperlo nessuno. Parlano di denuncia alla Fifa. Ci vediamo tra quindici giorni». Riattacca, non fa nemmeno in tempo a sentire l’ok dell’interlocutore.

Prende l’ascensore, vuole andare in spiaggia. Nel viaggio verso il piano terra saluta un cameriere del suo piano: si chiama Guillermo, è di origine boliviana. Hanno fatto amicizia. In fondo, l’uomo soggiorna all’hotel da più di un mese. È il terzo super hotel di Miami, è quello in cui si è trovato meglio.

Esce dall’ascensore, per andare verso la spiaggia si deve passare per forza tramite la hall ultramoderna e illuminata con led, anche se siamo ad agosto in Florida e il sole è ancora alto. Vede che Ethan, uno dello staff della reception, sta parlando con due uomini in camicia e cravatta, sudatissimi, hanno le giacche scure in mano e due valigette. Parlano un inglese tipicamente inglese, lontano dall’inglese americano. Sente chiaramente che dicono il suo nome.

“We’re looking for Mister Zuniga”.

L’uomo non si dà il tempo di capire. Gira le spalle, l’ascensore non c’è, è già stato chiamato a un altro piano. Cazzo. Accanto alla porta scorrevole in vetro c’è un corridoio di servizio, per il personale. Conduce alla cucina e allo spogliatoio dei dipendenti. L’uomo decide di entrare, è l’unico modo che ha per scappare. Ha detto in reception che non vuole ricevere nessuno, di negare a chiunque che lui si trovasse in albergo. Ethan, però, non è sveglio come i colleghi Tina e Miguel, potrebbe cadere nella trappola di quei due. Si vede che sono agenti Fifa, lui li riconosce. Lui sa che lo stanno cercando.

Chiama Guillermo al cellulare, il suo amico cameriere:

«Ti ricordi che quando ti ho presentato Martha, quella che dice di essere di Guantanamo, e dicevi che un giorno mi avresti reso il favore? Bene, è arrivato il momento. Entra nella mia stanza, fai la valigia e portamela nello spogliatoio del personale. Sono nei guai. Mi hanno quasi preso».

Scena 4 — Un altro viaggio

Aeroporto di Miami, 4 settembre 2017

L’uomo scende da un taxi che odorava un po’ troppo di erba. Il profumo strideva con la confessione del guidatore, un ragazzo bianco con gli occhi chiari ma caldi, intensi, che non poteva avere più di 25–26 anni, e aveva detto di non fumare più da cinque mesi. Durante la corsa hanno parlato un po’ di baseball: l’uomo non capisce un granché di questo sport, ma il tassista era un tifoso sfegatato dei Merlins. L’uomo ha saputo dirgli qualcosa di sensato grazie alle consulenze di un suo ex compagno di squadra olandese, Daryl, «perché in Olanda amiamo il baseball», diceva sempre Daryl e poi iniziava a raccontare.

L’uomo si incammina verso le partenze, ha preso un volo con due scali: San Pedro Sula, in Honduras, e San Salvador. C’era anche il volo diretto, ma l’ha fatto apposta. Vuole stare lontano da terra il più a lungo possibile, vuole tenere spento il telefonino, vuole atterrare a Medellín da un volo che nessuno si aspetta. Neanche gli agenti Fifa, che sanno e vedono tutto.

Aeroporto di San Pedro Sula, 4 settembre 2017

L’uomo li vede mentre sta mangiando un nigiri al branzino, al ristorante giapponese dell’aeroporto. Resta freddo, impassibile, ingoia e si alza per pagare, restituisce all’uomo alla cassa anche la salsa di soia. «Tutto buono, questa però è un po’ troppo salata», gli dice mentre gli riconsegna l’ampolla con il liquido scuro.

Loro sono seduti al bar accanto, girati di spalle rispetto a lui, per questo non l’hanno visto. Mangiano quella che ha tutta l’aria di essere un’insalata. Parlottano, sono distratti. Allora l’uomo resta disinvolto, e decide di agire. Le valigie arriveranno comunque a Medellín, lui però ha riconosciuto i due agenti Fifa di Miami e vuole depistarli. Cammina veloce nella direzione opposta al bar, arriva all’uscita, vede un bus navetta bianco.

La scritta sulla fiancata “Zizima Eco Water Park”. Evidentemente, un parco divertimenti a tema acquatico. Il luogo migliore in cui nascondersi.

Sale sul bus navetta, paga con la carta di credito il biglietto e si siede. Gli agenti Fifa escono, sono agitati, forse hanno capito che il loro uomo è riuscito a scappare, il loro piano è saltato. “Il peccato più sciocco del diavolo è la vanità”, ha scritto qualcuno. L’uomo non resiste. Va a sedersi in ultima fila, accanto a una madre di famiglia che riesce a gestire un marito obeso e cinque bambini di età apparentemente uguale. Mentre il bus parte, batte con le nocche sui vetri in modo che gli agenti Fifa si voltino verso di lui.

Lo guardano, lo riconoscono. Scambio di sorrisi. L’uomo gli fa il dito medio, la navetta è partita. La caccia riprende.

(continua…)

Articolo a cura di Alfonso Fasano

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