Atrápame si puedes (secondo tempo)

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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9 min readNov 17, 2017

Ha un profilo Dugout (non so quanti giocatori ne abbiano uno personale), un Mondiale alle spalle e un altro in cui potrebbe esserci. In mezzo, un grosso punto interrogativo: che ne è stato di Juan Camilo Zúñiga? Dov’è finito il giocatore che ha impressionato tra Siena e Napoli? Ma soprattutto: perché tutto questo casino per il contratto? Abbiamo provato a mettere insieme i pezzi di quella è che una docu-serie targata Crampi Sportivi (qui la prima parte).

Scena 5 — Il bagnino

Zizima Eco Water Park, 5 settembre 2017

L’uomo ha parlato con il direttore del parco, gli ha chiesto se ha bisogno di un bagnino. Risposta secca: “No!”. Dopo 17 minuti, l’uomo indossa il costume rosso, ha gli occhiali da sole e gestisce il flusso di uno scivolo ad acqua. Questo lavoro di alta responsabilità vale l’equivalente di 20 mila euro. È l’uomo ad aver pagato il parco: vuole una copertura, ha deciso di lavorare lì.

La prima donna che si è lanciata gli ha fatto l’occhiolino. Gli ha detto di chiamarsi Harriet e di venire da Benton, una cittadina del Maine. Ha i capelli rossi, le lentiggini sparse sul viso, indossa un bikini bianco e verde e una collana di perle. Porta la fede, è sposata, indica l’anello e dice “…but this is not a problem”. Questa è l’unica frase che gli rivolge dopo l’occhiolino. Lo scambio di cortesie dura poco più di venti secondi. L’uomo non ha tempo per pensare a certe cose, la invita a scendere. Fa finta di non capire l’inglese. Questa cosa gli tornerà utile. La sera prima ha inviato un WhatsApp al contatto “Juan Carlos”.

Non sa che è stato tradito. Anche da Juan Carlos.

Scena 6 — La fuga

Zizima Eco Water Park, 8 settembre 2017

Un uomo inglese, che gli ha confessato di essere tifoso del Fulham, l’ha riconosciuto. Era quasi l’ora della chiusura del’acquascivolo, l’uomo stava per tornare nella sua suite d’albergo per riposare. Ha capito che quell’uomo era un segnale del destino. Uscendo dal parco, infradito ai piedi, li vede.

Sono lì, davanti a lui, appoggiati a un’auto nera. Sono in camicia, questa volta non sono sudati. Non può più scappare. La caccia sembra finita. Gli fanno cenno di salire: «Facciamo un giro».

Prima domanda, in inglese: «Il Napoli ti sta cercando, noi siamo sotto copertura e non vogliamo casini internazionali di svincolo, mai. Cosa cazzo vuoi per tornare?».

«Io voglio l’Atletico Nacional Medellín. Voglio Medellín. La società, il presidente, i tifosi. Tutti mi amano».

«Sai che è stato il presidente Juan Carlos De La Cuesta a venderti? Ci ha detto dov’eri. In cambio abbiamo trovato una sistemazione in Europa per Ezequiel Rescaldani. È andato all’Huesca, in Spagna. Pianifichiamo questa cosa da mesi, sapevamo che De La Cuesta poteva esserci utile. Pensavi di valere così poco, anche per il club che pensi ti ami? Stronzo».

L’uomo non riesce a mascherare la sua incredulità, in realtà se l’aspettava. Doveva finire, prima o poi. Mentre prende fiato per iniziare a parlare, la macchina accosta. C’è la polizia. L’autista dell’auto nera, che è chiaramente del posto, avverte che questo è un «controllo documenti».

«Cazzo», dice uno dei due agenti Fifa. «E ora come spieghiamo ai poliziotti chi siamo? Non abbiamo documenti, né visto d’accesso!».

L’uomo sorride. Ora sa che può farcela. In tasca ha il badge da bagnino del parco. Lo lasceranno andare, in Honduras situazioni “strane” in auto, tipo mezzi rapimenti, sono abbastanza frequenti. Ecco perché il posto di blocco. I due agenti Fifa se la vedranno coi poliziotti, e tanti cazzi.

Va esattamente così. L’uomo spiega — in spagnolo — ai poliziotti che lui, con quei due signori che parlano inglese, non c’entra niente. Nemmeno li capisce. Fa finta di non capire inglese. L’avranno scambiato per un altro, avevano evidentemente brutte intenzioni. Arriva una seconda voltante, l’uomo chiede di poter essere accompagnato all’aeroporto. Vuole scappare, è impaurito. La polizia vuole scusarsi per il disturbo, quindi «non c’è problema». Mentre sale in macchina, l’uomo guarda i due agenti sudati, in piedi vicino alla loro auto mentre le guardie parlano alla radio.

Il solito tocchetto di nocche vicino al finestrino. Poi il dito medio. La vanità del diavolo.

Scena 7 — L’unico amico

San Pedro Sula, 8 settembre 2017

Quando tutto è cominciato, vcino Vicarage Road, l’uomo ha sentito il déjà vu di Pulp Fiction. Ecco, di nuovo la stessa sensazione. “Sono Buth Coolidge”, dice a bassa voce. In italiano. Il poliziotto si gira, lo guarda strano, gli chiede se parla anche altre lingue. «No, solo spagnolo e italiano». Poi aggiunge: «Ho cambiato idea, voglio passare in albergo e poi chiamare un taxi per l’aeroporto». Come Butch quando vuole per forza passare a riprendere l’orologio d’oro, pensa. Ecco perché il déjà vu.

Entra in camera con circospezione, apre la porta del bagno per controllare. Il suo Vincent Vega è un agente Fifa, almeno nella sua mente. Controlla in bagno, apposta. Non c’è nessuno. Raduna le sue poche cose, scende nella hall e chiede alla receptionist di chiamargli un taxi.

Si fa lasciare nella zona arrivi dell’aeroporto. Di nuovo la sensazione, di nuovo Butch. Entra in una cabina telefonica, proprio come il pugile inventato da Tarantino. Però non usa l’apparecchio a scheda o a monete, voleva proprio e solo ripetere i gesti del film. Prende il cellulare e compone il numero. Senza scorrere la rubrica, che non ce n’è bisogno. Lo conosce a memoria, da anni quel numero non cambia mai.

«Pronto?» / «Walter, sono io».

#TeamMazzuniga

«Hazzarola, brutto segaiolo. Dove hazzo sei? C’ho Aurelio he mi rompe le palle da giorni he ti cerca, he ti vole. Senti, scusami se mi senti male. Il mio Siemens C25 è perfetto, è tutta holpa del segnale, poi si è messo anche a piovere ed oggi è il hompleanno di Tabaré Viudez, quindi sono un po’ frastornato».

«Senti, ho un problema…».

«Non rihominciare hon le solite menate, grullo. Lo sai he sei il migliore. E il tuo meglio deve ancora venire».

«No dai, ascolta. Ti ricordi il racconto del presidente del Nacional, quello che pensavo fosse il mio secondo padre, mi voleva con lui? Tu mi hai detto vai, che nel caso mi assumono al Milan ti richiamo e diamo via Antonelli. Ecco, io sono andato. Cioè, ci stavo andando. E lui mi ha tradito. Mi ha venduto agli agenti Fifa mandati dal presidente Aurelio. Sono finito a fare il bagnino in un parco acquatico. Come faccio a essere ancora il migliore? E a fidarmi di lui?»

«Brutti hazzi. Però sai home son fatti i presidenti. Son come le lucciole. Un po’ ci sono e un po’ ‘un ci sono, un po’ ci sono e un po’ ‘un ci sono, un po’ ci sono e un po’ ‘un ci sono. Tu devi andare là he ti devi allenare, poi ci penso io a farti prendere al Milan. Sono già in hontatto hon Mirabelli, dihono che Montella non arriva a mangiare neanche i dolcetti scerhzetti di Halloween. Antonelli e Rodriguez ce li huciniamo facile. E te te ne vai ai Mondiali».

«Walter io non mi fido più di nessuno, ora. Solo di te».

«Effai bene a fidarti. Vai a Medellín, hiarisci con il presidente e vedrai he tutto torna a posto. Ci si vede a Milano. Qui alla tv già parlano di Honte per l’anno prossimo, che al Chelsea lo odiano tutti. Se mi tromba ancora, mi incazzo».

«Dovevo andare alla Juve appena tu lasciasti Napoli, Walter».

«’Un ci pensare, anch’io dovevo andarci. Ma il meglio deve ancora venire».

Si incammina verso l’aeroporto. Indossa ancora la maglia del bagnino, ma ha deciso di non cambiarsi. Ha voglia di fare l’amore, pensa che quella divisa lo possa aiutare a far colpo su qualche assistente all’aeroporto, o sulle hostess una volta in aereo. Si chiede se a Benton, nel Maine, c’è una squadra di calcio. Mette le cuffie, vuole ascoltare una canzone. Non ricorda il titolo, cerca su Youtube e scrive Pulp Fiction. È fortunato. Voleva ascoltare proprio quella.

Scena 8 — Il confronto

Medellín, 9 settembre 2017

«Come hai potuto, Juan Carlos?». L’uomo ha esordito così, entrando di filata nella sala riunioni del Nacional Medellín. È atterrato da un volo diretto da San Pedro Sula: non ha neanche recuperato i bagagli che da giorni lo aspettano a Medellín ed è andato in sede. Gli uffici si trovano a Itagüí, Dipartimento di Antioquia, Calle 62. C’è un parchetto di fianco ai campi, ci sono le giostre per i bambini.

Il presidente lo guarda, gli occhi gli si inumidiscono, sembrano lacrime sincere. «Che dovevamo fare, Camilo? Ci hanno braccato, da mesi sapevano. Avevo l’acqua alla gola, non ho potuto nasconderti per molto. E poi hanno ragione loro, scusami. Tu hai un contratto».

«Il punto è che vogliono mandarmi via, Juan Carlos! Non vogliono farmi giocare, tu per vendere Rescaldani ha deciso di vendere me! E la tua anima! Io mi fidavo di te!».

«Dai, resta qui. Ti giuro davanti a Dio che che inizialmente potevo muovermi in maniera diversa. Ero in buona fede, volevo che tu venissi qui con noi. Io non c’entro».

«Le mie condizioni. Voglio allenarmi con la squadra. Voglio rilasciare interviste. Voglio totale libertà, anche di andare in spiaggia. E voglio protezione, dagli agenti Fifa. Voglio, voglio, voglio. E tu me lo darai, perché sei in debito con me».

Altro déjà vu cinematografico. Stavolta l’uomo si sente meno potente rispetto al film in questione, ma solo. Dentro pensa di provare le stesse sensazioni e la stessa forza di John Rambo, di ritorno dal Vietnam, quando va incontro a Murdock, mitragliatrice in mano. È ancora vestito da bagnino. Gli manca la pietrina verde appesa al collo.

Intermezzo

«René, mi insegni a scappare?»

«Camilo, potre anche farlo. Ma non scapperesti, perché non scappi mai davvero. Soprattutto da te stesso»

Scena 9 — L’intervista

Medellín, 26 settembre 2017

L’uomo ha rilasciato un’intervista. È stata pubblicata da El Colombiano: dice che vuole tornare all’Atletico Nacional. Dice di avere un contratto col Watford, ma sa benissimo di mentire. È solo per fare incazzare Presidente Aurelio, che deve continuare a pagargli lo stipendio. È ancora un calciatore del Napoli. Si allena, non tanto regolarmente. A volte c’è, a volte non c’è. Anche De La Cuesta ha qualcosa da farsi perdonare, in fondo. Manda un Whatsapp a “Presidente Aurelio” con il link dell’articolo che riporta le sue parole.

«Ho un contratto con Watford e sto negoziando con loro la rescissione. Non è per questioni economiche, ma voglio l’Atletico Nacional. Voglio essere qui, a casa mia, con la mia gente, nel mio paese».

Mentre preme “Invia” sul suo smartphone, sorride. No, non si è dimenticato di lui, di Aurelio. Come diceva quella canzone napoletana, che racconta come lei si scordi di lui ma in realtà non è vero. Il cantante l’ha spiegato nella canzone successiva, uscita pochi giorni prima dell’intervista. Gli attori del video hanno lo stesso colore della pelle dell’uomo. L’uomo pensa di assomigliare un po’ al protagonista. “Ora ho il suo stesso sorriso, il suo stesso gusto per la vita”, pensa. Colombia portafortuna.

Stavolta è “Presidente Aurelio” a non voler rispondere. Si sente sconfitto. La caccia è finita, ha perso. L’uomo ha vinto. Un po’ di libertà, anche se vigilata e senza calcio. Anche se ingiusta, in termini contrattuali. Ma l’ha voluta, l’ha cercata, l’ha ottenuta. Non l’hanno preso.

Scena 10 — Distopia futura

Un luogo caloroso, 14 dicembre 2017

È il compleanno dell’uomo. Compie 32 anni. Riceve un WhatsApp, è “Presidente Aurelio”. Non gli scrive dal 31 agosto.

L’uomo non vorrebbe rispondere. Posa il telefono in tasca. Poi però ci ripensa. In realtà crede che l’uomo che gli ha appena scritto lo odi molto, ma gli voglia anche bene, in un certo senso. È un amore contorto, particolare. Ma è amore.

Rilegge il messaggio. Inizia a digitare. La vanità del diavolo. La caccia ricomincerà, forse.

Articolo a cura di Alfonso Fasano

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