Avventure a testa in giù — L’ultima fatica di Obafemi Martins

Crampi Sportivi
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10 min readMar 14, 2016

Un’altra capriola, Obafemi. Un’altra, forse l’ultima, poi sarà tempo di smettere.

Yorubaland è un triangolo di savana della Nigeria, costeggiato dal fiume Niger; uno di quei posti che esistono solo nei ricordi dei vecchi saggi e non nelle rilevazioni topografiche. C’è una storia che racconta di un ghepardo, figlio della terra arida di Yorubaland e benedetto da Dio, un ghepardo eternamente giovane, incredibilmente atletico e veloce. Obafemi Martins rimarrà fino all’ultimo giorno della sua carriera un ghepardo e una capriola. La capriola, iniziata tra le polverose strade di Lagos e finita nelle televisioni di migliaia di italiani e di tifosi del mondo intero.

Un sommersault, espressione di muscoli, nervi, ossa infrangibili, eseguito perfettamente dopo ogni gol. Il volto stralunato del ragazzino che vestiva la maglia dell’Internazionale di Milano ora ha lasciato spazio a uno sguardo laconico, che mostra i segni di una giovinezza che non tornerà indietro, rimasta immutata in quel gesto atletico. Laconico si, ma pur sempre animalesco, imperscrutabile.

Alla fine del tuo viaggio, Oba, il Re ti ha amato davvero, com’era scritto nel tuo destino e nel tuo nome di origine così antica. Adesso, con indosso la casacca d’allenamento dello Shanghai Shenhua, ti dirigi sul campo per la sgambata giornaliera e ti accorgi che non c’è più bisogno di correre, di dannarsi in area di rigore come una bestia in gabbia. A 32 anni i principali palcoscenici del tuo sport ti considerano fuori moda e tu, con i vestiti di scena caratteristici di quei palcoscenici, ci hai arredato la sala da pranzo. Meglio ritirarsi in una pensione milionaria asiatica, con un ricco contratto in tasca e del tempo libero a disposizione.

Sfogliando l’album dei ricordi potresti accorgerti che le cose sarebbero potute andare diversamente, che verrai ricordato come un mezzo giocatore, una promessa incompiuta al punto giusto, una carriera vissuta a modo tuo, mentre le memorie di ogni singolo gol decisivo brillano di luce propria, pronte a diventare un dato statistico utile per fissare soltanto chi sei stato e non sarai mai più. Rimarrai una capriola, come quelle di tanti colleghi ma sarà la tua, immensamente bella e caratteristica.

Lo scatto

La vita intera di Obafemi Martins, dal 28 ottobre del 1984 a oggi, ha la circolarità propria delle sue acrobazie, con gli eventi e le coincidenze che si ripetono in maniera ciclica, quasi come in un racconto già scritto e cucito sulla sua pelle.

https://www.youtube.com/watch?v=5cx93nXUIms

Martins però ha qualcosa in più: s’intravede nelle nervature dei polpacci, nei 40 metri palla al piede conclusi con una botta potente in porta. È il caso di parlarne con Sunday, pensa Churchill. Sunday Oliseh gioca in Italia, alla Reggiana: magari si può combinare un provino, un appuntamento per ricavare qualcosa da questi giovanotti scalpitanti, come sempre succede con le piccole realtà che provano a campare svezzando qualche giocatore. Qualche anno prima è andata bene con Hugo Enyinnaya, questa volta potrebbe essere addirittura migliore ma partono in quattro per l’Italia e ci rimangono solo Martins e Makinwa.

La Reggiana è una fase transitoria della vita di questi giocatori, una fermata obbligatoria: Makinwa finirà a breve in un vortice di prestiti e tesseramenti, alcuni di noi lo ricorderanno per i suoi trascorsi con Lazio e Chievo, poi poco altro. Lo stesso Ennynaya, qualche tempo prima, non aveva avuto tantissima fortuna e oggi recita la parte della comparsa nei video dello storico gol di Cassano all’Inter, nonostante la sua sia una autentica prodezza balistica. Spuntata la rosa dei giovanotti reggiani di quella stagione 2001–02, rimangono in due: Obafemi, che farà le valigie e partirà per Milano, dove lo aspetta l’Inter di Moratti che ha scucito mezzo milione per averlo, e Benjamin Onwuachi, che sarà la risposta juventina (sfortunata) al tesseramento di Martins.

Il salto

C’è un diktat speciale che anima le sessioni di calciomercato post 2000: se sei un giocatore particolare devi necessariamente giocare nell’Internazionale di Milano. E cosa esiste di più particolare di un elastico nigeriano che schizza come una scheggia impazzita?

Nell’estate del 2002, Obafemi Martins firma ufficialmente per l’Inter: alla Reggiana vanno 500 mila euro, più che sufficienti. Martins sceglie Milano e non Perugia, dove Gaucci sembra disposto a offrire molto di più dei nerazzuri: a Milano ci sono Ronaldo e Vieri, due idoli del giovanissimo giocatore che un po’ li sintetizza per via della potenza esplosiva nelle gambe e per lo scatto fulminante.

Il tridente Martins-Ronaldo-Vieri sembra un sogno destinato a rimanere tale, almeno per la prima stagione, con Oba impegnato a primeggiare tra gli attaccanti della primavera dell’Inter, con cui vince lo Scudetto di categoria e il Torneo di Viareggio, segnando 23 gol in totale che stanno lì a rappresentare le stimmate del predestinato. Alle porte della stagione 2002–03, Obafemi è chiamato al primo appuntamento col destino.

Lo snodo cruciale della sua carriera ha le idee nodose e confuse del tecnico Héctor Cúper, che si ritrova costretto a mandare in campo Martins il 22 dicembre 2002, durante un Parma-Inter terminato 1–2. In campo dal primo minuto, in coppia con Recoba, Oba indossa il numero 30 e si muove come un posseduto tra le maglie dei difensori crociati. L’esordio non ha le sembianze dell’annuncio di un eletto: nessun eurogol alla prima presenza, tanta corsa evanescente e poca sostanza ma quel giorno inizia la favola di Obafemi in maglia Inter, una storia che ha portato in dote uno Scudetto, due Coppe Italia e una Supercoppa.

Martins esordisce in Champions League qualche settimana dopo, contro il Newcastle (ricordate la circolarità degli eventi?), sigla la prima rete in neroazzuro a Marzo, contro il Bayer Leverkusen, nell’inutile partita finale del girone: al 36' della prima frazione di gioco, Martins raccoglie un lancio di Conceicao e fredda Butt sul primo palo con un sinistro. Si guadagna anche un rigore che però Morfeo si fa parare dal portiere tedesco.

A 18 anni diventa il più giovane marcatore europeo della storia dell’Inter (il record verrà poi ritoccato da Mario Balotelli, suo cognato, tanto per cambiare), strappa la prima convocazione in Nazionale, va in gol inutilmente contro il Milan nella semifinale di quella Champions League, diventa cliente fisso delle difese del campionato di Serie A e mette in mostra tutto il suo repertorio, tirando fuori un giocatore che probabilmente non si vedrà mai più.

https://www.youtube.com/watch?v=JCHWq417IUU

Segna col sinistro, segna dopo una corsa di cinquanta metri, va in gol più volte col destro e conclude a rete interminabili serpentine tra gli avversari. Ma sopratutto ha un impatto strano sui tifosi dell’Inter: prima di Oba ci sono sempre Crespo, Cruz, Adriano, Vieri, lui è letteralmente vissuto dall’ambiente Inter quasi come il bomber di scorta ma per i sostenitori nerazzurri è una specie di talismano, tutti sanno che teoricamente dovrebbe segnare un gol ogni tre o quattro partite ma sapere che è in panchina ti fa stare bene, ti fa credere nei miracoli. Ogni goccia di sudore, ogni fibra dei suoi muscoli si contrae per aiutare la sua amata Inter, i suoi sforzi mirano tutti verso un’unica direzione, verso la gloria con indosso quella maglia nerazzurra che gli restituisce invece un prezzo, 16 milioni, un biglietto aereo per Newcastle e una eventuale clausola di recompra. Obafemi Martins, chiuso dagli arrivi di Hernan Crespo e Zlatan Ibrahimovic, viene venduto in Premier League.

La capriola

Martins, trasferendosi al Newcastle, realizza probabilmente che il calcio è un lavoro. Che lui è stato benedetto da qualcuno, che avrà la fortuna di guadagnare tanti soldi se riuscirà a far fruttare il suo talento ma, cosa più importante di tutti, il calcio non è per i romantici, per gli uomini con un cuore. E’ la frattura che spiega cosa spinge decine di promettenti giocatori a trasferirsi in campionati minori ma grondati di dollari, ponendo fine a ogni eventuale speranza di essere una delle colonne portanti di questo gioco. Mi viene in mente Nilmar, per primo, che al termine di una prolifica stagione con la maglia del Villareal decise di trasferirsi in Qatar. Ogni volta che un giocatore si allontana dall’occhio di bue del calcio che conta segue la strada di Nilmar (che a sua volta avrà seguito la via tracciata da qualcuno, ma per me lui rimane il portabandiera), accettando un lauto stipendio, una comoda sistemazione e la rilassatezza del calcio come impiego, come impegno contrattuale. Non è questa la malattia dei giorni nostri anche se non siamo più nei tempi del calcio come semplice passatempo di muratori ed elettricisti: semplicemente oggi va sviluppandosi l’etica del lavoro e del soldo, come già si faceva dieci o venti anni fa anche se lo abbiamo dimenticato, anche se il calcio nostalgico ci ammorba i ricordi e ci fa dimenticare di Cassano che brucia i suoi primi stipendi in auto di lusso. Noi ricordiamo solo il controllo vellutato di Antonio, proprio contro l’Inter e dopo il gol di Ennynaya.

Dal trasferimento al Newcastle la storia di Martins assume dei contorni incredibili, a cominciare dalla stessa avventura bianconera: presentato prima di un match di Coppa Uefa contro il Ventspils, maglia numero 9 di Alan Shearer (per stemperare le responsabilità), in Inghilterra lo ricorderanno per la cannonata a 134 chilometri orari, considerato il nono tiro più potente della storia del calcio e per quella volta che lasciò il ritiro di Maiorca per tornare in Nigeria, dove lo attendeva la salma della defunta madre a cui era molto legato, morta di spavento durante la combustione di una cisterna.

Ancora una volta in questa storia, il magic moment del nostro eroe in miniatura è stroncato dalla sua esistenza stessa: sfuma così il possibile passaggio al Chelsea, saltano i piani di una intera stagione giocata a palesare un evidente ritardo fisico, anche l’addio del tecnico Glenn Roeder finisce per penalizzarlo, con Allardyce che lo relega a un ruolo da comprimario prima che un altro tecnico, Kevin Keegan, si cimenti nel tentativo di utilizzarlo nel tridente d’attacco.

Ma al termine di quella stagione 2008–09, i Magpies retrocedono in Championship: dopo un’amichevole col Leyton Orient è già tempo di partire, Martins da il via al suo giro del mondo in quattro stagioni.

L’atterraggio

Nel 2009–10, il cartellino di Obafemi Martins viene rilevato dal Wolfsburg per 10.5 milioni di €. Nella stagione successiva si trasferisce per nove milioni ai russi del Rubin Kazan, mentre nel gennaio 2011 è di nuovo in Inghilterra, al Birmingham, dove ha la possibilità di stare accanto a suo figlio appena nato. A fine stagione torna dunque al Rubin Kazan, dove rimarrà un’altra stagione prima di passare a titolo gratuito al Levante.

In quattro anni c’è un giorno in cui sembra che la stella di Obafemi Martins possa tornare a brillare ancora una volta: 27 febbraio 2011, il Birmingham City è in finale di Carling Cup contro l’Arsenal. I Blues hanno perso entrambi gli scontri in campionato, ma i Gunners vanno sotto al 28' per mano di Nikola Zigic, prima di agguantare il pari nove minuti dopo grazie a Robin Van Persie che impietrisce la curva dei tifosi del Birmingham. Il tecnico Alex Mc Leish lancia Martins in campo solo all’83'.

Bastano sei minuti a Oba Oba per mettere a segno quello che, nel post partita, lo stesso giocatore ha definito “Il gol più facile della sua carriera”: una punizione dalla trequarti, battuta dal portiere Ben Foster, viene respinta male dalla difesa dei Gunners, con Djourou che lascia a Zigic lo spazio per una spizzata di testa. Laurent Koscielny manca completamente il pallone, toccato male da Szczesny e subito trasformato nel pallone della storia per Obafemi Martins.

L’appoggio in rete è naturale, il gol spedisce in orbita una città intera, una squadra intera che a fine stagione retrocederà in Championship ma giocherà una insperata Europa League grazie al trionfo in coppa di Lega, nel segno di Martins che intanto ha già fatto le valigie per tornare in Russia. Ancora una capriola, finalmente decisiva.
Ogni anno, il 27 febbraio, i tifosi del Birmingham ricordano quel momento sui social network, quella volta che Martins fece esplodere lo stadio, regalando un trofeo che mancava da 63 anni.

https://www.youtube.com/watch?v=T_L4WN0PzeY

Un altro salto

Il giro del mondo però prosegue incessante e porta Martins in Spagna, tra le file del Levante: nel marzo del 2013, Obafemi è il miglior giocatore di un Levante che arranca in campionato ma va avanti in Europa League, grazie anche alle sette marcature del nigeriano, miglior giocatore della squadra e idolo dei tifosi.

Ma non ci casca più, l’ha giurato a se stesso. Mai più mischiare il cuore col lavoro. La Major League Soccer inizia nella seconda metà del mese e nel grappolo di vecchie glorie spinte dai tabloid verso il calcio a stelle e strisce c’è anche il suo nome. Un interessamento timido, qualche scambio di telefonate e la valigia è già pronta. Martins paga interamente la sua clausola rescissoria l’11 marzo: versa tre milioni di euro nelle casse del Levante e prende il primo aereo per Seattle. Arriva in città il 15 marzo, il giorno dopo è già in campo per l’esordio stagionale: è il lavoro, bisogna essere diligenti.
Semplicemente fantastico, è praticamente la stessa storia che succede nelle piccole società di provincia, quando firmi quegli spaventosi contratti giovanili che ti legano alla squadra fino a 25 anni, dove per poterti trasferire (anche se praticamente non giochi mai) devi comprarti il cartellino, il tuo cartellino. Martins ha fatto la stessa cosa anche se il suo cartellino costava 3 milioni, concedendo una plusvalenza al Levante e cambiando aria, ancora una volta.

https://www.youtube.com/watch?v=mj3NaAzxmDY

Martins incanta gli spettatori di tutta l’America, gioca la Champions League nordamericana, segna a grappoli e diventa un autentico idolo della tanto famosa curva di Seattle, la tifoseria di soccer più calda del Nord America. Strano come raggiunga l’apice della sua grandezza in una dimensione ridotta, forse adatta a quelle che sono le sue reali potenzialità. Divide i trenta metri finali di campo con Clint Dempsey e arriva anche a oscurare il giocatore statunitense spaccando in due le partite e gli schemi tattici dei suoi avversari, guadagnandosi i galloni di giocatore decisivo e ritornando in Nazionale, dove mancava dal 2014, richiamato da un certo Sunday Oliseh. Per completare il ciclo.

Martins, adesso, non gioca più per Seattle.

Mentre ero al lavoro su questo articolo ha firmato per lo Shangai Shenhua, dove guadagnerà 6.6 milioni di dollari in soli nove mesi, un capriccio milionario della Chinese Super League. I tifosi di Seattle, sedotti e abbandonati, non hanno avuto il coraggio di scagliarsi contro l’ormai ex beniamino. Un blog è riuscito a dipingere perfettamente, in una sola frase, quello che Oba Oba è stato per la squadra: “Martins è stato tutto quello che aveva promesso di essere e tutto ciò che noi ci aspettavamo da lui”, per ricordare i gol e gli assist e le giocate decisive della sua avventura in America ma anche la rescissione anticipata dell’accordo tra lui e la squadra, l’interruzione dell’amore tra uno dei centravanti più forti del campionato e la sua curva. Un diktat di una carriera da eterno incompiuto, il sacrificio di un talento al Dio denaro, con una rincorsa lunghissima iniziata da Leverkusen e terminata, con l’ennesima capriola, su un campo incastonato al centro di Shanghai.

Si tratta di una scelta agli antipodi, certo, ma in senso molteplice e neanche casuale per l’uomo delle capriole. Se ci pensate, vista dagli Stati Uniti la Cina è un posto in cui le persone camminano a testa in giù.

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