Barbershop Conversation — A MVP journey

Crampi Sportivi
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9 min readApr 8, 2017

Riunione della redazione cestistica di Crampi Sportivi, per poter riflettere sulle conclusioni della regular season NBA. Si cerca il luogo adatto, a Barcellona hanno appena aperto il primo NBA Cafè, ma al primo vicolo a destra c’è un pub con paiella y cerveza che rende il posto perfetto. Parte la chiacchierata: “Golden State e Cleveland solite favorite”… “Gli Spurs son sempre lassù”… “Chi tifa New York Knicks non vince mai”… insomma, tutti concordi.

A un certo punto, il domandone: “Invece, l’MVP st’anno chi è?” e prima della zuffa consueta ormai sull’argomento, ognuno ha fornito la sua versione, come riportato dai testimoni.

Insomma, chi s’è guadagnato l’ultima birra offerta?

“Mandatemi Via, Please” — Anthony Davis (GA)

A volte il premio di MVP può rappresentare un grido d’aiuto, un applauso per la perseveranza. Difficile rimproverare qualcosa ad Anthony Davis, che potremmo presentare in questo bracket per la quota simpatia. Poi però vedi le cifre e ti spaventi: a 24 anni ha fatto registrare dei miglioramenti mostruosi, è stato All-Star quattro volte, senza contare altri riconoscimenti ben più importanti. A questo, ci dobbiamo aggiungere il double titolo & MVP delle NCAA Finals 2012, dove aiutò Kentucky a trionfare. Tuttavia, siamo ad aprile 2017, i Pelicans non saranno in post-season e Davis ha giocato appena quattro partite di play-off nella sua breve carriera.

Neanche DeMarcus Cousins — con cui ha dato luogo alle nuove Twin Towers: da vedere se saranno accoppiate anche nella prossima annata — è bastato a sterzare una stagione nata male e finita peggio. A oggi, i Pelicans hanno un bilancio perdente (33–46) e poche prospettive. Ciò nonostante, Davis si è tolto comunque diverse soddisfazioni durante questa stagione (oltre a quella più importante di essersi ripreso fisicamente):
* Ha fatto registrare nell’opening night una prestazione da 50 punti, 16 rimbalzi, 7 recuperi, 5 assist e 4 blocchi. Con un ‘altra stoppata sarebbe stato il primo five-by-five e comunque è la prima prestazione del genere che la NBA registra dal 1973–74;
* All’All-Star Game, giocato in casa, Davis ha portato a casa 52 punti e 10 rimbalzi, battendo il record di Wilt Chamberlain per punti segnati in un All-Star Game (e vincendo il premio MVP di giornata);
* Il 31 marzo è diventato il primo Pelican a far registrare più di 2000 punti in una stagione.
* Anthony Davis potrebbe essere il 27° nella storia ad avere una stagione da 27 punti e 10 rimbalzi di media, ma il primo dal 1987 e solo il 12° a farlo con un team dal record sotto il .500%. Qualcuno ipotizza che sia la sua migliore stagione di sempre.

Eppure? Eppure siamo qui, come in un brutto MEME, con Alvin Gentry che spera che AD lavori sul tiro da fuori durante l’estate. Vuoi mai che si ritrovi a giocare da solo? Intanto The Ringer ha proposto a The Brow di lasciare New Orleans, ma non siamo sicuri che ciò avverrà. Sarà una lunga estate: MVP a Davis e Crampi per il sociale.

“Mini Vale di Più” — Isiah Thomas (RG)

Subito prima di scrivere queste righe, sono andato a vedere alcune classifiche e il primo nome che ho letto è stato quello dei Boston Celtics. Ho pensato ad un errore, sono andato sul sito della ESPN e mi diceva la stessa cosa: i Boston Celtics sono stati in testa alla Eastern Conference, salvo lasciarla di nuovo ai Cavs. Mi stropiccio gli occhi, cancello la cronologia, chiudo il browser e mi alzo per farmi un caffè. Dopo averlo bevuto, riapro i siti di cui sopra, e mi confermano che avevo letto bene. Apro le statistiche di squadra, vedo che in testa c’è questo tizio che è alto quanto me, forse addirittura qualcosina meno, che ne mette 29 a partita con quasi 6 assist di media, in 34 minuti a partita sul parquet. Posto che il titolo di MVP, proprio per le parole incluse nell’acronimo, non si può dare a un coach (e i Celtics sono indubbiamente il capolavoro di coach Stevens), come fare a non nominare Isaiah Thomas? Tra l’altro, informazione piuttosto importante, il piccolo grande uomo in maglia Celtics ha un’ormai assodata tendenza ad “accendersi” nei finali di partita, al punto di essere il miglior realizzatore dell’intera Lega limitatamente al quarto periodo, dato non esattamente secondario. Come se non bastasse, è alla sua miglior stagione per percentuali dal campo, da tre e ai liberi. Il fatto che non abbia mai vinto fin qui una serie di play-off non depone a suo favore, ma il valore del giocatore è ormai fuori discussione.

“ Multitasking, Versatile, Poliedrico“ — Kawhi Leonard (LC)

Si trasforma in un razzo missile coi circuiti di mille valvole? La risposta è chiaramente sì, se si sta parlando del numero 2 che è di casa all’ AT&T Center. Questo Kawhi formato MVP sembra aver definitivamente convinto pure gli scettici (sì, esistono pure loro) riguardo la sua efficienza performativa a livello offensivo, prendendosi sulle spalle i ragazzi di Pop nei momenti decisivi. Gli Spurs sono un marchingegno più unico che raro — sia chiaro — ma senza «The KLaw» difficilmente li vedremmo così prepotentemente minacciosi a Ovest. I numeri fanno tanto, ma non tutto; tuttavia i 25.9 punti, 5.9 rimbalzi, 3.6 assist e 1.8 palle rubate a partita (di media) di uno che tira col 48,8% dal campo e col 38,6% da tre, sono un discreto curriculum per chi si presenta all’esame play-off con due compagni di banco secchioni come Westbrook e Harden (quest’ultimo letteralmente bullizzato dal pragmatismo di Leonard nell’ultimo face-to-face). Un uomo capace di amalgamare i diversi tipi di talento della sua squadra, lavorando con umilità, eccellendo in ambo le fasi di gioco e non disdegnando di dimostrare la sua onnipotenza cestistica è il profilo perfetto per un All-Star. Leonard è giustamente stufo di vincere il premio D.P.Y o di raccogliere elogi che puntualmente si disperdono nell’ambiente. Date a Kawhi quel che è di Kawhi, oppure l’artiglio verrà cordialmente a strapparvelo. Questo è un avvertimento.

“Mi Vedete Perso?” — Kevin Durant (MAM)

Estate 2016, si abbatte il vero fulmine sulla franchigia di Oklahoma: Durant lascia la franchigia di cui è stato il miglior giocatore di sempre, Durant molla Westbrook perchè ritiene di non poter vincere in tenuta blu e al diavolo la missione di conquista del mondo in coppia. La firma con Golden State, la più grande mossa per combinarsi con altre star dalla Decision di Sua Maestà Lebron, gli pone un macigno sulle spalle: non si può fallire. Anche se in un super team potrebbero litigare sul leader. Anche se nella squadra di Curry e Thompson e Green potrebbero litigarsi i palloni. Dall’altra parte della barricata, inoltre, l’ex compagno Westbrook, tradito e offeso, sta completando la stagione della vita senza lesinare atteggiamenti tutt’altro che dolci verso KD.

Risultato? Kevin Durant disputa la migliore stagione della carriera. Se confrontiamo la sua attuale annata rispetto a quella in cui vinse il premio di MVP, la media punti è di “soli” 25.3 (rispetto ai 32 di quella campagna) e quella assist di 4.7 (di poco inferiore ai 5.5 del periodo). Ma aumentano i rimbalzi (8.2 a gara), le percentuali da due punti (54%, sebbene l’1% di meno da tre punti) e l’offensive rating (l’indice che misura il contributo a tutto tondo dato in attacco) è il suo migliore di sempre sinora (125, in quella stagione 123). Ma soprattutto in chiave difensiva, Durant ha registrato i suoi massimi assoluti in termini di tiri stoppati (più del doppio rispetto a quella stagione) e defensive plus minus (col dato di 2.6 quasi doppio al 1.4 suo vecchio massimo).

Possiamo quindi dire che, alla produzione offensiva che lo rende probabilmente il miglior attaccante puro della Lega, Durant ha aggiunto una presenza difensiva a renderlo illegale anche nell’altro aspetto. Manco a dirlo, vedendo le gare si nota come sia lui a essersi appropriato della franchigia, con buona pace del compare RW0, che negli scontri diretti ha assistito alla migliore versione in gara singola di Durant (37.7 punti, 9.3 rimbalzi di media e 63.5% al tiro in stagione contro i Thunder… dente avvelenato è dire poco). Solo lo stop per infortunio non gli permette di arrivare fino in fondo a giocarsela coi primissimi candidati per il premio, ma in un discorso di pura qualità è difficile trovare di meglio.

“Marcetta Verso i Play-off” — LeBron James (RG)

Quando si cerca di intavolare un ragionamento che riguarda LeBron James nel 2017 ci sono tutta una serie di considerazioni accessorie, ma da non trascurare. Prima tra tutte il fatto che negli ultimi dieci anni le sue squadre sono arrivate per sette volte alle NBA Finals, di cui le ultime sei consecutivamente (striscia ancora aperta). Poi il fatto che comunque sia, tre anelli questo qua se li è portati a casa. Infine, il fatto che The Chosen One sia indubitabilmente il più odiato giocatore NBA dai tempi di… boh? Ma il fatto è questo: il LeBron James che vediamo in regular season spesso ti dà l’impressione di stare giocando al 90–95% delle sue potenzialità, come una specie di dannatissimo vulcano che è sul punto di eruttare e poi alla fine manda solo dei pennacchi di fumo e qualche piccolo getto di lava ogni tanto. E i suoi numeri (26.3 PPG, 8.5 RPG, 8.7 APG col 54% dal campo e un insolito 67% ai liberi) ci dicono che il “suo” 90–95% è un qualcosa che ai normali esseri umani è precluso. Per uno che ha dimostrato, soprattutto ai suoi numerosissimi detrattori, di poter essere decisivo anche nelle gare-7, non malaccio. Certo è che chiudere la Eastern alle spalle dei Celtics farebbe scendere notevolmente le sue quotazioni in chiave MVP, ammesso e non concesso che gliene importi qualcosa a questo punto della sua carriera.

“Meglio Volerla Passare” — James Harden (PS)

Quella che a inizio anno sembrava essere una delle più strampalate convivenze NBA si è dimostrata la coppia più ingestibile della lega. Il (fu) baffo e il barba, Mike e James, due lati diversi della stessa medaglia che incredibilmente si sono trovati alla stessa pagina del gioco come succede solo ai fuoriclasse. Harden segna 29,3 punti a sera, guida la classifica per assist (11,2 ad allacciata di scarpa, l’anno scorso erano 7,5: non è un scherzo) ed è il cervello pensante di tutta Houston. Leader per doppie-doppie (+1 su Russ), qualche volta si ricorda del vecchio Harden e se ne va in isolamento, situazione dalla quale resta un rebus irrisolto e segna comunque 7 punti a partita (il più vicino è sempre lo 0 di OKC con 6,1). Se vi capita di guardare una partita dei Rockets, sarete costretti ad ammettere che Nenê e Capela sono due bloccanti di primo livello, quando invece si esaltano soprattutto perché chi porta la palla sta giocando la sua miglior stagione in carriera. Coach D’Antoni l’ha messo in condizione di controllare tutto quello che succede intorno e il risultato è uno Steve Nash dieci chili più grosso e con uno stepback migliore. Follia? No, la follia è guardarlo giocare i pick and roll (situazione dalla quale segna 12,2 punti a partita, nessuno meglio di lui). Fear The Beard.

“Mega Virtua Power” — Russell Westbrook (SB)

Bandwagoning e hating sono due brutti concetti della stessa medaglia: due sfumature che subiscono un’usura istantanea sul metallo a loro disposizione. Ecco, nessun giocatore in Nba attualmente muove queste faziose emozioni come Russell Westbrook. C’è chi lo esalta acriticamente (senza evidenziare come sia l’ultimo giocatore in NBA per tiri contestati da tre, dietro anche a DeAndre Jordan) e chi altrettanto acriticamente non perde occasione per tirargli qualche stilettata ben architettata, che fa male a indole e cuore di un giocatore che, questo spero senza dubbi, ne ha a pacchi.

Dato per appurato che il miglior giocatore della stagione non è il giocatore più forte, nessuno come Westbrook merita quel titolo. E non è tanto per le cifre (stanotte ha raccolto l’ultimo assist per chiudere la stagione oltre la tripla doppia di media), ma per quanto sia riuscito a trasportare ai play-off una squadra che francamente, senza di lui, è da prime posizione della lottery. Quante superstar si sono trovate nella sua posizione, con così poco materiale umano a disposizione? Vi aiuto io: nessuna. Forse solo Harden, con tutto che questa Houston gli è cresciuta attorno quadrata e bella, ma con più talento e tecnica di base di quanta ne sommeranno mai a Oklahoma City.

E già che ci siamo, visto che voglio pungolarvi, quante superstar avrebbero fatto quello che ha fatto lui nelle sue condizioni, ovvero play-off giocati da one man band in un gruppo di violini scordati a cui far concludere una sinfonia? In definitiva, voto Westbrook perché mi piacerebbe vedere premiato il giocatore oltre il Sistema, perché il Giocatore è stato nettamente il più forte della stagione, ma il Sistema è pericolante come quello dello stato chavista in Venezuela. Poi per carità, da tifoso neutro, vuoi mettere OKC con Los Angeles e magari con una bella canotta giallo viola che ti faccia sentire aria di casa?

Hanno partecipato per la redazione basket: Gabriele Anello (GA), Sebastiano Bucci (SB), Luca Cicchelli (LC), Roberto Gennari (RG), Marco A. Munno (MAM), Paolo Stradaioli (PS)

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