A Barbershop Conversation — I play-off NBA, un folle viaggio

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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8 min readApr 17, 2017

Fine settimana di Pasqua: chiusura con giornata di Pasquetta e consuete gite fuori porta, quelle con pic nic, lettore mp3 carico e un po’ di relax nel primo dei break di calendario delle prossime due settimane.

Ma anche fine settimana di inizio dei playoffs NBA: vita sociale ridotta, ore di sonno perse per emozionarsi a ritmo frenetico delle gesta dei campioni oltreoceano.

In questa dicotomia si ritrova a discutere la redazione cestistica di Crampi Sportivi, relativamente alla corsa per l’anello di campioni della Lega e a quella per smaltire le calorie accumulate nelle abbuffate: il compromesso è questa playlist in cui i pezzi commerciali relativi alle favorite Golden State, Cleveland Cavaliers e San Antonio Spurs lasciano spazio a tracce più ricercate.

Shipping up to Boston (MAM)

Estate 2013: i Boston Celtics smontano completamente la squadra che li aveva portati all’ultimo anello della loro gloriosa storia. Via Kevin Garnett, via Ray Allen, via coach Doc Rivers, via addirittura Paul Pierce quando i tifosi via manderebbero solo il general manager Danny Ainge responsabile del mercato. Contratto di 6 anni dato al giovanissimo coach proveniente dal mondo universitario, Brad Stevens, e una serie di assets ma poco materiale umano per ripetere i fasti che furono; a credere nel gm solo la leggenda verde Larry Bird: “Sa quello che fa”. La prima stagione va male, viene ceduto anche Rajon Rondo ultimo del nucleo storico ma il secondo anno arriva una qualificazione non pronosticata nell’ultimo seed ai playoffs. E il terzo sono nella zona alta della Eastern Conference.

Mentre i Kings, i Timberwolves e anche i rivali storici dei Lakers continuano a non trovare una chiave per tornare in auge, il contrattone di Stevens si rivela un messaggio forte ai giocatori su chi rappresenti la priorità per la franchigia, col coach che riesce a far esprimere mestieranti quali Crowder, Jerebko, ragazzi senza talento purissimo come Bradley, Smart, Olynik o il funambolico piccoletto Isaiah Thomas ben oltre il loro valore mostrato sino a quel momento. Il quarto doveva essere l’anno in cui si sarebbero consolidati come seconda forza alle spalle dei Cavaliers, forti della scelta altissima al prossimo draft (acquisita dai Nets dalla cessione a suo tempo di KG e The Truth), che decidono di non associare ad altri giocatori per arrivare alle stella Butler o Paul George, affinché in estate sia spendibile senza ulteriori ragazzi a contorno. D’altro canto, il quinto anno si ritroveranno, oltre a LeBron con una primavera in più sulle spalle, con il solo quintetto titolare sotto contratto e il resto del cap libero per poter migliorare tutte le seconde linee. Però i Celtics hanno bruciato le tappe, approfittando dell’appannamento della corte del Re di Cleveland; sarà difficilissimo detronizzare i Cavaliers dalla vetta dell’Est anche ai playoff, ma d’altro canto avreste mai creduto che anche il piccolo grande Isaiah Thomas avrebbe preso un posto nella storia NBA come la leggenda dei Bad Boy dei Pistons, a cui si ispira il suo nome?

Looking East (PS)

Tra la prima e l’ottava ci sono 12 partite. Meno della metà di quelle che separano Golden State da Portland. Dell’Est si possono dire tante cose ma quando si entra in clima playoff l’equilibrio rende le alzatacce meno pesanti di quello che poi realmente sono. Per un pelo Miami non ce l’ha fatta altrimenti già un testacoda 1–8 sarebbe potuto diventare realtà. Alla fine l’ultimo slot lo hanno conquistato i Bulls e incontrare ai playoff Wade e Butler non è esattamente il massimo. I Celtics partono comunque favoriti, l’ultima volta che le due squadre si sono incontrate è emerso un divario di venti punti a favore di Thomas e soci, però dopo l’All-Star Game Chicago si è presa scalpi importanti battendo due volte i Cavs, GSW, Jazz, Hawks. A meno di tracolli emotivi impronosticabili Boston dovrebbe passare il turno e lì verrà il bello.

Sia Atlanta che Washington sono due squadre solide capaci di giocare una pallacanestro piacevole con picchi di eccezionalità. Di fronte ci sono la quarta difesa della lega per DefRtg contro la seconda per percentuali dal campo. Se John Wall azzeccherà 4 serate su sette temo che per Atlanta ci sia poco da fare e a quel punto i Wizards giocherebbero con nulla da perdere. Scenario a dir poco apocalittico per coach Stevens che oltre alla pressione si troverebbe di fronte la squadra rivelazione di questa stagione insieme ai Rockets. A proposito di bombe ad orologeria: i Bucks sono pronti ad esplodere e non lasciare niente alle loro spalle. Contro i Raptors sarà una serie apertissima ma dovessero vincerla allora il Re troverebbe forse l’avversario più scomodo ad Est. Con Tristan Thompson e Irving non al meglio l’atletismo dei vari Giannis, Middleton, Snell, Brogdon potrebbe mettere in seria difficoltà il piano gara di coach Lue. D’altronde sono la terza squadra per punti nel pitturato contro una difesa che almeno in regular season ha fatto acqua da tutte le parti. Con la modalità playoff accesa i Cavs dovrebbero andare fino in fondo ma non si tratta semplicemente di premere un pulsante. Lo scenario più suggestivo (ma difficilmente concretizzabile) sarebbe una finale Wizards-Bucks, più realistico pensare che la legge del Re continuerà a valere (non manca l’appuntamento con le Finals dal 2010) che comunque potrebbe regalarci qualche serata da Alì vs Foreman già nel primo turno quando incontrerà i Pacers di Paul George. La speranza è di vedere partite come l’ultima giocata tra le due squadre con entrambi i pesi massimi a sfornare quarantelli. In ogni caso le possibilità, da qui alla finale, di vedere diverse gare 7 sono concrete. Preparate la macchinetta del caffè, adesso si fa sul serio.

Save the last dance for me (RG)

Ogni anno quando iniziano i playoff, mi viene in mente un tot di giocatori che probabilmente sono all’ultimo ballo, che in certi casi hanno un’ultima possibilità di vincere il titolo, magari piuttosto remota, ma i playoff sono fatti apposta per sognare, no? Quest’anno, appresa la notizia di Nowitzki che rinnova per un altro anno, i principali indiziati ad essere all’ultimo ballo sono sostanzialmente tre, di cui due però già “titolati”: Vince Carter, Paul Pierce, Manu Ginobili. Tra i tre, ammetto di fare il tifo per Air Canada, in primo luogo perché una eventuale — ma ahimè piuttosto difficile — vittoria del titolo lo farebbe finalmente uscire dalla “lista dei grandissimi senza un anello”, dove sì è in buona compagnia, ma dove i giocatori, credetemi, non ci stanno poi molto volentieri, chiedete a Iverson e Nash per conferma. Quello che ci ha fatto vedere Vincredible in tutti questi anni va al di là delle prestazioni sul campo: è una roba che ti porta alla possibilità di riscrivere le leggi della fisica, ripensare agli umani limiti, interrogarti sul senso della vita. Elbow dunk forever in our hearts.

In seconda posizione direi che questi saranno con ogni probabilità i playoff di Paul Pierce, uno che almeno un anello se lo è portato a casa, e che se ne è andato dai Celtics in ossequio ai tempi che corrono, dove si può essere bandiere di una squadra e poi ad un certo punto cambiare aria, spinti da altre sfide, altre prospettive, altre scelte. Anche se per me PP avrà sempre la canotta col 34 dei Celtics, sarà in maglia Clippers a tentare di detronizzare i Warriors dalla Western Conference, impresa quanto mai titanica se si considera che Golden State può sostanzialmente solo perderlo da sola, il titolo, quest’anno, ma i Clips non sono solo Pierce, anzi, prevalentemente non sono Pierce: il suo contributo in termini di esperienza sarà di supporto ad un team che spera di avere finalmente in salute un quintetto che sulla carta non ha timori reverenziali verso chicchessia, da Chris Paul a quell’altro col cognome famoso che ancora deve imparare a tirare i liberi. The Truth is still out there.

Potrebbe infine essere l’ultima corsa per Manu Ginobili, che comunque in carriera ha già vinto un’Eurolega, un oro olimpico e quattro titoli NBA, che per uno col passaporto di uno stato sudamericano, ecco, non è mica male per niente. San Antonio ha perso Duncan, ok? Non so se rendo l’idea. Tim Duncan, ragionevolmente una delle migliori Power Forward mai viste su un parquet (se lo chiedete a me, probabilmente vi dico LA migliore) e insomma, chiunque accuserebbe il colpo, no? Bene, questi hanno fatto 61–21 anche quest’anno, e come facciamo quindi a escludere categoricamente la possibilità che Manu si porti a casa un quinto anello? Voi ve la sentite? Io no. Deja el ultimo baile para mi

Wild Wild West (AC)

La sempre equilibratissima Western Conference è quella che meglio si presta a sfornare possibili sorprese una volta entrati nella post season.

Partendo dal presupposto che Spurs, Warriors e in parte i Rockets abbiano rispettato i pronostici piazzandosi nelle prime tre posizioni, alcune squadre hanno stupito in regular season candidandosi a mine vaganti già a partire da questo primo turno di playoffs.

Le principali indiziate, se non a sovvertire i pronostici almeno a rendere durissima la vita dei più quotati avversari, sono: gli Utah Jazz e gli Oklahoma City Thunder.

I Jazz se la vedranno con i Los Angeles Clippers, con la consapevolezza di avere tutto per dare fastidio a Chris Paul e compagni. Potrebbe essere grave la possibile perdita per l’intera serie di Rudy Gobert, giocatore in grado di cambiare radicalmente l’impatto difensivo dell’intera squadra, con la sua costante presenza intimidatoria all’interno del pitturato. Coach Quin Snyder (a proposito: perché nessuno lo considera per il premio di Coach of The Year?) però ha imbastito anche un attacco equilibrato, guidato da una delle star più sottovalutate della lega, Gordon Hayward, con giocatori funzionali come George Hill (che sta giocando una delle sue migliori stagioni dal punto di vista realizzativo), Joe Ingles, Rodney Hood e con la giusta dose di esperienza portata alla causa dai veterani Boris Diaw e Joe Johnson. Ci sono tutti i presupposti per una eliminazione prematura dei Clippers e, di conseguenza, di una probabile “rifondazione” in estate.

Promette scintille anche la serie tra i Thunder e i Rockets, rappresentata al meglio dalla sfida nella sfida tra le superstars James Harden e Russell Westbrook, probabili MVP e vice MVP. OKC parte con gli sfavori del pronostico ma con Mr Tripla Doppia niente è scontato, nel bene e nel male. Non sarà esattamente un primo turno soft per i ragazzi di coach D’Antoni, protagonisti di una regular season spettacolare chiusa al terzo posto nella Western Conference.

A kind of magic (GA)

Ci voleva uno stregone per i maghi. I Wizards sembravano fuori da tutto verso la fine dell’autunno (7–18 al 7 dicembre), con John Wall nella figura solitaria di chi fa di testa sua e non ha voglia di giocare con gli altri, specie se gli altri sembrano lasciarti fuori dalla post-season per la seconda volta di fila, la quinta in sette stagioni di NBA. Poi però qualcosa è successo. Nessuno ha messo pressione a Scott Brooks, l’uomo che ha fatto convivere Harden, Westbrook e Durant a Oklahoma City. Figuriamoci se metter insieme Wall e Beal fosse un’impresa titanica per lui, coach dell’anno nel 2010. Così si spiega il 49–33 della regular season (.598, maggiore del .534 che Brooks ha in carriera). E ora? Ora si sfidano i non esaltanti Hawks, poi c’è la vincente di Boston-Chicago… non è impossibile vedere i Wizards in finale di Conference a 38 anni dall’ultima.

Per la redazione basket hanno partecipato Gabriele Anello, Andrea Centenari, Roberto Gennari, Marco Antonio Munno, Paolo Stradaioli.

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