Battere gli avversari, il tempo e la morte

Crampi Sportivi
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10 min readMay 1, 2014

John Ellis McTaggart pensava che il tempo fosse una semplice illusione. Difficile dargli torto pensando al mito brasiliano. Egli persiste nonostante il tempo che passa: questo è l’eredità di Ayrton Senna, di cui oggi si celebrano i vent’anni dalla scomparsa. Morì facendo quello che amava.

«Non conosci Ayrton Senna?!» è la frase che pronuncio stupito ogni volta che qualcuno non ricorda di un certo pilota brasiliano di Formula 1. Non uno qualunque: Senna non si iscrive neanche allo sport o a una sua celebrità. Senna è Senna. Il suo nome basta e avanza. Son passati vent’anni dalla morte di quello che non è stato solamente un tri-campione del mondo di Formula 1, ma una vera e propria icona. E lo è stato non solo per le vittorie in pista, ma anche per uno stile di vita che lo rendeva amato dalla gente. Specialmente dal suo Brasile, che Senna non ha mai dimenticato. Un personaggio troppo importante per esser scalfito dal tempo, un po’ come James Dean o Freddie Mercury. Uno di quei personaggi che rimpiangi di non aver vissuto (a tal proposito, consiglio la visione a questo link del documentario prodotto dalla Universal nel 2010).

La McLaren, la bandiera del Brasile e il suo casco: la fondamentale trinità che definisce Ayrton Senna.

La carriera e le gesta di Senna erano già leggendarie prima che accadesse il tragico incidente sul circuito di San Marino. Ayrton Senna ha ottenuto 41 vittorie, che lo issano al terzo posto in questa speciale graduatoria, dietro Michael Schumacher e Alain Prost. Poi ci sono le sue 65 pole position: era un mostro sul giro secco e in generale un vero prodigio della guida. Basti pensare che Senna ha trionfato sei volte nel circuito tecnicamente più difficile, come quello di Montecarlo. Le sue qualità, derivanti da una preparazione maniacale e dagli anni passati nei kart, gli sono valse la seconda posizione nella classifica delle partenze dalla prima posizione. Davanti a lui solo Schumacher: anche se il tedesco ha disputato il doppio delle gare di Senna. Ma soprattutto i tre titoli Mondiali di Ayrton, conquistati nel 1988, nel 1990 e nel 1991.

Aldilà di questi dati, a riassumere meglio Senna ci sono alcune singole imprese che lo hanno contraddistinto nella sua decennale carriera in Formula 1. Come quando guidava non la McLaren, ma una Toleman-Hart.

Senna svolge dei test nel 1983 per correre con McLaren, Williams o Brabham, ma nessuna di queste opzioni si concretizza. Nelson Piquet -tri-campione del mondo — arriva a definirlo “Il tassista di San Paolo”. La Toleman ottiene dei risultati straordinari grazie a Senna: tre podi, ma soprattutto la gara di Monaco 1984. La pioggia ferma tutti, ma non Senna, che con l’antenata della Benetton si issa fino al secondo posto. Poi i giochi di potere — che tanto non piacevano al brasiliano — permettono lo stop alla corsa proprio quando Senna aveva ormai agguantato Alain Prost, allora alfiere numero uno della McLaren.

Senna vs. Prost

La loro rivalità non ha avuto eguali nella storia della Formula 1. Prost era chiamato “il professore”, perché sempre metodico nelle gare e mai troppo propenso a prendersi dei rischi. Senna invece era pronto a tutto per vincere: basti pensare al GP di Monaco del 1988, quando domina la gara con quasi un minuto di vantaggio su Prost. Tuttavia, pur di spingere fino alla fine, va a sbattere contro le barriere del Portier, regalando la vittoria al compagno-avversario. Mentre Senna si toglie diverse soddisfazioni in Lotus per tre stagioni, Prost vince il campionato del mondo nel 1985 e nel 1986. E le differenze di stile permanagono anche in McLaren, dove Senna diventa il compagno di squadra di Prost nel 1988. Si accendono i primi focolai tra i due, destinati poi a esplodere nel biennio 1989–1990.

Con la McLaren, macchina nettamente più forte del circus, i due non esitano a darsele di brutto, sia in pista che fuori. Fioccano dichiarazioni al veleno, specie nel periodo trascorso assieme alla McLaren. Il giudizio di Prost su Senna è duro:

«È un pilota senza onore, non è bello battersi con lui».

Un astio che esplode però soprattutto in pista: sull’asfalto non c’è pietà. Alla penultima gara del 1989, sul circuito di Suzuka, Prost — vedendo a rischio la propria possibilità di vittoria del titolo — entra in rotta di collisione con Senna. Il francese rimane lì, mentre il brasiliano riparte e conclude una straordinaria rimonta per la vittoria.

Il giorno successivo, una decisione da parte della FIA (Federazione internazionale dell’automobilismo) annulla la vittoria di Senna e consegna il titolo nelle mani di Prost. Il presidente della FIA di allora, Jean-Marie Balestre, era accusato di favorire il connazionale transalpino: su Autosport, dopo Suzuka 1989, escono accuse sul favoreggiamento di Balestre nei confronti di Prost. Il contrasto tra Senna e il presidente della FIA continua anche dopo quella gara, quando Balestre decise di multare il pilota brasiliano e sospenderlo per sei mesi, minacciando anche il ritiro della sua super-licenza, necessaria per correre in Formula 1.

Intanto Senna e Prost continuano a darsele, anche una volta che si separano: il francese va alla Ferrari e sono sempre loro due a giocarsi il Mondiale anche nel 1990. L’ultimo atto è ancora a Suzuka, dove Senna conquista la pole position. Tuttavia la FIA — con una decisione controversa — decide all’ultimo momento di far spostare la partenza del primo qualificato sul lato sporco della pista. Un gioco di potere che non piace a Senna, che promette a sé stesso: “Se le cose non vanno come dico, allora farò di testa mia”. Il brasiliano si prende la sua vendetta con gli interessi rispetto a quanto accaduto nel 1989. Alla partenza, Senna viene superato da Prost. La Ferrari è davanti alla prima curva, ma Senna sperona il francese ed entrambi finiscono la gara dopo pochi metri. Di fatto, si chiude così la contesa per il titolo 1990 in favore del pilota McLaren. Ma il duello è tutt’altro che finito e continuerà anche a distanza, quando il francese prenderà possesso della Williams invincibile di metà anni ’90.

Forse il giro migliore della carriera di Ayrton Senna.

Time to change

Del resto, dopo tre titoli mondiali, Senna capisce che la McLaren non è più il posto vincente di prima. Il binomio Williams-Renault è destinato a dominare la Formula 1 per un po’ di tempo e il pilota brasiliano lo capisce prima di altri. A Woking rimarrà fino al 1993, dopo aver comunque dato prova della sua grande abilità. Un altro esempio è il primo e unico GP di Donington, vinto dalla McLaren del brasiliano nel 1993: quinto dopo la prima curva, Senna supera tutti nel primo giro e si porta in testa, senza mai mollare la conduzione della gara. Il tutto nonostante una pioggia torrenziale e la difficoltà di guidare in un circuito pieno d’acqua. Solo Hill si salva dall’umiliazione di esser doppiato da Senna: una danza sulla pioggia alla quale persino Alain Prost deve arrendersi quel giorno. Ma non basta per rimanere in McLaren: Senna vuole fortemente la Williams. E alla fine ci arriva nel 1994, dopo tante contrattazioni (anche la Benetton di Briatore lo voleva) e l’addio di Prost proprio dalla Williams.

Molti si sono sempre chiesti come mai uno dei più grandi piloti della Formula 1 non abbia mai corso in Ferrari. La verità è che non ci fu mai un accordo: dopo il 1992, la Rossa ci provò, ma venne rifiutata da Senna. In realtà, come rivelato dal suo manager, il brasiliano aveva preso in considerazione l’idea di arrivare in Ferrari nel 1996, per poi ritirarsi nel 2000 all’età di quarant’anni. Un esito mai avvenuto e infatti nel 1996, a Maranello, arrivò un arci-rivale di Senna: Michael Schumacher, allora bi-campione con la Benetton.

Senna sulla Williams-FW16 del 1994: solo tre gare per lui con la scuderia di Grove.

A caratterizzare la figura di Senna c’è anche la fede in Dio. Il brasiliano ha sempre enfatizzato un rapporto vicino e quasi personale con la propria fede, che lo ha spinto — secondo lui — verso i successi e le soddisfazioni della sua carriera. Senna afferma di aver visto Dio accanto a lui sulla griglia di partenza del GP di Giappone del 1988, in cui conquisterà il suo primo titolo mondiale. Un personaggio ben diverso da Prost, il San Tommaso della Formula 1. Senna era solito leggere la Bibbia nei lunghi voli che lo portavano in giro per il mondo. La stessa mattina della sua morte, Viviane Senna — sorella di Ayrton — rivelò di come il pilota brasiliano avesse letto un passo significativo della Bibbia:

«In quel mattino finale, si svegliò e lesse un passo nel quale gli fu rivelato che avrebbe ricevuto il dono più grande: Dio stesso».

Un Dio che lo ha aiutato, a modo suo, anche il 24 marzo 1991, quando Senna trionfa per la prima volta nel GP del Brasile. Un traguardo che gli era sempre mancato, ma che ottiene in modo rocambolesco. La McLaren di quegli anni domina, ma lui soffre di un problema al cambio dopo una gara dominata, che lo costringe a girare unicamente con la sesta marcia negli ultimi giri. Immaginate correre con i cambi di allora e con una sola marcia a disposizione: il dolore di Senna esce fuori in tutta la sua violenza nel team radio dopo la fine della corsa. Finalmente vittorioso, il brasiliano urla come un pazzo per la vittoria ottenuta e l’auto dei medici deve trasportarlo sul podio per la consegna del trofeo.

This is the end

Primo maggio 1994. È un pomeriggio di sole a San Marino, la stagione è stata difficile sin lì per Ayrton Senna. Dopo aver firmato per la Williams, la FIA ha impedito l’utilizzo di alcuni dispositivi elettronici che avevano reso quella macchina la più desiderata del circus. Senna viene da due ritiri e dalla delusione per una macchina non corrispondente alla grandi aspettative di inizio stagione.

I giorni prima avevano già configurato quel gran premio fu uno dei più funesti nella storia della Formula 1. L’incidente — senza conseguenze — di Rubens Barrichello nel venerdì, ma soprattutto la morte di Roland Ratzenberger durante le qualifiche del sabato: il pilota austriaco della Simtek perse la vita dopo la rottura dell’ala anteriore della sua vettura, che causò lo scontro con il muro a 306 km/h. E Senna non può fare a meno di pensare che quello non fosse un bel segnale; va a controllare il punto in cui Ratzenberger perse la vita e cade in un pianto profondo. A questo si deve aggiungere il tremendo scontro in partenza tra la Lotus di Pedro Lamy e la Benetton di J.J. Lehto, con i detriti che ferirono nove spettatori. Infine, la perdita di una ruota da parte di Alboreto ai box della Minardi, che ferì tre meccanici.

Nonostante tutto, la domenica si corre. Come da copione, Senna è in prima posizione, sebbene la Williams gli abbia procurato due ritiri nelle prime due gare. Il brasiliano spinge nei primi giri per portare a casa la vittoria, finché non si arriva alla curva del Tamburello. Racconterà Gerhard Berger qualche anno dopo, che aveva subito lo stesso incidente nello stesso punto nel 1989:

«Con Ayrton convenimmo che dovevamo togliere quel muro: era pericolosissimo. Dietro a quel muretto, Ayrton vide che c’era un ruscello. Non si poteva togliere quel muro, ma lui disse che qualcuno ci avrebbe lasciato le penne».

Senna perde il controllo della sua Williams e va a scontrarsi contro le barriere. Il piantone dello sterzo cede di colpo e trafora il suo casco. Non solo: la sospensione si rompe e una gomma lo prende in pieno. Chi lo tira fuori dalla macchina ha probabilmente già perso le speranze. Come Sid Watkins, allora medico della FIA e amico di Senna, che racconta di come vide un rantolo nel corpo di Senna: lui lo interpretò come un segnale, di un addio dell’anima di Ayrton al suo corpo. Viene fatto il possibile per salvarlo, ma l’annuncio dell’equipe medica dell’Ospedale Maggiore di Bologna chiude l’ultima corsa di Senna, che aveva già lasciato questa Terra alle 14.17 di quella festa dei lavoratori del 1994. Con la beffa finale: nella sua auto, viene trovata una bandiera austriaca. Se avesse vinto, Senna avrebbe voluto dedicare la vittoria a Ratzenberger. Un ultimo omaggio che non ha mai avuto luogo.

Eredità inarrivabile

Non so se avete mai visto un funerale di Stato. Se mai voleste averne una buona immagine, quello di Senna ti toglie il fiato: l’intero Brasile si strinse intorno al suo eroe, quello che ne aveva portato il nome all’estero. All’epoca il Brasile non era certo il paese in via di sviluppo che conosciamo oggi e Senna era uno dei pochi motivi di vanto per i brasiliani. Come la nazionale di calcio, che proprio quell’anno centrò il quarto titolo mondiale nella finale di Pasadena contro l’Italia. Leonardo, attualmente a Parigi, rivelerà di aver incontrato Senna e che proprio lui aveva predetto che la nazionale sarebbe diventata Tetracampeão. E che gli dedicò uno striscione dopo la finale. Il governo dichiarò tre giorni di lutto nazionale e la bara di Senna fece un viaggio di 25 chilometri per tutta la città di San Paolo, con 2500 poliziotti a protezione del fu fenomeno. Si dice che furono tre milioni le persone presenti per le strade di San Paolo per l’ultimo addio ad Ayrton Senna. Forse il funerale con più presenze nella storia moderna. Senna disse una volta:

«La mia carriera durerà solo pochi altri anni, ma spero di poter migliorare ancora come uomo e continuare a imparare».

Oggi avrebbe 54 anni e tante cose da raccontare. Chissà se avrebbe vinto un altro Mondiale, il quinto della sua carriera. Chissà se avrebbe mai corso in Ferrari, come molti italiani speravano. Chissà se il dualismo con Schumacher sarebbe degenerato o se sarebbe passato alla storia come quello con Prost. Magari oggi lo vedremmo camminare nei paddock, aiutare il suo Brasile e chiaccherare con chi oggi la storia la sta scrivendo: vi immaginate un dialogo tra il gelido Raikkonen e il dinamico Senna? O una sfida in pista con Vettel, Hamilton o Alonso? Il suo epitaffio, degna chiusura di una vita vissuta al massimo, recita: «Nulla può separarmi dall’amore di Dio». E forse nessuno può separarci dal suo ricordo, nonostante un ventennio dalla sua morte.

Senna che esce dalla sua Williams malconcia dopo l’incidente di San Marino nel 1994: un’immagine che ancora oggi rimpiangiamo.

Articolo a cura di Gabriele Anello

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