Bello guaglione

Crampi Sportivi
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6 min readSep 21, 2016

Se volessimo fare un paragone tra il Liverpool e l’Empoli, si potrebbe assumere che Maurizio Sarri sia stato il Bill Shankly azzurro: ha preso la squadra sull’orlo della Lega Pro e, nonostante qualche difficoltà iniziale, l’ha portata in alto sia a livello di classifica che di gioco, facendo apprezzare l’Empoli in lungo e in largo, persino fuori dall’Italia.

Si dirà che Bill Shankly è durato di più e soprattutto ha vinto di più, ma non bisogna concentrarsi sui risultati, bensì sul significato dell’allenatore in relazione al contesto. Sarri è Shankly, punto e basta, per sua sfortuna però nell’Empolese-Valdelsa non c’è nessun David Peace.

Marco Giampaolo è Bob Paisley: entrambi hanno ereditato una squadra fatta e finita e sono riusciti a andare sempre più su, raggiungendo traguardi a loro modo storici. Giampaolo e Paisley sono due personalità differenti ed è vero, tanto è malausseniano e introverso l’uno, quanto è passionale e romanzesco l’altro. Eppure ambedue sono riusciti a tirar fuori qualcosa di inaspettato, se così si vuol definire, da una squadra che poteva aver dato tutto.

Giovanni Martusciello è senza ombra di dubbio Joe Fagan. Ex bandiera da calciatore, entra nello staff del primo allenatore e rimane in quello del secondo allontanando le voci da Napoli. Martusciello però, forse più di Fagan, ha preso in mano un gruppo ormai storico e ha il compito di non far rimpiangere i suoi predecessori. Eppure di lui, come all’epoca di Fagan, si conoscono poco le sue doti da allenatore.

Giovanni Martusciello è ischitano di nascita ma empolese d’adozione. È arrivato in riva all’Arno a ventiquattro anni e, nonostante sette stagioni a girare per l’Italia, non se ne è mai andato. Per capire bene cosa voglia dire essere empolese — nel senso di tifare Empoli — basta proprio guardare Martusciello: una persona senza fronzoli, schietta come i toscani e cocciuta come i campani, e che macchia una lieve dizione simil-partenopea con una leggerissima cadenza empolese.

L’azzurro di dosso non se l’è mai tolto: da giocatore è stato baluardo e capitano dell’epopea Spalletti dalla Serie C alla Serie A, da allenatore in seconda ha vissuto il rinascimento empolese dopo troppi anni di declino e buio. Appese le scarpe al chiodo, ha fatto quello che a Empoli fanno con grandi successi ormai da decenni, ma che sotto la presidenza di Fabrizio Corsi è diventato un fiore all’occhiello: ha lavorato coi giovani.

https://www.youtube.com/watch?v=JBfRP8C8KgY

Dalle prime giornate di campionato è venuto fuori che il Bello Guaglione — uno dei cori dedicati al Martusciello giocatore, idolo della Maratona Inferiore tanto da vedersi dedicare un “oh mamma mamma mamma” personalizzato — predilige il 4–3–1–2. E chi l’avrebbe mai detto. Quello a Empoli non è un modulo, è un dogma: come il 4–3–3 a Barcellona. Martusciello si adatta ai giocatori che ha e, rispetto alle passate edizioni del New Deal empolese, ha la pecca di poter sfruttare meno qualità complessiva.

Dopo un’annata come il 2015–16 si propenderebbe a dare l’Empoli come sicuro della salvezza, e invece no, ancora una volta l’incubo retrocessione è lì. Squadra rifondata, centrocampo rifatto del tutto, sicurezze resettate e via, si parte. L’Empoli mai come quest’anno è un’incognita. Sul calciomercato si è puntato molto a rinforzare un gruppo privo di grossa esperienza e sono arrivati i due acquisti più roboanti della storia azzurra, Manuel Pasqual e Alberto Gilardino (primo campione del mondo a giocare a Empoli). A centrocampo però manca qualità e questo convince poco. C’è José Mauri, sicuramente farà una stagione da incorniciare, ma bisognerà capire se Buchel si ripeterà e soprattutto se Croce reggerà ancora.

La manovra azzurra nelle prime uscite non è parsa fluida come negli anni passati ma è vero anche che, per il tipo di preparazione effettuata, i toscani partono notoriamente a rilento. Bellusci e Costa sono una coppia arretrata interessante, con loro dietro magari si può stare tranquilli anche se per il tipo di gioco assolutamente non difensivo che propone l’Empoli i problemi sono più avanti. In quattro gare sono arrivati due gol, entrambi di testa e entrambi di un difensore da calcio piazzato. Gilardino, Maccarone e Pucciarelli hanno avuto poche palle gol, Saponara invece è stato sfortunato a Udine e in ombra nelle altre circostanze. Il giro palla dell’Empoli rischia di diventare fine a se stesso contro squadre chiuse, perché muovere la sfera su linee orizzontali è, oltreché rischioso, pure vano. La ricerca degli spazi e dei triangoli è alla base del calcio di Martusciello, ma finora spazi e triangoli latitano. Affidarsi alle giocate del singolo non rientra nella filosofia empolese e quindi bisognerà aspettare che un attaccante si sblocchi o che si affrontino squadre più aperte.

Il vero problema dell’Empoli infatti è che ogni stagione è un terno al lotto. Uno si aspetta di vederlo in B alle 22° giornata e poi se le ritrova a pochi punti da Inter e Fiorentina. Quando è chiamato a fare il salto di qualità, allora perde partite improponibili e centra filotti negativi che nemmeno Nick Hornby ha visto mai. Tutto questo perché? Non è il caso di considerare l’Empoli una squadra dolcemente complicata sempre più emozionata e delicata, ma un gruppo di giocatori che si distaccano completamente da una comune credenza.

È colpa di squadre come il Bologna di qualche anno fa o il Chievo o il Livorno o qualsiasi altra squadra se normalmente si è abituati a pensare a giocatori che, per centrare la salvezza, giocano col coltello fra i denti. Squadre imbottite di centrocampisti muscolari, punte parafulmini da dieci gol a stagione se va bene, sospinte dal talento a sprazzi di un’eterna promessa, aiutate da una difesa a tre organizzata ma scalcagnata. No, l’Empoli non appartiene a questa categoria.

https://www.youtube.com/watch?v=ekDdJR_5fP8

Specie se lanci gente come Paredes.

Questo ha i suoi pregi e i suoi difetti. Paradossalmente una squadra così — che cerca di imporsi come “grande fra le piccole”, si potrebbe dire — non fa fatica quando gioca i match di cartello, perché trova squadre aperte e spesso le atterrisce con un giro palla perfetto e un gioco fatto di profondità e verticalizzazioni che raramente in Serie A si vede al di sotto del sesto posto. Non è un caso se l’Empoli ha battuto il Napoli, la Lazio e la Fiorentina, ha fermato il Milan e la Roma e ha creato seri grattacapi a Juventus e Inter nelle ultime stagioni.

Il difetto principale è che spesso più del dolor poté il digiuno, ma a Empoli non funziona così. Se si rimane coerentemente ancorati a un’idea, si fa fatica dopo due, tre, quattro anni a liberarsene. Quando l’Empoli deve giocare da piccola non è che fallisca nell’impresa, ma semplicemente non lo fa perché non è nelle sue corde. A Empoli non ci si snatura e per questo si perde due volte su due col Frosinone, non si riesce quasi mai a battere Edy Reja, si fa una fatica immane contro l’Udinese e si capitola col Cagliari.

In definitiva, a voler usare un’espressione di moda tra i grandi giornalisti calcistici di oggi, l’Empoli “gioca a calcio”. (Piccola digressione: immaginate di veder giocare a carte una qualsiasi persona. La suddetta persona si dimostra abile e vince, o quantomeno mostra di saperci fare. Tenendo contro che l’atto stesso del giocare non presuppone il saperlo fare, direste mai che “gioca a carte”? O almeno, a voi quello sembra davvero un complimento?).

https://www.youtube.com/watch?v=CS_14_mlvD4

Un esempio dell’era-Sarri.

È la summa del gioco dell’Empoli. È il verbo di Sarri-Giampaolo-Martusciello fatto carne. È il giocatore italiano più tecnico e l’unico in grado di saper indossare la maglia del vero dieci con disinvoltura, fatta eccezione per l’oriundo Vazquez. Saponara però non segna dallo scorso dicembre e il lato oscuro della sua luna è lo stesso dell’Empoli: è troppo umano. Si ferma a ragionare, si sovraccarica di pensieri e continua a usare il fioretto anche quando la sciabola è obbligatoria. Saponara e l’Empoli sono troppo intelligenti a volte per poter giocare a calcio in Serie A.

Siamo a settembre inoltrato e addentrarsi in pronostici adesso è materia da televisioni locali, ma quest’Empoli pare un po’ più indietro rispetto a quello delle passate stagioni. Il rischio retrocessione è lì, immateriale e presente. Più che la retrocessione, a spaventare gli empolesi è che tutto questo un giorno possa finire. Martusciello è a Empoli dal 1994: averlo scelto come allenatore presuppone un suo possibile addio un giorno, a meno che non si pensi a lui come a un Aurelio Andreazzoli meno temporaneo. La paura di poterlo perdere, di dover dire addio all’anima vera e propria del gruppo azzurro da sei anni a oggi è palese ed è questo che tormenta gli azzurri. Più della retrocessione, senza ombra di dubbio.

https://www.youtube.com/watch?v=TUkhjq7EAmc

Perché Bello Guaglione può essere un allenatore interessante — e lo è, per il tipo di calcio che produce e perché non è impostato come molti colleghi — così come una meteora, ma è soprattutto Empoli e non v’è stato mai nella storia azzurra un mister che incarnasse così tanto i valori della società e del presidente Corsi. Poi magari tra nove mesi saremo qui a commentare un Empoli salvo per un pelo, o in B o nuova sorpresa della Serie A, agli empolesi il risultato cambia poco. “Con poco si fa tanto” è il motto azzurro e quindi non è una discesa agli inferi a preoccupare l’ambiente.

Articolo a cura di Gianmarco Lotti

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