Bode Miller e la maturità

Crampi Sportivi
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6 min readJan 24, 2018

«Ho sciato da ubriaco».

«Certe volte le mie performance sono state influenzate dall’alcol, a volte in positivo, altre in negativo. Ci sono state gare in cui sono andato davvero forte all’inizio del percorso (…) Se uno ha provato a sciare dopo una sbornia, sa bene che non è semplice. Scendere in uno slalom in quelle condizioni è davvero dura, con i paletti da abbattere ogni secondo, è rischioso, e si mette a repentaglio la propria vita. È come guidare ubriaco, solo che nello sci non ci sono regole da rispettare».

Durante un Super-G olimpico, a Torino 2006.

Alle Olimpiadi di Torino era presenza fissa in discoteca e ciò potrebbe spiegare questa cosa qui. Un drinking game meraviglioso sarebbe riguardare ogni singola gara e scommettere: sobrio o ubriaco? Chi perde beve.

Bode Miller è un personaggio larger than life. Cresciuto nei boschi da una coppia di hippie, sciatore autodidatta, restio alle regole e alle tattiche, spericolato come solo uno spirito giovane può essere. La sua figura non può essere riassunta in poche righe, ma queste dichiarazioni rilasciate alla vigilia delle Olimpiadi di Torino del 2006 fanno cogliere il suo lato più leggero, spensierato oltre ogni ragionevole limite.

Un atleta che si lascia andare a certe esternazioni sarebbe stigmatizzato da colleghi, addetti al settore, appassionati. O per lo meno polarizzerebbe l’opinione pubblica. Non Bode: lui era amato senza divisioni, senza remore, da tutti e in tutte le sue coerenti contraddizioni.

Una delle performance che lo ha reso celebre.

Io non facevo eccezione. La mia infanzia e la mia adolescenza sono state dedicate allo sci e al culto di Bode Miller. In casa ci si riferisce a lui come Bode, chiamandolo per nome, alla stregua di un familiare. Quante volte sono caduto rovinosamente a terra, e come me migliaia di appassionati ragazzini, provando a emulare Bode e provocando il disappunto rassegnato degli allenatori. La sua sciata da autodidatta era peculiare, per usare un eufemismo.

Ricordo che analizzavamo i suoi video al rallentatore solo come esempio negativo: vedete come scia? Voi dovete fare il contrario.

Ogni sciatore alpino ha in testa l’idea dello sciatore ideale, che viene personalizzata automaticamente nel tentativo di metterla in atto. Le sciate più riconoscibili son quelle di Marcel Hirscher, potente e nervosa; quella di Ted Ligety, che trova nell’assetto stabile e nelle linee rotonde i suoi marchi di fabbrica; quella del giovane Solevåg, che scia dritto e aperto come una pianta a basso fusto, spingendo con le braccia in modo unico. Sono tutte variazioni sul tema dello sciatore modello.

Bode va oltre: non adatta l’ideale di sciatore, lo ribalta.

Inclinato con busto e spalle verso l’interno della curva, dovrebbe far fatica ad avere lo sci esterno carico, invece riesce sempre a spingere sulla parte anteriore dello scarpone trovando la pressione necessaria a deformare lo sci e chiudere la curva in un attimo. Tende ad arretrarsi molto, soprattutto tra una curva e la successiva, ma questo non sembra influire in negativo sulla sua sciata. Aggiungendo una capacità assolutamente fuori dal comune di trovare inclinazioni esasperate, di far correre lo sci quando gli altri preferiscono “sporcare” la curva, di effettuare recuperi funambolici e una buona dose di (in)sana incoscienza, otteniamo un atleta che infiamma le folle, e non solo.

Il suo palmarès annovera due coppe del mondo generali (la prima delle quali frantumata durante il volo verso casa, perché imbarcata in una valigia nonostante fosse di cristallo), quattro di specialità, sei medaglie olimpiche e cinque iridate (di cui una utilizzata per tenere aperta la tavoletta del water); 79 podi, di cui 33 vittorie in coppa del mondo. Lo statunitense è stato uno dei cinque uomini nella storia vincere una gara in tutte le specialità dello sci alpino, uno dei due a riuscirci nella stessa stagione, l’unico a farlo in 16 giorni.

E un gioco a tema per PlayStation 2 che probabilmente molti di voi hanno dimenticato.

Nonostante tutto avrebbe potuto raccogliere molto di più dato era solito buttare le gare con errori tanto stupidi quanto spettacolari. In un circo bianco di sciatori Superman e alieni iper-atletici da laboratorio, Bode era come Spiderman. In lui potevi rivedere te stesso. Amava divertirsi, bere, fare festa e fregarsene di tutto; era in grado di fare errori che neanche ai campionati interprovinciali. Poi improvvisamente si trasformava in supereroe e faceva cose assurde. Forse era questo il segreto del suo successo: il pubblico poteva immedesimarsi e credere di fare eccezionalmente quelle cose assurde, piuttosto che tentare di empatizzare con un alieno che viene da Krypton e che deve mascherarsi per sembrare umano.

Eppure la gara che mi si è scolpita nel cuore è stato il supergigante delle Olimpiadi di Sochi, la quale, adottando le periodizzazioni che caratterizzano lo studio dei grandi artisti, appartiene all’età tardo-Milleriana.

Nel 2008 era così in stato di grazia da potersi permettere di sciare sulle reti dove altri sono quasi morti.

La rincorsa a quella manifestazione parte da ben quattro anni prima, dalla rassegna di Vancouver 2010, quando Bode ha vissuto un periodo di vera grazia, aggiudicandosi tre medaglie e mascherando l’inizio della sua parabola discendente. Nelle annate successive i podi in Coppa del Mondo diventano sempre più sporadici, il suo nome nelle classifiche generali sempre più defilato. Già da prima delle Olimpiadi canadesi, negli angoli più remoti del circo bianco, si sussurrava di un possibile ritiro. I sussurri si fanno voci e le voci si fanno insistenti, soprattutto quando Bode decide di saltare completamente la stagione 2012/13 per rimettere in sesto il ginocchio operato. Le sue dichiarazioni puntano a tranquillizzare i fan: a sua detta è una scelta strategica per puntare a Sochi e presentarsi al massimo della forma.

L’avvicinamento alle Olimpiadi avviene nel più totale scetticismo, che si tramuta in moderato stupore quando Bode arriva tre volte a podio, rispettivamente in gigante, supergigante e discesa libera, nella prima parte della stagione 2013/14.

Tutti in cuor loro ci credono, ma nessuno osa dirlo apertamente.

È il 16 febbraio 2014, sul versante meridionale del Grande Caucaso, a Krasnaja Poljana, circondario urbano di Sochi. Un sole limpido illumina il profilo adombrato dalla barba di Bode Miller. Sembra una tipica giornata marzolina sulle nevi appenniniche: cielo terso, vegetazione spoglia. Bode si affaccia al cancelletto con la solita andatura ciondolante, guardando rilassato davanti a sé con quell’aria svogliata di chi lì c’è finito per caso ed aveva di meglio da fare, prima di proiettarsi all’improvviso oltre il cancelletto di partenza.

Stessa storia, stesso posto, stesso bar, sembrerebbe, ma la vita di Bode è cambiata molto dagli eccessi giovanili. All’arrivo c’è la moglie che gli darà due figli, che si aggiungono ai due avuti da precedenti relazioni. Per la prima volta Bode non si trova a raccogliere vittorie nonostante i suoi eccessi e la sua totale mancanza di tattica; ha lavorato duro, con un obiettivo a lungo termine, contro avversari più forti e più giovani e contro un fisico che iniziava a presentargli il conto di una carriera agonistica lunga e logorante.

Bode è ormai un uomo e sto diventando tale anche io. La mia infanzia è finita, il tempo dei giochi è finito, il mio eroe da bambino è sul viale del tramonto. Vedere la sua sagoma stagliarsi nel sole è un inno alla caducità e contemporaneamente un’ultima carezza al mio Io bambino. La sua discesa non sarà impeccabile, lui non lo è mai stato, ma è abbastanza per il bronzo e per diventare il più vecchio sciatore alpino a vincere una medaglia olimpica: 36 anni e 127 giorni. Il mio cuore è in sollucchero, un’ultima volta. Adesso è ora di diventare grandi.

Articolo a cura di Gianluca PizzutelliStudente di giurisprudenza e maestro di sci. Appassionato di sport, innamorato della montagna.

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