Boit-Daehlie, gli opposti al traguardo

Chiara Di Paola
Crampi Sportivi
Published in
3 min readJan 20, 2018

47:00.8. Inizia lo sprint.

Dopo 10 km di corsa si intravede, finalmente, il traguardo. È il traguardo olimpico, il sogno a 5 anelli e Philip, nella gara di fondo, è l’unico rappresentante del suo continente: un uomo solo per un intero cerchio olimpico. Il cronometro scorre e la spinta con le braccia aumenta, ora mancano solo pochi metri. 47:24.9.

Incredibile, il fondista keniota non ha rivali al traguardo; 47:25.2; 47:25.3; 47:25.4, la gara la fa su sé stesso.

Solo un’ultima spinta all’arrivo, un’ultima spinta per compiere l’impresa. Il fisico provato dalla gara estenuante, una striscia bianchissima di denti che riprende il colore della neve sul suo viso scuro. A metà tra il sorriso e l’espressione di fatica. Una frazione di secondo. Un millesimo di secondo. 47:25.5. Philip Boit taglia il traguardo e per l’entusiasmo dello sprint finale fatica a fermarsi.

Fortuna che c’è un norvegese in tenuta rossa, cappellino in testa e doposci già ai piedi a fermarlo. Lo prende per un braccio, stoppa la sua corsa forsennata, gli si mette in piedi davanti, lo guarda, guarda il suo sorriso incredulo, pacca sulla spalla, un accenno di abbraccio e pugno contro pugno. A complimentarsi con lui. Da uomo a uomo. E poi si rigira, il norvegese in rosso, va verso il podio, per andarsi a prendere quella medaglia che si era guadagnato 20 minuti prima.

La premiazione della 10 chilometri di fondo alle Olimpiadi di Nagano è stata rimandata, c’era da aspettare l’ultimo concorrente. 20 minuti di ritardo dal primo, otto dal penultimo. È Philip Boit, ultimo quel giorno… è vero, ma è arrivato anche primo. Primo e unico atleta keniota mai iscritto ai Giochi invernali. L’uomo in tenuta rossa invece è l’atleta più vittorioso della storia dello sci di fondo, un certo Bjørn Dæhlie. Gli opposti al traguardo. L’ha aspettato lì Daehlie, per ben 20 minuti. Gli doveva quell’abbraccio.

Un abbraccio che passerà alla storia dello sport. 12 medaglie olimpiche, ben otto d’oro; 17 podi Mondiali (nove volte sul primo gradino, cinque sul secondo, tre sull’ultimo); otto Coppe del Mondo; 72 podi sempre in Coppa. Albertiville, Lillehammer, Nagano. Icona culturale del suo paese, simbolo di uno sport, vera e propria leggenda dello sci nordico. Bjørn Dæhlie abbraccia Philip Boit. Portabandiera del suo paese, è vero, ma anche unico rappresentante del Kenya. Alla sua prima Olimpiade. Mezzofondista, come vuole la tradizione keniota, ma sulla neve.

In quell’abbraccio ci sono gli anni di allenamento di Dæhlie, i sacrifici del campione, i successi, le medaglie, le vittorie e le sconfitte; in quell’abbraccio c’è la testardaggine di Boit, il trasferimento in Finlandia a 25 anni, l’obiettivo, sempre fisso in testa, di tagliare quel traguardo olimpico. Gli opposti al traguardo.

C’è l’atteggiamento composto del pluri-medagliato norvegese e il sorriso esuberante dell’esordiente olimpico. Opposti al traguardo. Chissà se, pensandolo e ripensandolo, lontano da casa e in un paesaggio che gli era sicuramente poco familiare, assaporando quel momento che gli era valso sacrifici e ore di allenamento, fantasticando sulla realizzazione del suo sogno, Boit se l’era immaginato così. Così distante non dico dal primo, ma persino dal penultimo. Così vicino, però, stretto stretto nell’abbraccio con una medaglia olimpica in carne e ossa.

Non c’è niente di comico o poco nobile in quei 20 minuti di ritardo; in quell’abbraccio di opposti che a volte si toccano, che — nella loro distanza — possono capire, solo loro, così vicini, il significato dei cinque cerchi olimpici. Di quei cinque cerchi che si fondono nella loro diversità, in un unico sogno, veramente uguale per tutti.

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Chiara Di Paola
Crampi Sportivi

Calcio e montagna. Penna e radio. Redattrice di Rete Sport, studentessa di Lettere all’Università La Sapienza di Roma, appassionata di sport e scrittura