Boring Man (o la noiosa virtù di chiamarsi James Milner)

Crampi Sportivi
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10 min readJan 4, 2016

Iron Man, l’incredibile Hulk, Thor, Capitan America, Ant-Man. Prima ancora X-Men, Spider Man, i Fantastici Quattro, Blade, Daredevil e persino Silver Surfer («A me la tavola, a me!»). Mettiamoci anche i Guardiani della Galassia e The Avengers: sono solo alcuni dei protagonisti dei tanti titoli che hanno proliferato dal 2008 a oggi.

Cos’è successo nel 2008? La Marvel Studios ha deciso di aprirsi al mondo, cominciando a produrre film sui propri supereroi, con risultati alterni. Dopo aver già lavorato dal 1992 come Marvel Entertainment, la Disney è intervenuta e ha messo le mani ANCHE su questi protagonisti.

Tra i tanti eroi partoriti dalle loro menti, nessuno ha probabilmente pensato a uno come lui.

È buono. Non fa polemica, anzi spesso è impegnato in attività benefiche. Sarebbe un leader silenzioso, ma nessuno ha mai avuto modo di confermarlo. Ha vissuto in una squadra di superstar nell’ultimo quinquiennio e ha delle doti notevoli, eppure tutti lo trattano da sempre come il Robin di turno.

James Milner oggi compie trent’anni. E noi di Crampi Sportivi abbiamo pensato che qualcuno su questo pianeta dovesse dargli il giusto riconoscimento per quanto fatto finora. Anche se non è un supereroe. Ma ne siamo poi così sicuri?

Golden boy

Nato in un distretto industriale di Leeds, James Philip Milner sembra destinato fin da subito alla grandezza. Ha i contorni dell’eroe non tanto per il suo spirito da leader, quanto per le doti che madre natura gli ha fornito sin dalla nascita.

Alle medie, questo ragazzino ottiene un premio e ben 11 General Certificate of Secondary Education. In soldoni, parliamo di una certificazione che viene fornita in Inghilterra a quei ragazzi che si distinguono in una certa disciplina.

James Milner era destinato a diventare in realtà un fenomeno dell’atletica. Bravissimo nel cricket, il giovane James si distingue nello sprint e nelle corse di lunga distanza. Diventa persino il campione di cross-country della scuola: uno destinato a dominare.

Eppure, a dieci anni, qualcuno lo convince che il calcio possa essere la sua vita. Forse è naturale che quell’eroe in erba vada a giocare nell’impianto più vicino che conosca: a Elland Road il Leeds di inizio anni 2000 è una macchina straordinaria, nonché fonte di nostalgia hipster.

È il Leeds United di David O’Leary. Quello che raggiunge le semifinali in Coppa Uefa nel 2000 (fuori con il Galatasaray) e in Champions League nel 2001 (stavolta è il Valencia a eliminare il LUFC). Quello cattivo, che ha in squadra Bowyer e Woodgate, che perde due tifosi accoltellati nella trasferta di Istanbul.

Dal 2001, il Leeds soffre una crisi finanziaria che lo porterà non solo a retrocedere in Championship, bensì a finire in terza divisione nel 2007. In questo quadro, è necessario dare spazio ai giovani e vendere le stelle (vedi la partenza di Rio Ferdinand verso lo United per 45 milioni di euro).

James Milner è un portento dell’academy: il suo modello è Alan Smith, tuttofare offensivo del Leeds di quegli anni. Continua ad andare al college una volta alla settimana: «Non volevo pensare di avercela già fatta». E qui già si vedono i primi tratti di quello che è sempre e costantemente con i piedi per terra. La pressione dovrebbe schiacciarlo, ma in realtà lui non si lascia andare a nessun vizio. Ancora nel 2008 diceva:

«Non credo ci sia nulla di sbagliato nel bere, io però non l’ho mai fatto. Non è nella mia natura. Devi fare dei sacrifici per arrivare in cima».

E i sacrifici pagano, visto che il Leeds lo fa esordire a 16 anni e mezzo in una gara contro il West Ham. Diventa il giocatore più giovane a comparire in una gara di Premier League. Il 26 dicembre 2002 diventa anche il più giovane marcatore nella storia della lega grazie a una rete vincente contro il Sunderland.

L’ex enfant prodige dell’Everton James Vaughan batterà entrambi i record due anni più tardi, ma non importa. Se è vero — com’è vero — che oggi Milner gioca al Liverpool e Vaughan fa fatica al Birmingham…

Non è un caso. Milner segna al Chelsea e continua a crescere. Fa una breve esperienza allo Swindon Town, dove va in prestito per un mese (formula che esiste solo in Inghilterra). Quando torna a Elland Road, la squadra è sulla strada della retrocessione.

Il fantastico Leeds di O’Leary non c’è più e molti giocatori vanno via. Con la discesa in Championship, nell’estate del 2004 anche il futuro di Milner è in discussione. Il Tottenham ci prova, ma il golden boy rifiuta: Londra è troppo lontana da casa. Un supereroe non lascia i suoi affetti.

Il proprietario della squadra continua a dare Milner pronto per diventare il cuore pulsante del Leeds, ma i problemi finanziari costringono il giocatore a trasferirsi. Il Newcastle fa un’offerta da cinque milioni di euro e Milner DEVE partire: «Lo faccio solo perché così potrò salvare il club».

Da allora, non ha più incrociato il Leeds nella sua carriera.

Risorgere dalle ceneri

A Newcastle lo attende una squadra competitiva: i Magpies spendono e spandono, con la speranza ogni anno di arrivare in alto. E c’è Alan Shearer, che gioca le ultime due stagioni della sua straordinaria carriera. Milner dice di aver imparato a gestire l’attenzione dei media proprio dal suo capitano.

In realtà, il Newcastle di quegli anni è un ambiente malsano per un giocatore così giovane, che ha bisogno di crescere in maniera tranquilla. La squadra fatica, Milner viene spostato sul lato destro del campo e subisce l’esonero di Bobby Robson. Leggenda al St. James’ Park, Robson viene sostituito da Greame Souness.

Sarà un caso, per lo scozzese quella del Newcastle sarà l’ultima panchina della sua carriera da allenatore. Milner gioca di meno e alla fine finisce pure in prestito all’Aston Villa (dove ritrova David O’Leary), mentre Souness spinge affinché Norberto Solano — ex gloria dei Magpies — faccia il percorso inverso.

L’Aston Villa non fa bene nel 2005–06, ma Milner sembra risorgere e trovare quella continuità che mancava al Newcastle. I Villans vorrebbero tenerselo, ma al Newcastle è arrivato Glenn Roeder, che a differenza di Souness gradirebbe rivedere il giocatore in bianconero.

Grazie all’ingresso del miliardario americano Randy Lerner nelle quote dell’Aston Villa, l’accordo sembra comunque fatto nell’agosto 2006. Tuttavia, il destino ha in serbo un’amara sorpresa per Milner: all’ultimo momento il Newcastle si tira indietro e salta tutto. A posteriori, peccato.

Tornato al Newcastle, Milner non trova la stessa continuità di rendimento vista a Birmingham. Ormai è un punto di riferimento della squadra, ma il Newcastle fatica terribilmente. Neanche l’arrivo di Sam Allardyce l’anno successivo cambierà la situazione.

Milner sente che la situazione non migliorerà e per questo decide di consegnare una richiesta di trasferimento al club. L’affare diventa di dominio pubblico e a 22 anni la sua carriera sembra ormai destinata al paragone con altri giovani che hanno fatto meno di quanto promettevano. In realtà, l’imminente trasferimento all’Aston Villa gli cambierà la vita.

All’inizio i soldi spesi dai Villans sembrano persino troppi (15 milioni di euro), ma in realtà per i due anni trascorsi al Villa Park Milner sarà un giocatore fondamentale. Il centrocampista raggiunge la nazionale per la prima volta e trova la sua dimensione:

«Forse questa sarà la prima stagione che finirò con lo stesso manager che ho avuto all’inizio…».

L’apporto di Milner garantisce al club due ottime annate, nonostante il capitano Gareth Barry si trasferisca al Manchester City nell’estate del 2009. Due sesti posti e una finale di League Cup persa contro il Manchester United, in una gara dove proprio Milner illude i suoi tifosi per sette minuti.

E le soddisfazioni non sono solo di squadra, ma persino personali. Milner viene eletto miglior giovane della Premier League (se si può chiamare giovane uno che ha alle spalle dieci stagioni di Premier…), miglior giocatore per i tifosi del Villa e viene inserito nella top 11 del 2009–10. Tuttavia, in Milner c’è la voglia di crescere ulteriormente. Altrove.

«Con James non si vince»

Un supereroe è di norma vincente. Nonostante le sue doti naturali, James Milner sembrava far fatica a sbocciare. Famosa una frase di Greame Souness ai tempi di Newcastle: «Non si vince nulla con undici James Milner».

Con qualche anno di ritardo, le performance a Birmingham del ragazzo venuto da Leeds hanno dimostrato che Souness si sbagliava. Una cantonata ancora più grande, se si guarda il passaggio di Milner dall’Aston Villa al Manchester City.

Nonostante il club non voglia venderlo, alla fine i Villans cedono Milner per poco più di trenta milioni di euro. Concentrarsi su una singola annata di Milner tra le cinque trascorse al City sarebbe sbagliato. Piuttosto è stato l’insieme del contributo fornito per i Citizens a colpire di più.

Paradossalmente, Milner è riuscito a migliorarsi con gli anni. Il 2014–15 — l’ultima stagione al City — è stata quella con più gol realizzati (otto in 45 partite). Ha vinto cinque trofei con il club, mentre in nazionale è una presenza fissa. E ha pure messo la firma sulla vittoria del City in casa del Bayern Monaco.

Che si sia trattato di Mancini o Pellegrini, nessuno di quelli transitati al Manchester City ha mai pensato che Milner non fosse utile. Anzi, 203 presenze complessive con la maglia azzurra hanno dimostrato quanto il centrocampista sia stato fondamentale. E forse bisognerebbe anche rivedere una definizione spesso accostatagli.

I superpoteri ci sono

Quando c’è da descrivere James Milner dal punto di vista calcistico, spesso si dice che è un giocatore generoso, tenace. Così però sembra quasi di non dargli il giusto credito dal punto di vista tecnico.

Anche quando Messi l’ha scherzato al Camp Nou qualche tempo fa, tutti a prenderla una cosa normale. Tanto Milner corre e basta, giusto? Mica tanto. E per capirlo non dovete per forza prender per buone questi video su YouTube oppure le mie parole, quanto quelle di chi ne capisce di più.

Sta a voi cercare di capire quanto sia una presa in giro.

Molti dei suoi manager l’hanno lodato negli anni. Due gli esempi principali. Il primo è recente, perché Jürgen Klopp ha parlato così di Milner:

«Credo che sia un giocatore completo, un perfetto professionista. Una macchina: ha tutto. Dovrei insegnargli qualcosa dal punto di vista tecnico? Sono altri i problemi nella vita. I miei sanno come devono giocare».

Il secondo è Manuel Pellegrini:

«Sono il suo fan numero uno. Trovatemi un giocatore inglese più completo di lui. Ci sono giocatori che sono migliori dal punto di vista tecnico, più veloci o più bravi di testa. Ma trovatemene uno capace di fare tutte queste cose bene. Non c’è uno come James: lui è un fenomeno, un ragazzo dal cuore grande e con due palle così».

A questo, va aggiunta la straordinaria intelligenza calcistica del giocatore. James Milner è nato esterno sinistro a Leeds. Poi ha giocato a destra. Poi è esploso all’Aston Villa come regista. Infine, al City l’hanno usato in tutte le posizioni immaginabili, persino da terzino o da ala offensiva. Pellegrini l’ha persino usato come centravanti in assenza di alternative.

Boring Milner

Un altro mito nato sulla figura di Milner è il fatto che sia noioso. Per questo, vederlo come un supereroe. A confermare la diceria ci ha pensato anche la nascita di un particolare account Twitter (@BoringMilner), che ormai conta quasi 500mila followers.

Il cult è stato tale che persino Milner alla fine si è prestato a questa mitizzazione silenziosa del suo personaggio, raccontando un Natale noioso secondo il suo punto di vista.

In fondo, anche dal punto di vista della compagnia Milner sembra molto più divertente di quando sembri. Il numero del City, Khaldoon Al Mubarak, ha detto testualmente: «Milner è stato uno dei miei preferiti. Non voglio neanche parlare di giocatori: è una persona piacevole, mi dispiace che vada via».

Wayne Rooney è appena diventato il miglior marcatore nella storia del calcio inglese. Torna indietro e James Milner gli dice: «Bravo. Ora torna a centrocampo per aiutarci».

Sulle tracce di Gerrard

Nonostante il bene che gli volevano al City, alla fine Milner ha fatto sapere di voler lasciare Manchester. Il perché è facilmente spiegabile: nonostante le tante presenze accumulate con i Citizens, il desiderio era quello di tornare al centro del campo. Non più ala, ma centrocampista centrale: il tutto rifiutando un contratto da undici milioni di euro a stagione.

Con l’addio di Gerrard (ne abbiamo parlato qui), il Liverpool aveva bisogno di qualcuno in mezzo al campo. E non è un caso che Milner sia diventato immediatamente vice-capitano dei Reds, bisognosi di linfa esperta in squadra.

Complice l’indisponibilità di Jordan Henderson (l’erede designato per la fascia di Gerrard), Milner ha vestito già molte volte la fascia di capitano e può essere uno degli aghi della bilancia per la stagione del Liverpool. La sua prima annata ad Anfield parla per ora di un infortunio che lo sta tenendo fuori: domani contro lo Stoke City è il giorno giusto per rientrare.

Uno score da venti presenze in tutte le competizioni, accompagnate da tre gol e altrettanti assist, non rendono l’idea del contributo che Milner potrebbe dare a questa squadra. Potenzialmente, nel 4–2–3–1 di Klopp, Milner potrebbe essere usato in almeno otto ruoli del modulo.

Per altro, Milner ha degli obiettivi molto chiari su quella che sarà la sua avventura a Liverpool:

«Mi dispiace che al City non ho potuto giocare al centro. Ho dato un contributo, ma non giocavo quanto avrei voluto: per questo sono qui a Liverpool. Se giocherò bene, sarò un titolare. Credo di esser stato per la prima volta egoista, aver pensato solo al meglio per me stesso».

Ora che ha raggiunto i fatidici trenta, la fascia di capitano del Liverpool post-Gerrard ed è uno dei punti di riferimento del calcio inglese, non sarà il caso di lasciare i vestiti da Robin e trasformarsi in Batman? Come diceva Stan Lee: «Da grandi poteri derivano grandi responsabilità».

Articolo a cura di Gabriele Anello

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