Brasile-Germania. Anteprima: stili di gioco e visioni del mondo

Crampi Sportivi
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17 min readJul 8, 2014

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Illustrazioni di Cristiano Siqueira per ESPN[/caption]

La privazione del senso profondo di questa semifinale: l’incontro mancato tra Neymar e Thomas Muller

Come scrive Paolo Demuru in questo splendido libro, non c’è niente di casuale nello stile di gioco manifestato dalle diverse scuole calcistiche. Il modo in cui i vari paesi giocano a calcio riflette una serie di valori profondi che strutturano la loro cultura, e che sono spesso frutto di una serie di fenomeni storici e sociali. In altre parole, non è un caso se gli italiani sono storicamente molto forti in difesa e spagnoli e portoghesi amano dominare l’avversario attraverso il possesso palla. In tal senso, le due semifinali che vedremo a questi campionati del mondo presentano quattro squadre che incarnano quattro diversi stili di gioco, frutto di storia, culture e visioni del mondo profondamente in contrasto tra loro. L’illuminismo rivoluzionario del calcio olandese contro il misto di tecnica e garra del calcio argentino; ma, soprattutto, il pragmatismo del calcio tedesco contro l’estro e la libertà del calcio brasiliano. Davvero, non si tratta solo di luoghi comuni (che spesso poi sono terribilmente veritieri).
Pare che i brasiliani giochino a calcio in questo modo per l’influenza che la capoeira e la samba hanno avuto sui primi gruppi di calciatori di colore. Che, peraltro, mentre giocavano, non potevano toccare i bianchi e quindi erano costretti ad elaborare una serie di tecniche che li hanno avvicinati al concetto di calcio bailado. Allo stesso modo, la serietà, la determinazione e l’organizzazione con cui i tedeschi giocano a calcio sembra riflettere secoli di filosofia e di razionalismo protestante.
In questa visione del calcio come manifestazione coerente dei sistemi culturali che l’hanno generata, nessuno come Neymar e Thomas Muller riesce a incarnare alla perfezione l’opposizione fra le due etiche e i due stili di gioco.

Neymar e Thomas Muller sono due universi paralleli. Estroso, veloce, imprevedibile, Neymar è l’essenza stessa del calcio brasiliano. Giocatore che alla linearità classica del pensiero e del gioco razionale preferisce il ghirigoro barocco, la finta fine a sé stessa, il ricamo irriverente. Neymar cade molto, anche quando non dovrebbe: è la figura del malandro, dell’ingannatore.

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Essenziale, pragmatico, efficace, Thomas Muller è l’eroe wagneriano del movimento calcistico tedesco. Muller non è bello da vedere: ha la testa troppo grande rispetto al corpo, tocca la palla poco e preferisce muoversi nello spazio dove può far male all’avversario. Taglia tra le difese avversarie con efficacia spietata e austerità sassone. Thomas Muller è il Martin Lutero del gioco del calcio: iconoclasta di tutti i colpi di tacco e le delle finte a bordo campo. Non ha un ruolo preciso, gioca dove gli suggerisce l’imperativo categorico. Thomas Muller è un giocatore modulare, tempesta Bauhaus del gioco del pallone.

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Qui si nota bene la sobria austerità con la quale Muller accoglie le danze del guitto iberico Peppe Guardiola

Barocco contro Classico, Spezzettato contro Lineare, Bellezza contro Efficacia: queste sono le opposizioni fra Neymar e Thomas Muller, quelle che non vedremo in campo stasera e che fanno di questa semifinale mondiale un evento, in definitiva, monco, privato del suo senso profondo.

L’ultima volta fu il Fenomeno

Quindi: due filosofie, due culture, due stili di gioco. Due interi mondi che, negli ultimi mondiali, hanno fatto fatica a incrociarsi. Prima di entrare nei dettagli della semifinale bisogna riannodare i fili dall’ultimo capitolo della storia.

Dodici anni fa, finale dei campionati del mondo di Corea e Giappone. La Germania è una squadra modesta allenata da Rudi Voeller, arrivata in finale un po’ per caso e che due anni dopo toccherà il punto più basso della sua storia, quando ad Euro 2004 non vincerà neanche una partita e sarà costretta a una rifondazione profonda che l’ha condotta fino alla partita di oggi.

formazioni bra-ger 2002

La partita ci mette appena ventidue minuti per indirizzarsi verso il Brasile, quando una palla arriva sulla trequarti a sinistra, a Ronaldo che, con la mezzaluna in testa, punta la difesa tedesca.
Quattro anni prima Ronaldo doveva affrontare la finale contro la Francia nel momento in cui il suo strapotere tecnico-fisico era ancora di un altro livello. Ma si era misteriosamente sentito male la notte prima della partita. Disse addirittura di aver rischiato la vita.
La difesa tedesca lo ferma in qualche modo e dà la palla ad Hamann, una pessima idea: il centrocampista ha un controllo palla imbarazzante e Ronaldo ci si fionda con una fame e una rapidità che i tedeschi sembrano statue di sale. La recupera e la dà a Rivaldo, che tira. Kahn — che è l’unico giocatore realmente leggendario di quella Germania — non trattiene la palla. Ronaldo è una scheggia impazzita: lo anticipa sulla respinta e segna.

Sulla panchina di quel Brasile sedeva Felipe Scolari, che aveva arrangiato una squadra brutta e molto fisica fino ai tre davanti, che erano Ronaldinho, Rivaldo e Ronaldo. Mezz’ora dopo Rivaldo fa un velo delizioso su un passaggio orizzontale di Kleberson, palla ancora a Ronaldo, ancora gol. L’ottavo a quei campionati del mondo.

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Immaginate se alla fine di quella partita avessero detto a Klose che dodici anni dopo ci sarebbe ancora stato lui, a giocarsi proprio con Ronaldo il primato di gol realizzati in un mondiale

La solida imperfezione dell’architettura tedesca

Ci sono diverse ragioni per ritenere la Germania la squadra migliore di questo torneo: la più consistente di tutte è che non ne saprei trovare una migliore: più forte e convincente. Che sappia abbinare in modo così equilibrato talento individuale e organizzazione collettiva. Non che in questo mondiale la Germania lo abbia dimostrato completamente ma, ecco, un pochino più delle altre.
La Germania è la squadra che si è qualificata col maggior numero di reti segnate, e in questi mondiali lo ha dimostrato solo a sprazzi; anche a causa dell’assenza di quello che aveva tutte le caratteristiche per essere il vero crack del torneo: ovvero Marco Reus. In seguito all’infortunio di Reus i tedeschi hanno dovuto riorganizzare l’assetto offensivo, senza avere le idee troppo chiare a riguardo. Nel pezzo di presentazione del girone avevo pronosticato il ritorno di Miro Klose al centro dell’attacco, con l’ingresso da titolare di Julian Draxler (che indicavo, peraltro, come possibile stella del torneo).
In realtà Loew ha preferito rinunciare a una punta di ruolo e, tolte alcune particolari circostanze che lo hanno costretto a schierare Klose, ha preferito puntare tutto su Thomas Muller falso nueve. Anche se, francamente, ha davvero poco senso usare questo concetto per Muller, almeno se intendiamo il falso nueve come qualcuno che, partendo da prima punta, fa movimento incontro al centrocampo per favorire — e talvolta innescare — gli inserimenti da dietro. Muller questo lo ha fatto poco, essendo per lo più lasciato libero di agire e svariare su tutto il fronte dell’attacco, seguendo, di fondo, il proprio istinto di gioco.

Sul quanto sarà complicato arginare Thomas Muller

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L’idea non è stata sbagliata e Muller è, fino ad ora, il miglior calciatore di Brasile 2014 (forse al pari di James Rodriguez): ha segnato 4 gol, servito due assist e ha contribuito, complessivamente, a tutti i gol della Germania in questa edizione dei mondiali. L’unica prestazione leggermente sottotono di Muller è stata quella contro la Francia, nella quale non a caso era stato spostato più indietro a ruotare attorno a Klose, tornato al centro dell’attacco — mossa che poi ha sortito i suoi effetti, allungando probabilmente la difesa francese, come si scrive qui.

Contro il Brasile non si capisce ancora se Loew schiererà di nuovo Klose (reclamato forte dall’opinione pubblica) o se preferirà restituire libertà totale a Thomas Muller. Inoltre, non si capisce bene se giocherà Goetze (deludente come pochi) o Schurrle (spesso entrato in campo in condizione “ira di dio”) — ormai è evidente che Draxler era una mia fantasia estiva.
Quel che è sicuro è che fermare quell’arnese impazzito di Muller sarà la missione più complicata che il Brasile dovrà affrontare (oltre quella solita di superare la pressione di giocare in un paese nel quale, dopo l’ultima sconfitta della nazionale in casa, si sono registrati circa 300 suicidi).

Come aveva evidenziato Bacconi nel post-partita contro la Colombia, il Brasile è una squadra certo grintosa e abbastanza organizzata, ma non gestisce così bene la transizione difensiva, lasciando per lo più alle sterminate abilità di Thiago Silva e David Luiz il compito di disinnescare le offensive avversarie. Considerando che Thiago Silva — e la sua velocità e la sua intelligenza e il suo senso dell’anticipo e la sua ingiocabilità nell’uno contro uno — non ci sarà, il rischio che Thomas Muller ti faccia a fette come una sentenza è piuttosto alto. Molto dipenderà dalla capacità di Fernandinho e Luiz Gustavo di tenere corti i reparti e fare un po’ di schermo davanti ai centrali, che quasi certamente prevederanno la presenza di Dante, compagno di squadra di Muller. A riguardo Schweinsteigger ci ha tenuto a precisare: “We know him well and he us. Well, except Thomas Müller, with him no one ever knows what’s coming”.

Riguardo i problemi difensivi piuttosto evidenti della Germania

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Che la Germania non difenda benissimo ce ne siamo accorti per bene contro l’Algeria. Okay, alcuni segnali c’erano già stati contro il Ghana — che però è anche la squadra che ha preso più la porta in tutto il mondiale (17 tiri a partita!). Contro i magrebini la Germania ha mostrato una fragilità a tratti imbarazzante nel difendere la profondità e, solo alcune lacune tecniche e un Neuer in condizione trascendentale (datelo a Zeman e vi vince il campionato), hanno impedito all’Algeria di segnare il gol che avrebbe complicato un bel po’ la situazione.
Il problema contro l’Algeria era la presenza di un centrale fuori ruolo (Boateng) e di uno in generale molto lento e scarso (Mertesacker). Problemi parzialmente risolti con il rientro di Mats Hummels, che contro la Francia ha dimostrato una dominanza e una capacità di incidere sulla partita che, in difesa, non si vedeva dai tempi di Cannavaro.
Detto questo, anche con Hummels in campo, contro la Francia la Germania ha difeso maluccio e a un certo punto è sembrato un caso che i bleus non abbiano trovato il pareggio. I tagli di Griezmann sono stati contenuti con una certa fatica e se al posto di Griezmann ci fosse stato Neymar beh…
Il punto è proprio questo: Neymar non c’è e nonostante le crepe e le imperfezioni della difesa tedesca si fa fatica a capire chi tra Hulk, Oscar, Willian o Fred (!) possano seriamente creare problemi.

Brasil, la la la la la laaaaà, Brasil

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Immaginate Joachim Loew poche ore dopo la partita con la Francia: è abbastanza euforico per la recente vittoria, ma un po’ preoccupato da quello che ancora deve affrontare, la classica paura dell’ignoto che attanaglia tutti. Sta lì che passeggia per qualche bosco brasiliano quando all’improvviso si imbatte in un lampada ad olio. La sfrega — per non avere dubbi — e BUM, esce fuori il Genio. Grande stupore sulla faccia del tecnico tedesco che però non si lascia sfuggire l’occasione: il primo desiderio lo usa per sapere chi affronterà in semifinale, col secondo fa fuori Thiago Silva, col terzo Neymar Junior.
Ora io non dico che sia andata così, anzi realisticamente non è neanche un’ipotesi (anche perché poteva semplicemente chiedere di vincere la Coppa) però il Brasile si presenta a questa semifinale senza Neymar e Thiago Silva, i due suoi figli prediletti.
A voler vedere il lato scintillante della luna, il calcio è uno sport di squadra e le competizioni tra nazioni permettono ai C.T. di selezionare 23 giocatori tra i migliori di ogni paese. Questo per dire che il Brasile non è il Milan per cui al primo problema devi mettere dentro Bonera e Robinho. Chi andrà in campo questa sera avrà con se la piena fiducia di Scolari e dello staff tecnico brasiliano, che li allena e prepara a partite come questa da 4 anni e che credo abbia ben presente cosa possa o non possa offrire ognuno di loro.
Altra questione è la percezione che il paese ha dei sostituti, visto che sta trattando l’infortunio di Neymar come uno dei primi segni dell’apocalisse (i brasiliani sono molto religiosi). Anche se banale e mazzocchiano, bisogna infatti tener presente che la pressione sul Brasile è enorme (per motivi che avrete sentito un milione di volte in queste tre settimane e non sto qui a ripetere) e chi va in campo non porta solo il suo bagaglio tecnico, ma anche la propria forza morale e intellettuale.
Il sostituto naturale di Thiago Silva, ad esempio, dovrebbe essere Dante, difensore centrale titolare del Bayern di Guardiola e costantemente al top in tutte le classifiche di rendimento stagionali, uno di cui, insomma, ci si dovrebbe fidare. Poi però esistono tutte quelle piccole cose che non vengono contabilizzate dalle classifiche, come il carisma, o, addirittura, l’aspetto fisico. Thiago Silva, ad esempio, sembra nato per fare il capitano del Brasile: ha le labbra sporgenti tipiche dell’eroe positivo, il taglio di capelli serio da compagno di banco onesto e affidabile e il petto in fuori del guerriero. Se cerchi “Dante brasile” su Google immagini, la quinta in ordine di importanza è lui con una camicia a quadri che suona una chitarrina troppo piccola per le sue mani; è uno che porta i capelli come David Luiz e che per festeggiare si infila le coppe in testa. Questo vorrà pur dire qualcosa.
Tatticamente non cambia nulla: Dante viene da un anno di Guardiola, quindi dovrebbe poter svolgere le funzioni di impostazione del gioco di Thiago Silva (compito che spetta in maggioranza al suo compagno di reparto David Luiz), mentre per quanto riguarda il ruolo di guida della difesa, anche in questo caso, lascerà il compito al compagno Luiz che finora si è dimostrato uno dei migliori difensori del Mondiale (una parte della critica gli sta addosso per la cifra spesa dal PSG per lui, ma non sta a lui dimostrare se un valore del genere è “giusto” per un difensore, lui può “solo” dimostrare di essere un grande difensore) forse anche più in forma dello stesso Thiago Silva.

AAA Attacco del Brasile cercansi

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L’assenza che per forza di cose cambierà tatticamente questo Brasile è, invece, quella di Neymar: se c’è una cosa che abbiamo capito tutti dalle cinque partite fin qui disputate dal Brasile è che il loro gioco passa totalmente, in maniera quasi fastidiosa, attraverso di lui e che alla sua totale libertà di azione hanno corrisposto i sacrifici in copertura di Hulk e Oscar.
L’attacco del Brasile si è appiattito sulle individualità del talento blaugrana e, complice un evidente problema di forma degli esterni bassi che dovevano essere la chiave del gioco brasiliano, non è sembrato mai veramente pericoloso, se non, appunto, passando per una giocata individuale di Neymar o da palle inattive (gli ultimi tre gol del Brasile sono arrivati da queste situazioni).
In fase offensiva, sostanzialmente, il Brasile sale e chiede a Neymar di creare, spesso partendo dal lato sinistro del campo, per sé stesso o per i giocatori affianco a lui. Questo calcio non è aggressivo, non è verticale, non permette ai centrocampisti di inserirsi; anche perché Fred è un attaccante centrale statico, che non libera lo spazio, ma che sta lì per tenere palla, far salire la squadra e permettere questo tipo di gioco. È il tipo di attacco che ti permettere di essere pericoloso se hai un uomo che salta l’uomo e, come si direbbe nel basket, crea dal palleggio. In assenza di questa figura all’attacco del Brasile non resta che scegliere tra lo sgonfiarsi e insistere alla ricerca di qualcosa che non c’è per farsi mangiare dalla linea alta dei tedeschi, oppure di evolversi, cercare soluzioni alternative che attingano dagli esempi di Algeria e Ghana (le due squadre che hanno messo in difficoltà la difesa tedesca) cercando grande profondità e aggressività in ripartenza per mettere uomini come Oscar e Hulk davanti allo spettro Neuer.
I due non mancano di talento offensivo — sebbene non al pari di quello di Neymar — e nella loro carriera hanno dimostrato di poter far male alle difese avversarie di qualunque calibro anche con spunti personali. Non è ancora chiaro chi andrà a sostituire Neymar (si parla di Willian non al meglio o di Bernard), né se il modulo resterà il 4–2–3–1; possiamo solo presupporre che il sostituto di Neymar avrà compiti difensivi maggiori e, qualora si trattasse di Willian, la richiesta di fare di collante tra attacco e difesa lasciando le responsabilità offensiva agli altri o, qualora si trattasse di Bernard, Scolari cerchera di fare un Neymar 2 con caratteristiche simili, ma con meno talento e più corsa negli spazi per bucare la difesa tedesca.

Fred vs Hummels

Per quanto il calcio moderno si stia avvicinando al calcio totale, quello in cui tutti fanno tutto, ancora resiste il duello — magari anacronistico, ma confortante — fra il centravanti e il difensore centrale. In un Brasile — Germania, ti immagini questo duello come una cosa da film, una sfida che non può uscire da alcuni piani che la storia ha perpetrato per decenni, un duello tra i Pelè e i Ramelow di questo mondo. Eppure oggi questo duello sarà fra Frederico Chaves Guedes, meglio noto come Fred e Mats Hummels. È impossibile pensare ad un duello fra due giocatori più diversi, due giocatori che si collocano esattamente all’opposto rispetto al copione che la storia vorrebbe per loro. Hummels in quanto difensore centrale della Germania, dovrebbe essere ruvido, cattivo, con la faccia adatta ad un film sui nazisti. Invece Hummels è differente: ha l’attitudine del calciatore europeo, ma è cosmopolita, starebbe altrettanto bene all’apertura di una galleria a Lower Manatthan; è forte, lo vedi proprio da come gioca; è bello e raffinato, immagino che potrei trovarlo sfogliando qualche rivista di moda come “iltipoficochefalepubblicità”; quando lo vedi muoversi per il campo esprime grazia, in lui non sembra mai vincere il concetto di sforzo, non risulta mai scoordinato, fuori le righe.

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Mats Hummels non apre mai la bocca mentre mastica[/caption]

Hummels è nato a Bergisch Gladbach, lo stesso paese che ha dato i natali ad Headi Klum. Fred, invece, è nato a Teófilo Otoni, un posto che già dal nome ti fa capire che tipo sei se ci nasci. Fred è il centravanti del Brasile, una delle tre cose più fiche che ti può capitare nella vita se ti piace il calcio. Probabilmente di meglio c’è solo essere il 10 dell’Argentina. Nell’immaginario collettivo il centravanti del Brasile è incredibilmente coordinato, con un intelligenza cinestetica fuori dal comune e una velocità di base tale da essere immarcabile (nella mia testa il centravanti del Brasile è il Ronaldo del primo anno all’Inter). Fred invece si colloca all’esatto opposto dello spettro “Centravanti del Brasile”: è sgraziato, nel senso che vederlo giocare non esprime nessuna delle emozioni di grazia che vorresti provare vedendo muoversi un giocatore; è antico, ovvero fa parte di un calcio che ormai l’ha scavalcato e che probabilmente lo aveva già superato quando segnava sufficientemente nel Lione; si copre di momenti antiestetici, come i suoi baffi, come aver detto di “aver segnato coi baffi”, momenti che che qui avevamo chiamato “Momenti Fred”.

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Fred sta lì a dimostrare quanto il calcio sia una cosa semplice, fatta di stop a metà campo, falli guadagnati spalle alla porta buttandosi un po’, passaggi di pochi metri. Secondo la sua pagina Wikipedia Fred “ha segnato il gol più veloce della storia del calcio brasiliano, realizzato nel 2003 con la maglia del América Mineiro in una partita contro il Vila Nova, valida per la Copa São Paulo de Juniores. La rete venne messa a segno dopo 3,17 secondi dal fischio d’inizio con un tiro da centrocampo ed è stato in assoluto il gol più veloce mai realizzato fino al 7 novembre 2009”. Ecco questo spiega bene cosa è Fred. Anche il paragrafo che lo racconta è scritto male, come lo avrebbe scritto Fred.

Cose che possono succedere

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Se dovessi prendere il gioco del calcio, e più precisamente questi mondiali, come qualcosa di solamente razionale, dovrei scrivere che la Germania farà la partita, ovvero si posizionerà in maniera stabile nella metà campo del Brasile e proverà a vincere così. Ma il calcio non è razionale, o meglio il calcio non è solo razionale perché non vive di narrazioni univoche. Una partita può avere diversi piani del significato — che in parte abbiamo provato a raccontare finora — che si srotolano e si incrociano in maniera asimmetrica nel corso dei novanta minuti.
Quindi sì, la Germania è favorita (anche se qui si sostiene il contrario), ma nessuno si stupirebbe se la partita fosse decisa da un gesto tecnico di rara bellezza di Fred nei primi minuti (io sì, veramente) o se il Brasile tirasse fuori la prestazione corale della vita per impedire alla Germania di tenere la palla a casa propria (una roba che per un brasiliano somiglia ad un incubo).
La Germania ha — in potenza — le caratteristiche per mettere in seria difficoltà il Brasile, i giocatori e la competenza tattica — in potenza — per vincerla in maniera netta. Il Brasile, dall’altro lato, deve sperare che il gioco del calcio sia meno razionale possibile, che le partite di un certo livello siano bloccate a prescindere e che quindi non conta poi troppo “avere un gioco”, ma contino di più alcuni concetti tipo quello per cui — in potenza — David Luiz sa davvero calciare le punizioni così quando serve; che Hulk — in potenza — ci deve ricordare che uno che calcia così forte deve fare gol ogni tanto (in astratto la sfida tra il calcio di Hulk e l’abilità di parare stando fermo di Neuer è una cosa che mi manda fuori di testa).
Sembra una sfida tra tantissime cose “in potenza” e il loro possibile diventare “atto”, una sfida tesissima in cui i tedeschi proveranno a tessere e i brasiliani a scucire, forse la sfida più muscolare di tutto il torneo. Il tipo di partita che anche chi non ha particolari esigenze di tifo vivrà in maniera agonistica, con quel sottofondo di tensione che a volte il calcio regala a prescindere. Non oso immaginare — quindi — come questa partita sarà vissuta in Brasile, dove il tifo è religione e dove la narrazione della sconfitta sembra funzionare meglio nelle canzoni che nella realtà. La sconfitta vorrebbe dire inevitabilmente catastrofe e se anche — mi auguro — non si dovesse arrivare ai suicidi del Maracanazo, sarebbe un colpo forte ad un paese che vive in un mare di contraddizioni e che, per quanto ai benpensanti possa sembrare assurdo, trova forza e unità attraverso le vittorie della propria nazionale di calcio.
Se perdesse la Germania, invece, non credo accadrebbe nulla, i tedeschi sono persone razionali, che non tendono di certo a farsi buttare giù da cose casuali come le partite di calcio, e che come i nostri media ci ricordano ogni giorno, stanno più che bene. Prenderebbero il loro movimento in salute e lo renderebbero ancora più in salute andando alla ricerca della trecentottantesima semifinale su trecentottantadue partecipazioni, arrivando in semifinale anche al torneo di calciotto che fai con i tuoi amici.
A noi non resta che metterci comodi, impugnare il nostro amore per il gioco e tenere gli occhi aperti: il calcio è in una fase evolutiva — nel bene o nel male — e la partita di stasera ci dirà alcune cose, proverà a riconciliarci con il termine di agonismo che la nostra serie A sta lentamente declinando, farà di tutto per metterci davanti 11 uomini contro altri 11 uomini, ovvero quanto di meglio possiamo chiedere.

A cura di Marco D’Ottavi ed Emanuele Atturo

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