Calcio migrante

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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5 min readFeb 9, 2017

Se persino il regime fascista, così immerso nella retorica autarchica, celebrò la storia dell’emigrazione italiana con la famosa frase che campeggia sopra gli archi del Colosseo Quadrato, allora la questione è davvero rilevante, oltre che a prova di ottusità (ndr). A cavallo tra Ottocento e Novecento milioni italiani emigrarono in cerca di fortuna, prima verso l’altra sponda dell’Oceano Atlantico, poi verso i paesi del nord Europa. Sono tra i 25 e i 30 milioni gli italo-brasiliani; mentre in Argentina il 45% della popolazione ha origini italiane: solo in questi due paesi, in termini di migranti di generazione successiva, è come se fosse presente una seconda Italia.

Ma, con buona pace della pomposa prosa fascista, a questo riconoscimento ormai divenuto abusato oltre che desueto, manca un riferimento calcistico.

Ovunque nascessero comunità di italiani immigrati, infatti, proliferavano anche associazioni sportive e squadre di calcio. Soprattutto in Sud America: nacquero società dal nome Juventus e dalla maglietta granata, altre che prendevano il nome da paesini italiani e altre ancora con il viole come colore sociale ovunque ci fossero dei fiorentini.

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Maglia vintage del Clube Atlético Juventus, orgogliosamente granata.[/caption]

Brasile

Chissà se Ze Roberto sa che la maglietta verde e bianca del Palmeiras una volta aveva anche il rosso o se il giorno del Mineirazo i brasiliani hanno pensato che quello stadio ha in sé anche un pezzo d’Italia sportiva. Il Minerao si trova a Belo Horizonte. Appartiene allo Stato Minas, che nella prima parte del Novecento attirava molti italiani in cerca di fortuna: le miniere che danno il nome allo stato (e allo stadio) attiravano lavoratori soprattutto dall’Emilia, dal Veneto e dalla Campania. La componente italiana nello Stato è piuttosto alta: sono in 2 millioni gli oriundi che vivono oggi nella regione.

Nel 1921 questi lavoratori decisero di darsi una squadra di calcio: la chiamarono Palestra Italia. Così facendo ripercorrevano un’esperienza di appena sette anni più grande: a San Paolo la numerosa comunità italiana aveva dato vita ad un’altra squadra, anche questa chiamata Palestra Italia. Fino al 1942 le due squadre mantennero solidi riferimenti con la comunità d’origine ed erano riconosciute come italiane anche dalle istituzioni.

Il clima intorno alle due squadre cominciò a mutare dopo l’entrata in guerra dell’Italia e soprattutto dopo che il Brasile scelse di schierarsi con gli Alleati: Getúlio Vargas era un dittatore cripto-fascista e nessuno sapeva su quale schieramento avrebbe posizionato il Brasile. Gli storici pensano che a influenzare quella scelta furono i dollari americani. La mossa fu comunque gravida di conseguenze per le due Palestre: entrambe furono costrette a cambiare nome. La squadra di San Paolo divenne il Palmeiras; quella di Belo Horizonte divenne invece il Cruzeiro. Che gioca ancora le partite casalinghe nel maledetto campo da gioco del Minerao, dove nel Mondiale del 2014 la Germania batté il Brasile 7- 1, continuando “l’incubo” del Maracanazo.

All’inizio del nuovo millennio tutta l’Europa venne scossa dalla più grande bancarotta di un’azienda privata: la Parmalat di Callisto Tanzi cola a picco e nel giro di pochissimo tempo porta con sé tutto quello che aveva intorno. Nelle vicinanze del gigante parmense, ci sono due squadre di calcio di altissimo livello: il Parma e il Palmeiras. La squadra emiliana era dei Tanzi, mentre i brasiliani giocavano con il marchio della multinazionale sulla maglia.

La Parmalat fa crac e i crociati falliscono nel 2004, mentre i brasiliani, privi del finanziamento emiliano, retrocedono, subendo un’umiliazione durissima da digerire.

Se il glorioso Parma settima sorella ha subito un secondo fallimento nel 2015, il Palmeiras lo scorso campionato ha invece riportato il titolo nella parte verde di San Paolo. Lo ha fatto da club moderno, perché ormai non si vince più senza i soldi: investendo, sia sul talento di qualsiasi età (vedi Zé Roberto) che su una generazione di campioncini pronta a sbarcare sulle coste europee ricche. Gabriel Jesus, attaccante 19enne comprato per 32 milioni dai Citizens ne è l’esempio palese.

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Argentina

Se il Palmeiras e il Cruzeiro sono le squadre italo-brasiliane per antonomasia, in Argentina la situazione è più complessa. Le squadre che annoverano origini nel bel paese sono moltissime. Il Boca, il River, ognuna ha un pezzo di Italia nelle sue origini, ma rappresentano una minima parte confrontandole con la storia di altre squadre che hanno conservato un forte legame con la nostra penisola. La squadra argentina più celebre e che mantiene dichiaratamente questo rapporto è il Vélez Sarsfield.

La squadra è una compagne proveniente da quella Babele di squadre che è la capitale argentina. Fondata nel 1910 da emigrati italiani, non è mai stata particolarmente seguita qua in Italia, avendo subito sempre la concorrenza di Boca e River.

La società della zona ovest della città probabilmente avrebbe continuato a rimanere nell’ombra della cugine più blasonate se sulla panchina del Fortin non ci si fosse seduto un certo Carlos Bianchi, dal cognome evidentemente non scandinavo. La data è 1 dicembre del 1994, stadio Nazionale di Tokyo. Da una parte gli italo argentini, dall’altra il Milan di Capello che schierava nella stessa formazione Maldini, Baresi, Boban e Savicevic. Bastano sei minuti al Velez per battere la squadra più forte del mondo, 2–0 Capello sconfitto e titolo in Argentina.

Non bastasse questo a rendere questa società leggendaria, c’è anche il fatto che in porta giocasse José Luis Chilavert, uno dei massimi esperti di come tenersi lontani dall’Europa a un numero uno talvolta può fare solo del bene.

https://www.youtube.com/watch?v=fHPjsMNrCW0

Germania

Berliner Brücke era una specie di ghetto costruito dagli emigrati italiani di Wolfsburg. L’emigrazione italiana era iniziata in città addirittura prima dello scoppio della Seconda Guerra. Quando il nazifascismo venne sconfitto nella città della Wolkswagen, la colonia italiana divenne una delle più grandi di tutta il paese. La città, dove oggi vive un’integratissima colonia italo-tedesca, fece fatica ad assorbire l’ingombrante presenza di operai stranieri.

In questo contesto nacque la rivalità tra U.S. Martini e I.S.C. Lupo. La Lupo nacque nel 1962, quando ci fu il massimo picco di espansione della colonia italiana. I fondatori riuscirono a costituire la società solo grazie all’aiuto dei dirigenti della casa automobilistica dove lavoravano. La chiamarono Lupo in onore alla città che li ospitava, coagulando tutte le 14 squadre di italiani della città. La squadra nelle prime stagioni non raccoglieva risultati straordinari, ma radunava mille tifosi a domenica. Fan e giocatori erano operai annoiati che di rado uscivano da Berliner Brücke, se non per andare in fabbrica. Insomma, la squadra divenne famosa per l’ambiente piuttosto infiammabile.

L’integrazione prosegue. A Wolfsburg sono in 12000 a festeggiare il 4–3 dell’Azteca. In quel favoloso 1970 nasce un’altra squadra di italiana in città, l’U.S. Martini. La società può contare su un seguito minore in quanto a pubblico, ma è discretamente organizzata, tanto da dare inizio a ben 11 anni di rivalità campanilistica. Nei ’70 Berliner Brücke, il cuore del primo insediamento italiano iniziò ad essere smantellato. Per questo la Martini in qualche modo perse quell’aura di “squadra di strada” che aveva mantenuto invece la Lupo, costruita tra le baracche di Berliner Brücke. I derby erano accesissimi in campo, ma nonostante la sostanziale superiorità della Martini, solitamente era la Lupo a vincere.

Tuttavia, per quanto la rivalità fosse accesa e con una punta romantica, perché continuare a farsi la guerra? Questa deve essere stata l’idea di alcuni dirigenti delle sue squadre quando, nel 1981 le due società decidono di fondersi. Nasce ufficialmente l’USI Lupo-Martini Wolfsburg.

D’altronde quale sarebbe il principio di utilità dietro al ricordo delle proprie origini, quelle di migranti, se lo si privasse di un’apertura alle origini altrui, cioè della forza stessa che è alla base dell’unione, e quindi anche dello sport di squadra?

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