I primi eroi
Prima di Cristiano Ronaldo e Messi, prima di Maradona, Pelé, Cruijff e Di Stefano. Prima dei più grandi ci furono i primi, i pionieri, gli eroi che concepirono che il football avrebbe potuto essere non soltanto un gioco tra scuole, ma la più grande religione laica (e non) al mondo.
Accadde in Inghilterra, si sviluppò in college esclusivi dai nomi mitici (Oxford, Cambridge, Eton) e poi arrivò fino al nord, in Scozia prima e successivamente, ridiscendendo il Paese, nel Lancashire operaio, che partorì Blackburn Rovers e Preston North End, le prime vere e proprie squadre professionistiche. I loro nomi sono ormai per la maggior parte dimenticati, materia di appassionati e storici, eppure questi furono i primi grandi eroi degli stadi di calcio. Storie da conoscere per poter dire, davvero, di conoscere il calcio stesso.
Robert Gardner
Capitano del Queen’s Park di Glasgow e della Scozia impegnata nella prima partita internazionale ufficialmente riconosciuta, Robert Gardner fu tra i primi dirigenti della storia del football nonché, senza alcun dubbio, il primo vero e proprio portiere che questo sport ricordi. Inventò l’uscita, un gesto oggi usuale ma ai tempi assolutamente rivoluzionario e che gli valse il riconoscimento di “miglior keeper al mondo”, e per ben otto anni (!) non subì neanche un gol. Trasferitosi al Clydesdale, fu accusato di essere un mercenario e ripudiato dagli ex-compagni, che tuttavia non si privarono del suo fondamentale apporto tra i pali. Se fuori dal campo era un vero gentleman, nel rettangolo di gioco si distingueva per il carattere focoso, oltre che per la barba rossiccia, l’abitudine di fumare la pipa quando il pallone era lontano dalla sua porta e il curioso cappello a punta che indossava recante il motto latino Nemo me impune: “nessuno mi attacca restando impunito”.
Sir Francis Marindin
Colonnello dell’esercito britannico, veterano della Guerra di Crimea, fu tra i membri fondatori della Football Association nonché il creatore della sezione calcistica dei Royal Engineers, il primo club inglese che utilizzava marcature difensive e una fitta rete di passaggi per costruire le azioni d’attacco. Titolare nella prima storica finale della FA Cup, dopo il ritiro fu arbitro in questo evento in ben 8 occasioni mentre contemporaneamente guidava la Football Association, ruolo svolto con classe ed equilibrio per ben 16 anni, dal 1874 al 1890. Abdicò, mentre il secolo stava per concludersi, per dedicarsi alla carriera: ispettore delle prime linee ferroviarie, a lui si devono tante innovazioni sulla sicurezza del trasporto pubblico britannico. Poco prima di morire fu tra i principali responsabili dell’avvento dell’illuminazione elettrica a Londra.
Fergus “Fergie” Suter
Primo vero professionista della storia, Suter era un difensore centrale che, dopo essersi messo in mostra in un tour con il proprio club scozzese del Partick, si trasferì nel Lancashire, a Darwen. Qui avrebbe dovuto continuare la sua attività di tagliapietre, che presto abbandonò in quanto la pietra inglese era da lui ritenuta “troppo dura”. In realtà si manteneva con il football, e la cosa fu evidente quando lasciò il Darwen per passare ai rivali del Blackburn Rovers, che contribuì a trasformare nella squadra più forte d’Inghilterra. La sua sapienza tattica portò il club a conquistare 3 FA Cup consecutive, arrivate principalmente grazie alla sua straordinaria abilità difensiva e strategica.
Lord Arthur Kinnaird
Prima vera e propria superstar del calcio, Arthur Kinnaird si avvicinò al football in età ormai adulta dopo essersi distinto nella corsa, nel canottaggio e nel tennis. Fervente appassionato, robusto come una quercia ed estremamente coraggioso, passò ore ed ore ad affinare la tecnica fino a quando divenne il più forte e influente calciatore della sua epoca. Stella degli Wanderers, fondò gli Old Etonians con cui ebbe ulteriore gloria, giocando un totale di 9 finali di FA Cup e vincendone ben 5. Attaccante nato, dotato di dribbling e irruenza fisica, fu anche centrocampista completo, difensore e persino portiere, nonché organizzatore delle prime sfide internazionali insieme all’amico e rivale Charles Alcock. Vestiva immancabilmente lunghi ed eleganti pantaloni bianchi, e la sua torreggiante figura svettò sulla Football Association anche dopo il ritiro, avvenuto in tarda età: se da giocatore era stato anche dirigente dei vertici calcistici londinesi, dopo aver appeso gli scarpini al chiodo fu il presidente del calcio inglese che viveva gli ultimi momenti di splendore dorato.
John “Jack” Hunter
Difensore nativo di Sheffield che si vendeva alle squadre cittadine in cambio di qualche penny, Jack Hunter aveva raggiunto in carriera notevoli risultati: titolare nell’Inghilterra, aveva successivamente fondato con alcuni colleghi il club “The Zulus”, che si fingeva una nazionale del Regno Zulu allora in guerra con l’Inghilterra. L’obbiettivo dichiarato era raccogliere fondi per le famiglie delle vittime della guerra africana, la realtà era ben diversa: i finti Zulu quei soldi se li dividevano, e quando vennero scoperti dalla Football Association caddero in disgrazia. Hunter seppe rinascere a trent’anni, guidando — sempre in un regime di rischioso professionismo mascherato — il Blackburn Olympic alla prima vittoria di una squadra non londinese in FA Cup. Un successo storico, che cambiò il calcio per sempre e sdoganò finalmente il professionismo. Hunter di questo fu il precursore, così come dell’adozione del 2–3–5 (o “Piramide di Cambridge”) in luogo del 2–2–6 e dei ritiri collegiali, delle diete e degli allenamenti mirati. Un vero, quanto sconosciuto, eroe del football.
Archibald “Archie” Hunter
Centravanti dal fisico possente e dalla grande rapidità, capace di saltare in dribbling intere squadre e dotato di una generosità innata, Archie Hunter fu il primo prototipo del grande centravanti. Dopo aver raggiunto Birmingham dalla natia Scozia, fu il centravanti dell’Aston Villa portandolo alla prima vittoria di sempre, la FA Cup del 1887 conquistata grazie al suo straordinario contributo. Hunter fu il primo calciatore capace di segnare un gol in ogni turno del torneo, guadagnandosi unanimi attestati di stima. Come tanti scozzesi dell’epoca, essendo un vile professionista, non poté mai vestire la maglia della Nazionale. Si dedicò anima e corpo, allora, ai Villans, almeno fino a quando dei problemi cardiaci ne bloccarono l’ascesa dopo uno svenimento avvenuto in campo. Si dedicò al giornalismo con successo, ma il cuore ballerino lo tradì ancora a poco più di trent’anni, quando abbandonò questa terra. Leggenda vuole che morì dopo aver chiesto di essere sollevato dal letto per poter vedere, ancora una volta, l’amato stadio che lo aveva visto protagonista negli anni felici.
Tinsley Lindley
Figlio dello Sceriffo della contea di Nottingham, di ricchi natali dunque e squisitamente educato, Tinsley Lindley fu uno dei più letali centravanti del XIX secolo, segnando caterve di gol senza peò mai “vendersi” al professionismo, che considerava disdicevole. Fu per questo motivo che non arrivò mai al successo con i vari club di Nottingham — e non solo — di cui vestì la maglia, principalmente quel Forest di cui ancora oggi è considerato uno dei più grandi di sempre. Fu invece un punto fermo dell’Inghilterra, con cui giocò 13 partite in ogni zona offensiva del campo segnando la bellezza di 14 gol. Stella anche nel cricket, quando gli impegni di carriera si fecero più pressanti appese gli scarpini al chiodo, distingendosi come avvocato, giudice della contea e docente di diritto all’Università locale. Con lo scoppio della prima guerra mondiale si diede talmente tanto da fare per l’amata città da essere insignito nell’Ordine dell’Impero Britannico.
Nicholas John “Nick” Ross
Denti gialli e consumati fino alle gengive, il suo sibilare mentre implacabile giungeva sull’attaccante di turno per soffiargli il pallone gli fece guadagnare il soprannome di The Demon Back, che lo distingueva dal più giovane fratello James, The Little Demon. Proprio per fargli posto nel Preston North End, Nick Ross si era trasformato da attaccante, uno dei migliori della Scozia, nel difensore più forte al mondo. Amatissimo dalla folla, Nick Ross era un concentrato di eleganza e cattiveria, leadership e acume tattico, tanto che si diceva potesse vincere le partite da solo. Nella prima stagione della Football League fu ingaggiato a peso d’oro dall’Everton, che gli garantì la cifra incredibile di 10 sterline alla settimana in un’epoca in cui un operaio specializzato ne guadagnava una. Tornò a Preston dopo solo una stagione, fu centravanti per una stagione e capocannoniere del campionato, vinto ancora dai Lilywhites, quindi tornò in difesa. Negli anni successivi arrivò il declino per motivi fisici, che furono chiariti quando gli fu diagnosticata la tubercolosi. A nulla servì un viaggio della speranza a Madeira, dove l’aria si diceva facesse bene: a poco più di 35 anni Nick Ross, il miglior calciatore al mondo della sua epoca, morì, e con lui il mito del Preston North End.
James Cowan
Uno dei tanti talenti calcistici scozzesi emigrato in Inghilterra per inseguire il professionismo, James Cowan firmò con l’Aston Villa del connazionale George Ramsay e vestì la maglia claret and blue per ben 14 stagioni. In questo periodo i Villans divennerò — e non è un caso — la squadra più forte d’Inghilterra, conquistando 5 campionati e 2 FA Cup. Alla sapienza calcistica tipica degli abitanti delle Highlands di quel periodo sapeva abbinare una facilità di corsa impressionante, che gli permetteva di giocare a tutto campo e che lo spinse, un giorno, a fingersi malato per poter partecipare alla prestigiosissima New Year Race, una corsa sulle 100 yarde che si svolgeva annualmente nei dintorni di Edinburgo. Da cui, naturalmente, uscì vincitore.
Arthur Wharton
Nato nell’allora colonia ghanese, il giovane Arthur era venuto in Inghilterra per studiare come missionario, ma la passione per lo sport prese il sopravvento insieme alle sterline che arrivavano se oltre a praticarlo avevi talento. E Wharton era un talento naturale. Rapidissimo nella corsa, fu l’uomo più veloce del mondo sulle 100 yarde nel 1886, quando vinse l’annuale gara di atletica, ma nello stesso periodo abbandonò la corsa per il già allora più remunerativo football. Fu portiere di straordinaria agilità nel Preston North End, distinguendosi per le uscite spericolate e per i numeri da saltimbanco che compiva arrampicandosi su pali e traverse. Una partita storta però lo rese bersaglio di offese razziste, e da lì la carriera prese un declino che lo portò fatalmente in miniera e poi a una morte precoce per problemi al fegato, conseguenza del tanto alcol consumato per tentare di dimenticare i giorni felici ormai passati.
William Isiah “Billy” Bassett
L’Inghilterra scoprì questa straordinaria ala destra del West Bromwich Albion nella finale di FA Cup del 1888, quando fece ammattire il grande Nick Ross e fu il migliore in campo nella vittoria a sorpresa degli Strollers. Rapidissimo, coraggioso nella giocata, tanto capace di segnare quanto di servire i compagni con assist millimetrici, Billy Bassett legò l’intera vita al WBA, prima da calciatore, poi da dirigente e infine da presidente, veste in cui salvò per ben due volte la squadra da un’imminente bancarotta. Professionista con lo spirito puro dei primi pionieri, odiava i tanti scozzesi venuti a giocare per soldi in Inghilterra e nel corso della sua carriera dirigenziale, coerentemente, non ne acquistò mai uno.
Gilbert Oswald “GO” Smith
Elegante quanto esile centravanti, stella del Corinthian — squadra di dilettanti che si divertiva a sfidare, e sovente a sconfiggere, i migliori club professionisti — GO Smith fu forse l’ultimo vero rappresentante di un calcio che andava estinguendosi, entrando nella memoria dei tifosi per la classe cristallina che gli permise di segnare caterve di gol sia con il proprio club che con l’Inghilterra. Tutto questo nonostante il palese rifiuto allo scontro fisico e a un gesto tecnico, il colpo di testa, che considerava quasi inelegante, mancanze a cui sopperì con uno straordinario senso della posizione, un dribbling inarrestabile e un tiro mortifero che lo rese per decenni il punto di riferimento per ogni giovane footballer.
John Goodall
Figlio di un ufficiale dell’Impero Britannico inglese di stanza in Scozia, fratello di Archie che fu colonna dell’Irlanda e, una volta appesi gli scarpini al chiodo, strongman in un circo, John Goodall fu il centravanti che cambiò la storia della Nazionale inglese grazie al suo stile tipicamente scozzese, che gli permetteva di giostrare sia come terminale offensivo della manovra che come ispiratore. Stella del Preston North End degli Invincibles, primo capocannoniere della storia della Football League, si trasferì a peso d’oro al Derby County rinunciando per soldi ad ulteriori trofei e facendo da chioccia al mitico Steve Bloomer. Morì in povertà, allevando cuccioli di volpe, incapace di amministrare i lauti guadagni di una carriera durata fino ai cinquant’anni, quando fu pioniere del calcio francese con ancora la stessa, indiscutibile, classe che gli aveva procurato il soprannome di Johnny All Good.
Nettie Honeyball
Una donna tra i calciatori più influenti della storia del football vittoriano? Proprio così, perché Nettie Honeyball fu la prima vera calciatrice della storia. Dietro questo nome ovviamente fittizio si nascondeva una giovane donna, cassiera di una drogheria e appassionata di calcio che finiva ovviamente snobbata nelle discussioni che si creavano già allora intorno allo sport più amato. Fu così che Nettie convocò altre donne che come lei pensavano che il football non dovesse essere un affare soltanto degli uomini e fondò il “British Ladies FC”. Questa compagine, composta di due pittoresche squadre che si battevano per il titolo di “campionesse femminili”, girò in tour l’Inghilterra con un successo sempre crescente, interrotto però improvvisamente da numerose aggressioni di cui le ragazze furono vittima da parte del pubblico. Il dado, comunque, era ormai tratto: il calcio femminile aveva visto la luce, e questo grazie alla coraggiosa cassiera di una drogheria londinese.
William “Fatty” Foulke
In gioventù portiere alto e longilineo, il successo, i soldi e l’alcol trasformarono William Foulke, portiere di provato talento, in una delle più caratteristiche figure del calcio vittoriano. Con i suoi 192 centimetri di altezza e i 150 chili di peso, “Fatty” era un autentico gigante tra gli uomini, un colosso insuperabile piazzato a difesa della porta dello Sheffield United, che a lungo vantò la miglior difesa d’Inghilterra. Un inevitabile declino, unito a un carattere a dir poco scontroso, lo portò a girovagare per il Paese a fine carriera, dove comunque continuò a distinguersi come personaggio: fu per lui che vennero inventati i raccattapalle, due ragazzini piazzati dietro la sua porta per farlo sembrare ancora più grande agli avversari, e fu lui il primo calciatore oggetto di cori “personalizzati”, quando i tifosi gli dedicarono il celebre canto “Who ate all the pies?” per sottolinearne la stazza. Morì, naturalmente, per via della cirrosi, conseguenza dello sfrenato amore per l’alcol.
Rabbi “Rab” Howell
Figlio di uno spazzacamino, Rabbi Howell è stato il primo calciatore di etnia Rom a giocare nell’Inghilterra, traguardo raggiunto dopo essersi distinto nello Sheffield United. Qui era, nelle vesti di centrocampista destro, una parte essenziale della difesa più forte del Paese, in quanto capace di lottare su ogni pallone nonostante una taglia più che ridotta (165 cm x 57 kg) grazie a un coraggio leonino e a una resistenza fuori dal comune. Il suo carattere difficile però gli portò non pochi problemi, segnandone la carriera quando fu accusato di aver venduto una partita durante la quale segnò ben due autoreti, e il tentativo di rinascita fu stroncato da un terribile infortunio in cui si ruppe una gamba e che ne sancì il ritiro. Tornò dunque a vivere nei caravan da cui era venuto, sparendo dal mondo del calcio che tanto lo aveva amato.