Capita ai Mondiali di nuoto

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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7 min readJul 31, 2013
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A volte capita che sia luglio e faccia caldo e uscire di casa prima del tramonto sembri impresa impossibile. Capita di aver sostenuto un esame che ti ha portato via gli ultimi sei mesi di vita e, di colpo, ti rivolgi al mondo con gli occhi di chi si sia appena risvegliato dal coma, perdendosi più di un passaggio (“chi è che governa? Pd e Pdl? insieme? ma mi stai prendendo in giro?”). Capita che nel frattempo i tuoi amici se ne siano andati (temporaneamente) al mare e la tua ragazza (definitivamente) dove meglio crede. Il risultato non cambia. Sei a Roma, sei solo, non puoi uscire di casa durante il giorno e ti senti empaticamente vicino a Nosferatu.

A volte capita, tuttavia, che accidentalmente scrivi di sport e che ci sia addirittura qualcuno disposto a leggerti. Capita che ci siano i Mondiali di nuoto a Barcellona, i primi del dopo-Phelps, e che nessuno nella redazione sia mai andato oltre il brevetto di galleggiamento e tu, che non ti sei spinto molto più in là, ma che sei a un passo dal suicidio a causa del caldo, speri almeno di trovare refrigerio nella sola visione di una piscina. E allora, parliamo di nuoto.

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Parliamo di César Augusto Cielo Filho, classe ’87, che non è la nuova scommessa di Sabatini, ma uno dei nuotatori più esplosivi degli ultimi anni. Record sui 100 metri stile libero in vasca lunga, detenuto dai Mondiali di Roma 2009, un oro olimpico e cinque ori mondiali (specialità: 50 e 100 metri stile libero e 50 metri delfino). A Barcellona ha gareggiato, finora, per difendere l’oro sui 50 metri delfino. Gli avversari incalzavano, con tempi di qualificazione veramente competitivi. I più temibili, l’amico Nicholas Santos e i francesi Frédérick “Fred” Bousquet e Florent Manadou, noto più per la parentela con la sorella Laure che per il sorprendente oro olimpico di Londra 2012. Avversari in forma, pronti a sfruttare qualunque esitazione del campione brasiliano (rigorosamente bianco e benestante; il nuoto non ha appeal nelle favelas). Ai blocchi di partenza, tensione di muscoli e orecchie a cercare un fischio che sembra non giungere mai. Poi, una gara di potenza, concentrazione e rabbia. Manadou ci prova, parte bene, con la frenesia e la voglia di un adolescente che sta per perdere la verginità. Cielo, se non fosse impegnato ad agitare ritmicamente le braccia, lo guarderebbe con commiserazione. E, infatti, l’adolescente dallo scatto precoce, rallenta, non ce la fa. Il brasiliano, invece, continua a nuotare, con il metodo e la consapevolezza di chi la verginità l’ha persa da tempo, dominando gara e avversari. Alla fine, toccherà per primo, seguito da Eugene Godsoe, l’inatteso americano che emerge in mezzo alla sfida Brasile-Francia, e dagli ultimi fuochi del classe ’81 Bousquet.

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Poi, ci sono le donne. Innanzitutto, Tania Cagnotto, la figlia di papà più amata d’Italia. Accusata di deludere nei momenti importanti, a Barcellona ha risposto alle critiche sul campo, anzi sul trampolino. Due argenti, nel sincro da 3 metri, con Francesca Dallapè, e nella gara individuale da 1 metro. Ed è vero che Joe Kennedy sosteneva che i suoi figli dovessero sempre arrivare primi e che qualunque altro piazzamento rappresentasse una sconfitta. Ma è altrettanto vero che l’oro l’ha vinto (e per soli dieci centesimi) la cinese He Zi, che sta ai tuffi come Lionel Messi sta al pallone. E poi, Joe Kennedy era un simpatizzante di Hitler e autorizzò la lobotomia della figlia Rosemary, colpevole di eccessiva intraprendenza con il sesso maschile; insomma, non proprio un campione di paterno affetto.

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A volte capita di prendere un abbaglio. Capita di vedere una biondina dagli occhi azzurri e dal sorriso dolce e di iniziare a pensare a come chiederle il numero di telefono. In realtà, la storia d’amore sembra poco praticabile. Lei si chiama Ruta Meilutyte, ha vinto l’oro olimpico nei 100 metri rana e si è appena ripetuta ai Mondiali. Ah, ed è nata in Lituania nel 1997 (“Vostro Onore giuro che non sapevo fosse minorenne; sembrava molto più grande: ha persino stabilito il record del mondo, dannazione”). Insomma, la biondina-col-nome-che-sembra-quello-di-un-Pokémon ha stregato tutti i cuori da Barcellona a Vilnius, facendo crollare i pregiudizi dell’italiano medio su una nazione che finora, circa lo sport, era associata al basket e, circa le ragazze, al turismo sessuale. Ruta, che vive e si allena a Plymouth (ma ancora nessuna informazione sul numero), è l’ultimo baby-fenomeno sportivo, cioè il classico titolo di giornale con annesso editoriale scandalizzato sulle prestazioni sempre più anormali di generazione in generazione, e le malelingue e i supercostumi e si, oggi ha vinto, ma chissà se saprà riconfermarsi in futuro. Tuttavia, di là da tutte le polemiche, più o meno pretestuose, con cui ci si diletta a occupare il tempo e le colonne dei giornali, rimane questa biondina dal pianto e dalla nuotata facile, ovvero una delle pagine più belle del nuoto contemporaneo.

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Capita, inoltre, che gli italiani deludano. È facile; per la stampa gli italiani deludono sempre, di qualunque sport si tratti. L’alternativa è gridare al miracolo per qualunque inezia, come un oro olimpico. Inutile specificare quanto sia sottile la linea di confine tra delusione e miracolo, ma questo è il mondo moderno, in cui la differenza tra un bidone e un fenomeno è tutta nei centimetri che separano un goal da un palo. Perciò, visto che il medagliere è scarso, gli italiani stanno deludendo. In questo clima di prefiche che alzano al cielo i miserere, sarebbe stato lecito aspettarsi qualche elogio in più per Martina Grimaldi, oro nella 25 km di fondo, una gara che è massacrante da seguire in televisione, figuriamoci nuotarla. Caso singolare. Dopo più di cinque ore di gara, Martina arriva al traguardo insieme alla tedesca Angela Maurer, toccano insieme, anzi no, Martina alza lo sguardo e scopre di essere seconda, va in zona mista, viene anche intervistata, poi il fotofinish, Martina ha vinto, per appena un decimo di secondo. Un decimo. Dopo 25 km e più di cinque ore. La differenza tra bidone e fenomeno.

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Capita, infine, che ti chiami Federica Pellegrini e, tra competizioni nazionali e internazionali, hai già vinto più di centocinquanta medaglie. Capita che questo ti porti a essere accusata di superbia, a risultare antipatica, nel circolo mediatico che tutto trita e niente rispetta. Capita che devi convivere da anni con gli attacchi di panico e gli attacchi di quanti sostengono che tu sia semplicemente viziata. Che la tua vita privata venga esaminata sul vetrino da laboratorio come fenomeno da indagare. Che siano sindacate decisioni estremamente personali, come la scelta dell’allenatore o le performance pubblicitarie. Allora, decidi di prenderti un anno sabbatico, di voltarti e nuotare pancia all’aria, di passare dallo stile libero al dorso, e riesci comunque a ottenere risultati soddisfacenti (per tornare a Messi, è come se La Pulce decidesse, improvvisamente, di giocare da difensore centrale; o magari non proprio, ma rende abbastanza bene l’idea). Arrivano i Mondiali. Tutti aspettano la tua caduta, perché pochi momenti sono tanto esaltanti quanto quello in cui il campione viene messo al tappeto dallo sfidante. Ma tu, ancora una volta arrivi prima degli altri, cogliendo di sorpresa tutti i conduttori di telegiornali. Ti presenti, inaspettatamente, alla gara dei 200 metri stile libero, quella che più di ogni altra ti appartiene. Già alcuni malignano che la Federazione ti abbia inviato un Odisseo a pregarti di scendere in acqua per salvare i destini sportivi della nazione. E tu, Achille de noantri, dopo il compimento del destino già segnato di Patroclo-Magnini, indossi il nuovo costume forgiato nella fucina della Jaked e l’acqua di Barcellona si arrossa di sangue. In realtà, questa è una ricostruzione suggestiva, ma fantasiosa. Ben più probabile appare l’ipotesi di una strategia accuratamente pianificata per evitare eccessivi carichi di ansia. Tuttavia l’epica non conosce ragione e lo sport è l’unica epica che i tempi moderni ci abbiano lasciato.

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Le qualificazioni sono una formalità, dimostrando che l’anno sabbatico era tale solo di nome. In semifinale sei prima, sorprendendo così tanto che i giornalisti di La7 confondono la gara con la finale e twittano in anticipo l’erronea notizia di un oro. La finale è un lampo da seguire col fiato sospeso. Un anno di allenamenti condensato in meno di due minuti di gara. Parti piano, ma negli ultimi 50 metri, quelli che ti rendono più celebre, recuperi e superi le tue avversarie. E ad attenderti, in fondo, c’è un argento dal sapore dell’oro. In uno sport dove, come in quasi tutti gli sport moderni, la fisicità sta oscurando il talento, arrivi seconda al mondo in una gara che non hai neanche preparato. L’Italia del nuoto esulta come per una vittoria. E quanto è brava la Federicona nazionale, si ma Marin e Magnini, si ma gli spot, si ma è presuntuosa. Stai per compiere venticinque anni e, come Wolverine, sei la migliore in quello che fai. E si, forse sei anche un po’ presuntuosa. Capita.

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