Che gusto c’è nella completezza?

Crampi Sportivi
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5 min readJul 10, 2016

Flash: un ragazzone con i capelli rossi e i piedi ben piantati per terra, Bas van de Goor, tiene in mano una palla completamente bianca e si accinge a rimetterla in gioco.

Life in technicolor: sono passati 20 anni esatti, ma quell’immagine mostra tutte le discrepanze di un gioco che ha cambiato completamente pelle. C’era il cambio palla, con i set a 15. Non c’erano i liberi (“chi è quello lì con la maglia diversa?”). Il colore del pallone non era stato stravolto per essere reso più televisivo, colpire il nastro sarebbe stato ancora fallo e in battuta esistevano solo due tecniche: piedi a terra o al salto. La salto float era ancora da venire.

E così, palla in mano e piedi a terra, Bas van de Goor aspetta il fischio dell’arbitro.

Posizione distante qualche passo dalla linea di fondo, colpo che non cerca angoli ma cade presto subito dopo aver passato la rete.

Questa è una storia tipicamente italiana. È l’assenza della felicità completa, della perfettibilità anche nella storia di successo, della malinconia che è funzionale — anzi necessaria — alle emozioni del racconto, ai gesti, alla memoria. Che gusto c’è nella completezza?

La zona di arrivo della palla è quella di Samuele, detto ‘o fenomeno, che la ricezione può insegnarla nelle università, ma si fa sorprendere da quella traiettoria a foglia morta.

Nel 1996, quella squadra portava con sé un profumo di epica difficilmente ripetibile in altri contesti italiani, sportivi e non. Era la “generazione dei fenomeni”, quella degli “invincibili”. Un dominio che all’inizio di quell’anno contava 15 ori su 18 manifestazioni disputate dal 1990. Campioni del mondo e d’Europa in carica. Un dominio su cui proprio l’Olanda, due mesi prima della finale di Atlanta, aveva aperto una piccola crepa vincendo 3–2 nella finale di World League di Rotterdam.

Riuscire a giocare quella palla non è possibile: contrattacco del match per l’Olanda. La palla, appoggiata a Peter Blangè da Henk Jan Held, per gli amici Henky, si apre all’ala su Ron Zwerver, italiano d’adozione proprio come Peter ed Henky.

Prima di Rotterdam, l’Olanda era un’ottima squadra che aveva avuto la sfortuna di nascere nell’epoca che il destino aveva assegnato agli Invincibili. Gli orange erano stati sul secondo gradino del podio per 7 volte dal 1990, togliendosi però il gusto di eliminare gli azzurri ai quarti dell’Olimpiade di Barcellona nel 1992 e ponendo le basi per la maledizione olimpica di quella squadra.

Colpo forte, sulla diagonale lunga nello spazio lasciato da un muro chiuso con fatica da Andrea Gardini. Difesa d’istinto di Vigor Bovolenta, per l’occasione “uomo mascherato” a causa di un colpo subito in una partita precedente e, in seguito, ragazzo con un futuro spezzato troppo presto, proprio nel mezzo di un campo da pallavolo.

Un cammino immacolato, quello dell’Italia nelle partite prima della finale. La stessa Olanda regolata con un secco 3–0 nel girone eliminatorio. Le stimmate degli Invincibili su un torneo che deve completarli, riempire l’ultimo vuoto dorato. Argentina ai quarti e Jugoslavia in semifinale si piegano, mandando così l’Italia all’ultimo atto.

La palla difesa si impenna verso posto 6. Un attimo indecisione: Papi e Tofoli vanno insieme per alzare il pallone, finchè Tofoli non chiama la palla facendo spostare ‘o Fenomeno.

L’Italia era partita contratta cedendo il primo set, come nei quarti ed in semifinale, per 15–12. Nel secondo mantiene il controllo, impattando con un buon 15–9. Il terzo set è quello che spesso smorza l’entusiasmo degli inseguitori, ed invece l’Olanda trova il colpo di coda rimontando da 12–10 per l’Italia e vincendo il set ai vantaggi.

L’Italia è all’angolo, ma reagisce vincendo il quarto 15–12. Tie-break, ogni palla vale punto. Nessuna delle due squadre riesce a staccare in modo deciso l’altra, e si arriva al punto a punto finale. Primo match point per l’Olanda: 14–13.

L’alzata è in bagher fuori equilibrio, verso posto 4, verso Andrea Giani.

Andrea Giani era il Fenomeno più versatile della Generazione. Nella pallavolo non ancora ultra-specializzata, ha ricoperto tutti i ruoli tranne quello del palleggiatore, e nel tie-break ha messo giù di prepotenza tre attacchi punto. Fino al 15–14, fino al match point per l’Italia. A un passo dalla completezza.

L’alzata è larga, all’altezza del palo della rete. Non c’è possibilità di rincorsa d’attacco classica, ma bisogna attaccare quel pallone. Passi incerti, ad uscire dal campo.

Era toccato a Lorenzo Bernardi, aka mister Secolo, annullare il primo match point dell’Olanda con un mani e fuori su Peter Blangè. 14–14. Un contrattacco di Giani, su palla toccata a muro a Bas van de Goor, dava quello che sarebbe stato il punto più vicino alla completezza. 14–15, time out Olanda.

Primo tempo di van de Goor. 15–15. Il ragazzone dai capelli rossi in battuta, e l’Italia che riceve in P1 (per i non addetti: la rotazione con il palleggiatore che si inserisce dalla zona di battuta).

Rincorsa ad uscire: il gesto meno naturale per l’attacco, che al contrario si nutre della potenza di un corpo che va verso la palla, aggredendola.

Chiedete a mille allenatori in quale rotazione non vorrebbe finire una partita, e la maggior parte vi risponderà la stessa cosa: in P1, la rotazione storicamente meno efficiente nella pallavolo maschile. La prima palla va proprio a Giani, toccato a muro e contrattaccato: 16–15.

In battuta, per la seconda volta, il ragazzone con i capelli rossi dell’Olanda.

Hanno già sbagliato un contrattacco facile. Non ne sprecheranno un altro. L’input per l’attacco è partito, ma la palla è tanto, troppo larga.

Flashback. Quattro anni prima, il regolamento prevedeva che nel quinto set, già crudele perché ogni pallone era punto, non si andasse ai vantaggi ma a 17, il “limit-point”. E quattro anni prima, a Barcellona, Van der Meulen attaccava il 17–16 con cui l’Olanda eliminava l’Italia dai Giochi del 1992.

Ad Atlanta ’96, l’Olanda ha di nuovo la palla del 17.

Attacco. Asta della rete. Fischio dell’arbitro, è fuori. Set, match e medaglia d’oro per l’Olanda.

Che gusto c’è, nella completezza?

Massimiliano De Marco — Ex pallavolista di serie B, allenatore, capitato fortunosamente in serie A. Ricercatore di storie di sport, di mare, di poker. Mourinhista intransigente, alla perenne ricerca di Federer moments.

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