Chi dice che il lungo è passato di moda?

Marco A. Munno
Crampi Sportivi
Published in
4 min readOct 13, 2017

In attesa delle due competizioni principali Eurolega e NBA, nel dare un occhiata agli inizi dei vari campionati, è ritornata una figura classica del gioco a essere nuovamente catartica nel determinare le sorti sportive delle varie compagini.

Negli ultimi anni, uno dei trends che va per la maggiore — soprattutto da quando i Golden State Warriors si son dimostrati uno schiacciasassi, mettendo in piedi una delle più grandi squadre di sempre e risultando la prima incarnazione vincente del modello di small ball — è che oramai “il lungo di una volta non esiste più”, sempre nella versione dispregiativa dell’espressione.

Come se ormai fosse desueto avere un centro grande e grosso, un monolite sotto canestro, un’ancora cui appoggiarsi dal fisico dominante… a prescindere, senza l’adeguata contestualizzazione che uno sport di situazione abbisogna per essere analizzato.

Capita quindi di soffermarsi sulle ultime dimostrazioni in giro sui campi e allora il discorso si rivela non così banale e scontato.

Dikembe dice no!

Perché, nella passata Eurolega, l’uomo decisivo nella miriade di stelle messe insieme dal super team del Fenerbahce è stato Ekpe Udoh, richiamato in questa off-season direttamente al piano di sopra della NBA, dagli Utah Jazz.

Perché, in quest’ultimo triennio, si son visti proprio i pluri-osannati Golden State Warriors messi in difficoltà solo dai Thunder grazie al neozelandese Steven Adams. Non solo: sono stati sconfitti dai Cavaliers con le prestazioni decisive (visto che “dominante” in una squadra che annoveri LeBron James è possibile definirvi solo lo stesso Re) di Tristan Thompson.

Perché, nell’ultima manifestazione internazionale in cui si è vista l’Italbasket, lo sfortunato Preolimpico torinese, oltre alle attese prestazioni mirabolanti di Simon, Bogdanovic e del lungo Saric, il risultato nella finale persa dagli azzurri è stato fortemente indirizzato da quella meno aspettata, ma fondamentale del centrone Planinic.

Perché, nelle Olimpiadi di Rio 2016, la rivelazione Australia come perno poggiava sul gigante Andrew Bogut, fermata nella corsa solamente dalla Serbia. Una squadra che, oltre a Teodosic, schierava come proprio riferimento sotto canestro Miroslav Raduljica; a sua volta, essa è stata superata per il bronzo dalla Spagna che ha schierato il monumentale Pau Gasol.

Infine, passando anche per la meno blasonata Serie A italiana, lo scontro fra titani tra Batista e Fesenko ha indirizzato e poi deciso le sorti della finale anticipata fra Scandone Avellino e successiva campionessa d’Italia Reyer Venezia; durante la stagione regolare fra i migliori giocatori del campionato la sua figura l’ha fatta D.J. White di Torino, con Jarrod Jones di Pesaro sorpresa dell’intero torneo.

Allora la questione non è sul “lungo passato di moda”, ma su che tipo di lungo sia passato di moda; bisogna quindi approfondire quale tipologia di lungo sia determinante con la pallacanestro attuale.

Offensivamente, un giocatore che non abbia range di tiro non consente dopo il pick (la soluzione costantemente utilizzata per prendere vantaggio sulla difesa) un pop, ma solo il roll a canestro; per cui le guardie sempre più atletiche e possenti fisicamente, quindi “spaziose”, hanno meno campo libero per penetrare. Le ali forti e ora anche i centri che espandono il loro raggio di tiro permettono, oltre a una pericolosità personale, anche quella del beneficiario del blocco, che a causa del tiro rispettabile del bloccante si ritrova il difensore a quest’ultimo accoppiato (presumibilmente anch’esso un lungo) molto meno a protezione dell’area.

Se il lungagnone Drummond aiuta sulla penetrazione di Derrick Rose, Pau Gasol si ritrova al tiro liberissimo.

Difensivamente è richiesta sempre una maggiore mobilità per seguire i lunghi che dopo i blocchi si allontanano dal pitturato, grazie al tiro rispettabile prima citato, nonché tornare a protezione del ferro… sempre che le guardie bloccate non richiedano show estremi e quindi ancora maggior distanza da coprire, senza menzionare situazioni estreme come il cambio difensivo direttamente sulla guardia.

Sul blocco di Ezeli, Steven Adams cambia su Steph Curry… e lo tiene, addirittura stoppandolo!

Ovviamente le qualità del lungo “vecchio stampo” non sono certo inutili, anzi: effettuare buone letture sul posizionamento difensivo utilizzando la propria schiena, saper danzare sul piede perno e essere in grado di tirare assorbendo i contatti rende un pivot un grande riferimento offensivo, di molto migliore rispetto a un lungo che sappia solo giocar fronte a canestro.

Marc Gasol professore in post basso.

Inoltre, essere intimidante dal punto di vista difensivo rende comunque il centro il perno di una difesa che voglia fagocitare i tiri e le opportunità create dagli attaccanti.

Gobert in versione pterodattilo estende l’ala per mandare la palla in tribuna.

Coloro quindi che, alle qualità da sempre riconosciute ai pivot “di una volta”, abbinano l’aggiornamento imposto dalla fisicità attuale risultano giocatori completi e spesso decisivi, proprio per la loro versatilità, in tutti gli aspetti del gioco: sono merce rara, i cosiddetti “unicorni”, ma alla fine sono quelli decisivi.

Dopo l’imponente blocco portato, movenze da danzatore classico e canestro da tre punti di Towns.

Insomma, proprio sicuri che non esistono… o il pivot che ora abbia tutte queste caratteristiche è raro, ma quando si presenta, diventa il vero fattore di differenza nelle squadre?

Game, set, match!

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Marco A. Munno
Crampi Sportivi

Pensa troppo e allora scrive. Soprattutto di pallacanestro.