Chi può battere gli All Blacks?

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
Published in
6 min readSep 17, 2015

Nessuno, probabilmente nessuno. Ci piacerebbe poter rispondere in modo diverso alla domanda che dà il titolo a questo pezzo, e dire che ci aspetta una Coppa del Mondo incerta e combattuta, ma la realtà è che se i mondiali di rugby che stanno per prendere il via a casa loro, in Inghilterra, dovessero essere vinti da una nazionale diversa da quella neozelandese, si potrebbe senza troppo timore parlare di sorpresa clamorosa (in generale), delusione tremenda (per i grandi favoriti) e impresa leggendaria (per gli outsider).

I campioni in carica, che a breve potrebbero vedere la loro iconica felce argentata elevata a bandiera nazionale, sembrano francamente poco avvicinabili. Lo scorso luglio hanno festeggiato i 10 anni consecutivi di permanenza in testa al ranking mondiale e, dal trionfo mondiale casalingo di quattro anni fa ad oggi, hanno perso solo 3 partite su 47 giocate. Una delle 3, per la verità, è piuttosto recente: a Sydney, ad agosto, l’Australia ha vinto 27–19, alimentando le speranze di veri o presunti contenders.

Il punto è che gli all blacks non sbagliano mai quando conta. Nei mesi che hanno preceduto la Coppa del Mondo, la Nuova Zelanda ha potuto permettersi di sperimentare e ricercare l’equilibrio perfetto tra una vecchia guardia che non vuole saperne di farsi da parte e una nuova generazione che non vede l’ora di esplodere. Difficile scegliere un solo uomo-copertina, in questa sintesi perfetta di talento e debordante fisicità che ha recuperato in extremis anche il velocissimo Waisake Naholo (si era fratturato il perone a luglio). Allora tanto vale dire qualcosa su Sonny Bill Williams, ché due parole su di lui si spendono sempre volentieri.

Primo all black musulmano (si è convertito nel 2008, quando giocava a Toulon), primo giocatore di rugby a diventare milionario testimonial Adidas, dal 2009 al 2013 si è reinventato pugile professionista, vincendo tutti e 6 i match disputati. Chiunque, nel prossimo mese e mezzo (sì, i mondiali di rugby durano molto più di un’Olimpiade) dovesse farsi venire qualche strana idea circa la possibilità di portar via la Coppa William Webb Ellis ai legittimi detentori, sappia che toccherà strapparla dalle mani della seconda linea più forte del mondo. E potrebbe anche non bastare. Auguri.

Sonny Bill Williams, stella degli All Blacks, con i suoi servizi fotografici (e i suoi contratti milionari) sta ricalibrando l’immagine pubblica dei giocatori di rugby. Finito il tempo degli omaccioni brutti e sporchi?

Contenders

Se avete passato qualche giorno in Inghilterra negli scorsi 2–3 anni, sicuramente non avrete mancato di notare costanti riferimenti iconografici all’imminente Coppa del Mondo: banner, striscioni, insegne ovunque. Persino durante i mondiali di calcio dello scorso giugno, tutti i pub del Regno ci tenevano a far sapere che avrebbero trasmesso integralmente ogni partita che la nazionale, quella della palla ovale, avrebbe giocato nel 2015 (anche perché la nazionale della palla rotonda non è che la faccia rotolare troppo bene, al momento).

Chi non vedrà “il 15 della rosa” dentro una public house, lo farà dentro uno dei magnifici stadi inglesi del rugby. Sempre con una birra a portata di mano, chiaro. Più volte, nelle scorse settimane, gli organizzatori hanno dovuto chiarire numerosi dubbi riguardo la logistica che dovrà garantire spostamenti sicuri alle decine di migliaia di tifosi che, complici prezzi dei biglietti sostenibili, affolleranno bus e metropolitane.

La nazionale inglese, non troppo convincente, va inserita di diritto tra le grandi favorite; il titolo mondiale del 2003 — primo e finora unico per una nazionale dell’emisfero settentrionale — è distante ormai dodici anni, ma l’aria di casa (la cittadina di Rugby dista poco più di 100 km dallo stadio di Twickenham, dove gli inglesi non perdono da 7 incontri) può fare miracoli. Non che servano veri e propri miracoli, a Sam Burgess e compagni, per sognare la finale: la vittoria di dieci giorni fa sui quotatissimi irlandesi ha infiammato un ambiente che non aspettava altro.

Il magnifico stadio di Twickenham, autentico fortino degli inglesi.

L’Irlanda, quindi. I brillanti trionfatori dell’ultimo Sei Nazioni non sono apparsi così brillanti nelle ultime uscite pre-mondiali, in cui hanno ceduto a Galles e proprio Inghilterra, concedendo 9 mete complessive ed ostentando ben poche certezze difensive. Ma il percorso di crescita degli uomini di Joe Schmidt, finissimo coach kiwi, non sembra potersi interrompere bruscamente a pochi passi da casa: il girone di qualificazione, con Italia e Francia, è tutt’altro che impossibile; poi, nella seconda fase, si vedrà.

Poco sopra i verdi, nelle considerazioni degli addetti ai lavori, ci sono Sudafrica e Australia, le altre due superpotenze di Ovalia.

Gli Springboks, dopo la festosa esibizione di Padova nello scorso novembre (che vi avevamo raccontato qui), hanno collezionato quasi solo delusioni. Quattro sconfitte in altrettante partite, comprese le tre nella Rugby Championship, il torneo dell’Emisfero Sud. Disastrosa la disfatta di Durban contro l’Argentina, in seguito alla quale Heyneke Meyer, il coach, è stato esplicitamente accusato di razzismo, per via di una (presunta) scarsa considerazione nei confronti dei giocatori di colore.

Dentro il campo, la squadra sarebbe pure tosta, parecchio tosta, con un nucleo di campioni stagionati (De Villiers, Pienaar) e un solo — ma fortissimo — giovane. Godetevi un po’ di Jesse Kriel, centro classe 1994, nel video qui sotto. Per una semifinale potrebbe anche essere sufficiente.

[embed]https://www.youtube.com/watch?v=AxHz55t16E8[/embed]

Jesse Kriel, “The Next Springbok”.

I Wallabies, infine. Due volte campioni del mondo (come Sudafrica e Nuova Zelanda, ultima volta nel 1999), gli australiani arrivano in Inghilterra dopo un pre-mondiale di altissimo livello, impreziosito dal clamoroso 27–19 agli All Blacks. Un biglietto da visita niente male, che copre — ma non risolve — le lacune legate ad una panchina non all’altezza dei 15 di base. Tra i quali, però, occorre ricordarlo, c’è sempre capitan Stephen Moore, c’è sempre la faccia di capitan Stephen Moore, c’è sempre il sangue di capitan Stephen Moore.

Capitan Moore dopo aver vinto (o perso, non importa) un’elegante battaglia.

Outsiders

Non occorre essere dei coraggiosi per scommettere sul fatto che i nuovi campioni del mondo di rugby usciranno dal lotto delle cinque nazionali di cui sopra. Ma chi altro c’è a Inghilterra 2015?

C’è il Galles, che è un’ottima squadra (forse un po’ troppo tartassata dagli infortuni) e che giocherà nella prima fase in casa, a Cardiff; c’è la solidissima Argentina, da sempre dominante nel continente americano e forse pronta ad un grande exploit internazionale; c’è la Francia, imprevedibile nel bene e nel male; ci sono le isole Samoa (quelle Occidentali, non le Americane: loro riescono meglio nel calcio), che, insieme a Fiji e Tonga, sono realtà consolidate della palla ovale e, come sempre, non mancheranno di proporre personaggi di assoluto livello. Avete qualcosa da dire, per esempio, ad Alesana Tuilagi, the Samoan Bulldozer, 117 chili spalmati su 185 centimetri di (non troppa) grazia?

https://www.youtube.com/watch?v=djNTw0u8w6Y

Ciao Ale, veniamo in pace.

E l’Italia?

Difficile dire cosa sia oggi Italrugby. Di sicuro, è una squadra in crisi, una crisi che è insieme istituzionale (il movimento sembra un po’ in difficoltà dopo la fase di grande espansione, soprattutto mediatica, degli ultimi 10 anni) e tecnica (la nazionale è ricca di giocatori costantemente al limite del salto di qualità definitivo).

Gli azzurri, che dal 2013 ad oggi hanno vinto solo 3 match su 25, a giugno hanno sospeso il ritiro pre-mondiale per una brutta querelle economica con la Federazione, poi hanno perso Mirco Bergamasco e Gianluca Bortolami (esclusi dal ct Jacques Brunel) e adesso devono adesso fare i conti con gli acciacchi fisici di Sergio Parisse, capitano e guida, inserito recentemente dal Guardian tra i giocatori più forti di sempre del Sei Nazioni. Parisse salterà l’esordio mondiale di sabato a Twickenham contro la Francia, partita-chiave dell’intera manifestazione.

Alcuni, come il grande ex Diego Dominguez, sono certi che anche l’Italia del rugby, come un po’ tutte le selezioni sportive del belpaese, saprà tradurre in energia agonistica il clima di scetticismo che le aleggia attorno e, alla fine, potrebbe giocarsi la qualificazione nel gruppo D (oltre a Francia e Irlanda ci sono Canada e Romania, passano le prime due).

Altri sostengono che proprio l’assenza ormai cronica di un mediano di apertura “alla Dominguez” possa essere un difetto tecnico insormontabile. In quel ruolo le speranze azzurre sono riposte in Tommaso Allan, 22 anni. Nato in Veneto, cresciuto tra Inghilterra e Sudafrica, gioca in Francia ed è l’uomo intorno a cui la palla ovale di casa nostra proverà a riorganizzarsi, per tornare a volteggiare allegramente. Ne abbiamo una gran voglia.

Tommy Allan, specialità calci piazzati.

La Coppa del Mondo sta per cominciare. Come state messi a riserve di Guinness?

(Qui il calendario del torneo.)

--

--