Chris Froome. Professione: vittoria

Simone Nebbia
Crampi Sportivi
Published in
3 min readJul 25, 2017

21ª tappa — 23 luglio
Montgeron > Parigi 103 km
Vincitore: Dylan Groenewegen
Leader: Chris Froome

Vincere. Poi a un certo punto ci si fa l’abitudine. Oppure è una questione di carattere. Resta il fatto che a guardarlo — sui pedali o sopra il podio — Chris Froome ha l’espressione di uno che anche fosse in mezzo al gruppo seminascosto avrebbe una luce intorno a renderlo visibile, a rimarcare la propria differenza dagli altri corridori. Ce l’hanno avuta tutti, è da quando sono ragazzino che me ne accorgo: ci sono quelli che vincono; e poi gli altri. In genere qualcuno ci prova, si vuole buttare dentro quel cono di luce, ci resta per pochi secondi o qualche tappa, poco importa. Perché tanto lui lo sa che l’espressione è tutto, che quel senso di controllo e di serenità imperturbabile appena accennato in altri volti, sul proprio è invece condizione naturale, dedizione ambiziosa, sensibilità tattile al tessuto di una maglia da leader.

E anche i primi giorni dei grandi giri, quando vedi in mezzo tra le maglie delle squadre che hanno cambiato sponsor, colori, corridori, mentre cerchi di imparare tutti questi cambiamenti per non perdere nemmeno un respiro di una fuga o di una volata, è allora che appare lo scintillio sul telaio di quello che sa già da quel momento quanta strada ci sarà da fare, come se fosse l’unico ad andare al verso contrario: gli altri tappa dopo tappa fino alla fine, lui dalla fine verso l’inizio, a sfogliare una margherita verso quella sensazione di libertà che si prova quando ci si alza a spingere e non si fatica, non ci sarà nessuno in grado di lasciarti indietro, tutto avverrà sotto il più assoluto controllo, tutto rotondo, senza spigoli, come l’arco di una pedalata.

Quando ero ragazzino mi stupivo a guardare Indurain, un monolite della Navarra che avevano messo su una bicicletta ed era come gli avessero acceso un motore a ritmo regolare, sotto il sellino. Aveva intorno una squadra di giovani che parevano tutti gregari anziani seduti sui loro, di sellini, giusto per fargli compagnia e raccontargli storielle nei momenti di noia, poi uno per uno si staccavano dietro e lo lasciavano solo a non girarsi mai verso avversari che tentavano di strappare a rasoio la strada per dimenticarselo alle spalle, guadagnargli secondi, rompergli quell’espressione magnifica di vittoria che aveva stampata sulla faccia. Oggi invece mi stupisco a cercare quell’espressione sul volto di Chris Froome, gli guardo i lineamenti del viso da come fa girare i pedali, gli conto le gocce di sudore dalle pochissime volte che si gira a guardare gli altri, ascolto il suo ritmo cardiaco dal fruscio del vento laterale tra le ruote, quando attraversa valichi e pianure di queste strade di Francia. Non deve essere tanto diverso dal vento che passava tra le ruote, quando ha imparato ad andare in bicicletta. Si impara da piccoli, a vincere il Tour de France.

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