Colpire più forte

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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10 min readJun 5, 2015

Destro, sinistro. E ancora dalla parte destra e dalla parte sinistra. Dritto anomalo, rovescio lungo linea. Sopra la pallina! Sopra quella cazzo di pallina. C’è da correre sopra un campo da tennis. Non è troppo grande a vederlo da fuori, ma diventa enorme se ci vieni catapultato dentro. Qualunque sia la tua stazza fisica o la tua propensione tattica. Se arretri, il campo diventa molto più grande da coprire, mentre il tuo avversario avrà meno spazio e più possibilità di scelta. Il tennis moderno è diventato molto simile alla boxe. Colpi forti, aggressività, rotazioni impossibili e soluzioni tattiche prevedibili ma pur sempre efficaci. Manca l’arte a differenza della boxe ma il sangue sputato dalle caviglie, dalla schiena, ma soprattutto dalle ginocchia fanno in modo che, qualunque sia la superficie, tutto diventa una lotta per mandare k.o gli avversari.

L’aspetto psicologico è principio fondamentale, per cui non può esserci il momento in cui rimanere inermi o passivi — bei tempi quelli dei grandi corridori da terra rossa — ma il nodo delle partite è quello di rimanere il più tempo possibile in controllo della situazione. Qualcuno sostiene che, nella lotta fra i buoni e i cattivi all’interno delle fiabe, è decisamente peggio il buono che al fine di riportare la tranquillità e mantenere il controllo decide di uccidere il cattivo. Il tennis, soprattutto nell’ultima decade, è divenuto l’insieme di creature stupende capaci di limitare al massimo la possibilità di errore inducendo l’avversario a cedere, senza necessariamente esser schiantato sopra i teloni. Uno dei giocatori che negli ultimi 10 anni si è affacciato al tennis come cattivo, capace quasi sempre di esser sconfitto e rischiare troppo spesso di finire nel cassetto di qualche appassionato, come un semplice tennista bello da vedere, ma probabilmente uno dei tanti robot non proprio venuti bene è Jo-Wilfried Tsonga.

Il bene e il male

188 centimetri per 90 chilogrammi, come un perfetto peso mediomassimo/massimo, da cui deriva anche il suo primo soprannome ai tempi del circuito Juniores, chiamato Cassius Marcellus Clay Jr. — meglio conosciuto come Muhammad Alì. “Alì Tsonga” nasce il 17 aprile del 1985 a Le Mans da padre Congolese, ex giocatore di pallamano professionista, e da madre francese. Famiglia benestante, educazione laica e borghese, nelle interviste ribadisce come la sua forza è dipesa dal padre mentre quella delicata gentilezza, che ne ha fatto un esempio anche fuori dal campo, alla madre.

L’anno chiave dello sviluppo del tennista è il 2003, quello delle grandi sfide con il suo più grandi rivale a livello juniores ovvero Marcos Baghdatis, tennista Cipriota, che durante quell’annata incontra per ben due volte nelle finali dello slam. Prima perdendo in Australia, poi vincendo negli Stati Uniti. Jo è un ragazzino lungo lungo e secco. Il suo tennis, proprio nel passaggio tra i professionisti, subisce un cambiamento da metodico, gentile e leggero giocatore, a tennis muscolare fatto di colpi vincenti. Nel 2004 arriva il primo sussulto, battendo al China Open il numero 5 al mondo, Carlos Moya, prima vittima di quella macchina assassina che stava diventando il giocatore francese. Migliora nel gioco a rete, e il dritto anomalo in salsa zero rotazione diventa una delle armi migliori su cui costruire una grande carriera.

L’inferno all’improvviso

La crescita che in quegli anni è ancora in corso e gli infortuni lo tengono lontano dai campi per quasi tutto il 2005, l’anno del possibile lancio, quello delle qualificazioni ai grandi tornei ma soprattutto quello dei 20 anni, annata che per un tennista nell’epoca moderna rappresenta un deciso salto in avanti per le proprio ambizioni. Disputa appena 8 tornei e riceve una wild card per i Roland Garros, perdendo al primo turno dall’Americano Andy Roddick, non propriamente uno specialità della terra rossa. In quella partita Tsonga colleziona appena 9 game in tre set e riesce a servire solo il 52% di prime palle in campo, facendo più servizi vincenti ma commettendo decisamente più doppi falli.

Appare come un giocatore in continua evoluzione tra quella “gentilezza” che negli Juniores gli ha permesso di vincere tornei ma di restare nell’anonimato rispetto ai coetanei più quotati (Gasquet, Nadal e lo stesso Baghdatis) e la furia esemplare, che un fisico come il suo dovrebbe essere in grado di sprigionare. L’eterna lotta fra bene e male, ancora non ha visto Tsonga scegliere da che parte stare. Il 2006 è forse il punto più basso della sua prima parte di carriera e quasi inizia a sospettare che il percorso da singolarista non possa essere il suo: altri infortuni, sempre alla schiena, non gli permettono di accedere a nessun tipo di qualificazione dei tornei ATP e quindi a 21 anni gambe in spalle e Futures — l’ultima delle categorie per i giocatori professionisti — dove colleziona un buon record di 19 vittorie e 1 sconfitta per poi passare buona parte della stagione in palestra con piscina e fisioterapia. La racchetta diventa sempre più piccola e le braccia più grandi, il campo da coprire si riduce e la gentilezza, ormai sembra prerogativa delle interviste.

Vede l’inferno a quasi 22 anni, è oltre la posizione numero duecento al mondo, e i suoi coetanei che spesso e volentieri lo battevano da Juniores stanno macinando copertine, soldi e posizioni in classifica. A lui non interessa, viso dolce, sguardo assassino e dritto che sembra un pugnale, agli Australin Open ritrova Andy Roddick al primo turno, dopo aver vinto tutte le qualificazioni e lo impegna, perdendo in quattro set. Trova la condizione e partecipa a numerosi Challenger per totalizzare i punti necessari per accedere alle qualificazioni dei tornei più importanti. Nessuna wild-card in Francia e sconfitta nelle qualificazioni, ma la stagione sull’erba riserverà un rilancio tanto atteso per lui.

Gasquet vs Tsonga

Tsonga ottiene una wild card per il prestigioso torneo di Wimbledon figlia soprattutto della buona prestazione della settimana precedente al Queen’s Club Championship dove da qualificato è riuscito a battere Lleyton Hewitt arrivando a un passo dal successo contro la giovanissima wild card Cilic. Nei primi tre turni, non lascia alcun set agli avversari, prima il connazionale Benneteau, poi Lapentti e infine Feliciano Lopez. Primo ottavo di finale in carriera nello slam più prestigioso. Contro di lui, l’amico, coetaneo e connazionale, protagonista di una stagione che lo porterà nei primi 10 al mondo, Richard Gasquet. Pur con tutte le problematiche che hanno afflitto la carriera di quest’ultimo, il Gasquet di quel torneo, ma anche e soprattutto di quella partita è un giocatore completo. Tecnicamente, senza bisogno di aggiungere nulla a quanto è stato scritto negli anni, ma soprattutto consapevole dei suoi mezzi.

Tsonga ha scelto di stare dalla parte dei cattivi, partendo dal basso per rovinare l’ascesa del “piccolo principe” eppure in quella partita non ruba mai il servizio all’avversario e perde in circa due comode ore di gioco, senza mai impensierire Gasquet. Le carriere dei due si incroceranno spesso e per molti appassionati francesi questa è una buona notizia. Due giocatori diversi, uno tanto bello quanto scomodo verso se stesso nell’approccio alla partite, l’altro grande, grosso, ma leggero come un pugile non capace di coordinare la propria forza al cospetto di qualcosa di più grande da sprigionare.

Quella settimana giocai 8 partite in 5 giorni. Da Surbiton al Queen’s e viceversa. Mi sono divertito moltissimo. Stavo in un albergo molto piccolo, insieme al mio vecchio coach Eric Winogradsky: quella settimana giocai benissimo. Vinsi il challenger e dopo la finale mi sono bevuto una birra. Non sono abituato a bere ed ero completamente ubriaco. Fu fantastico.

Australia 2008

Tsonga per la prima volta non ha bisogno delle qualificazioni per accedere a un torneo del gran slam. A quasi 23 anni naviga nei primi 100 in classifica abbastanza stabilmente e si presenta in Australia per affrontare al primo turno un giovane Andy Murray, già testa di serie numero 9 del Tabellone. Murray è un giocatore di cui si è parlato molto per tutto il 2007, proprio come Richard Gasquet infatti ha vissuto una buona stagione e l’olimpo del tennis non sembra così distante per entrambi. In Australia succedono cose strane, è il primo torneo della stagione, non tutti i giocatori più accreditati trovano subito la forma necessaria per affrontare match al meglio dei 5 set, e a entrambi capita la fortuna di finire nella parte di tabellone con Davydenko e quindi la possibilità di arrivare in semifinale senza passare per Federer e Nadal.

Tsonga vede Murray, ma in quelle due settimane non ha nulla da perdere: per la prima volta non ha dovuto passare l’inferno delle qualificazioni e l’ultima visita dal fisioterapista è quella per l’idoneità sportiva di inizio anno. In quattro set batte il britannico, cedendo il terzo set per 6–0 con la faccia tosta di pensare che ormai fosse andato, tanto al quarto avrebbe chiuso la partita. I turni successivi lascia poche decine di game ai suoi sfortunati avversari, Warburg e Garcia Lopez prima di ritrovarsi per la seconda volta in uno slam, agli ottavi di finale, di nuovo contro Richard Gasquet. I due si sono affrontati altre due volte da WImbledon, prima a Lione dove Tsonga ha vinto in due semplici set e poi al Master di Parigi-Bercy dove ha vinto Gasquet. In quella partita Tsonga riesce a sprigionare tutta la forza rimasta immobile finora e che non ne ha permesso una carriera semplice e fluida. Danza “Alì” e rifila un primo 6–2, fatto di colpi vincenti e aggressione che a tratti risulta quasi fisica nei confronti dell’avversario. Perde il secondo set al tie-break, agguanta il terzo grazie a una serie di colpi selvaggi che chiudono l’avversario alle corde prima di mandarlo k.o comodamente al quarto, con il punteggio di 6–3.

https://www.youtube.com/watch?v=IUJEOnzkcts

Il torneo prosegue, in tre set regola uno spaventato Youzhny e accede così alla prima “final4” della sua carriera in uno slam. Contro di lui c’è Rafael Nadal; tra i due c’è un precedente, quello di qualche mese prima negli Stati Uniti durante il terzo turno degli US Open. Nadal vinse senza troppi patemi in tre set, non concedendo nemmeno una palla break al suo avversario. Ma il Francese è cambiato e qualcuno, inizia a scherzare con la sua sicurezza in campo “molta gente ritiene che io sia fin troppo fiducioso nei miei mezzi ma io credo di aver ragione quando sostengo di aver avuto le potenzialità di far bene in questo torneo. Non arrendersi mai è una qualità importante per ogni atleta.”

Tsonga aggredisce l’avversario dall’inizio alla fine, andando a pungere uno dei limiti dello spagnolo, ovvero non cercare mai una contromisura al gioco dell’avversario, ma continuare con la sua tattica che gli fa racimolare appena 7 game in tutta la partita. Tsonga trasforma 5 palle break su 7, realizza 18 ace contro i 2 dello Spagnolo, ma soprattutto pur servendo il 50% di prime palle, vince quasi l’80% dei punti quando serve e il 52% alla risposta. Questa partita è una carneficina ed è considerata una delle migliori performance all’interno di uno slam da parte di un giocatore negli ultimi dieci anni. 110 minuti che appaiono poco più di un paio di round pugilistici, per una serie di colpi vincenti difficilmente ripetibili.

Il passo in più

Quella del 2008 è solo la prima finale per lui, ma di fronte c’è un Novak Djokovic che vede uno spiraglio per rompere il dualismo Nadal/Federer. La partita è nervosa, fallosa, e vede di fronte due giocatori con limiti di gestione fisica e mentale, abbastanza palesi. Trionferà il serbo che conquisterà il suo primo slam alla seconda finale consecutiva; per Tsonga c’è l’entrata nei top 20 e la posizione di numero 2 del tennis Francese. Lo stesso anno, pur mancando gli appuntamenti di Wimbledon e Roland Garros per via dei soliti infortuni, riesce a conquistare i primi due titoli in carriera: il Masters 1000 di Parigi, in una bolgia selvaggia contro il redivivo Nalbandian e Bangkok, battendo proprio Novak Djokovic in due comodi set. Il tutto all’interno dello stesso mese, per una costante che ha afflitto Tsonga per ogni stagione della sua carriera, ovvero periodi di forma eccezionali e altri in cui non riesce ad aggredire gli eventi stessi (infortuni, situazioni di gioco) rimanendo vittima, inerme, chiuso nell’angolo e senza la minima reazione.

Un giocatore che dal 2008 in poi ha sempre concluso la stagione nelle prime quindici posizioni della classifica, alternando settimane di tennis che ti lascia senza fiato a eliminazioni improvvise. Tanto grande quanto timido troppo spesso, ma guai a farlo arrabbiare. Anche Brad Gilbert sul finire nel 2012 ha provato a descrivere la posizione dell’uomo, oltre che del giocatore, con una frase che stigmatizza perfettamente tutti i lati e le sfumature di un ragazzo che è profondamente legato a quello che succede in campo: “uno dei motivi per cui Jo è così piacevole da guardare sta nel fatto che non si è mai sicuri su cosa possa succedere. Tra tutti i top ten è quello più propenso ad alternare momenti di gran tennis con altri da dimenticare. Punti di forza sono la prima di servizio ed il diritto, la risposta al servizio una debolezza.” Negli anni in molti hanno cercato di comprendere il fenomeno e lui stesso ha ammesso che gli sarebbe piaciuto giocare 30 anni fa “credo che fosse il periodo migliore per essere un giocatore di tennis. Leconte e Noah me lo dicono sempre: si sono divertiti moltissimo. Oggi non sarebbe più possibile, tutti sono molto professionali. Non so se è solo una questione di soldi. Credo che anche i media siano un fattore. Se dici qualcosa sopra le righe, per tutta la settimana si parlerà di quello perché in 5 secondi la notizia farà il giro del mondo.”

https://www.youtube.com/watch?v=p19Brk3qq00

Il Muhammad Ali del tennis. Il Salvatore. Cassius Jo. Nell’era buonista dell’Atp, nel presepe del politicamente corretto, Egli è gioia e beatitudine. La quintessenza del carisma, della passionalità. Inarrivabile quando entra in trance agonistica e trascina sontuosamente la folla. Con lui si torna a Kinshasa, si torna Re.

Parigi 2015

Il campo ormai è una lastra di cemento — alla faccia della terra rossa impregnata di sangue — e tra il pubblico crolla pure un pannello per via del forte vento. Sembra un pomeriggio qualunque, ma il boato che viene sprigionato durante il match point realizzato dal Francese non lascia spazio a nulla. Tsonga si sdraia, con la racchetta sulla poca terra rimasta incide un — Paris, je t’aime — e le foto sono tutte per lui, il gigante con la faccia da pugile, capace di “volare come una farfalla” e sempre nel pericoloso limbo del giocatore che non può fare il buono altrimenti è lo spavento a farla da padrone. Tsonga è così, deve vincere le partite bellissime, quelle importanti ma che spesso non ti fanno entrare negli albi d’oro, proprio come quella volta che riuscì a rimontare due set a Roger Federer nell’olimpo del tennis a Wimbledon nel 2011, dove tutto sembrava apparecchiato per il lieto fine e invece il francese si è trasformato in mostro senza scrupoli. Ora, c’è da battere Stanislas Wawrinka per raggiungere una finale a Parigi, che non vede un giocatore di casa protagonista dal lontano 1988, anno della sconfitta di Henri Leconte contro Wilander, ma soprattutto che, dai tempi di Yannick Noah, non aspettava che un altro giocatore da comprendere e spingere, dopo alcune recenti delusioni, verso quel passo in più, chiamato olimpo del tennis.

https://www.youtube.com/watch?v=dcnaAGc4cCg

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