Come ho imparato ad amare

Massimiliano Chirico
Crampi Sportivi
Published in
11 min readMar 10, 2017

Come ti senti?
Tutti vogliono sapere, tutti ti chiedono come stai, cosa si prova ad avere nello zaino un biglietto per Napoli — Real Madrid, la partita dei sogni, la Notte dei Miracoli come preferisce chiamarla il CorSport. La verità è che spiegarlo è un casino e come ti senti? è una domanda troppo intima perché all’inizio comunque non ci pensi e hai la certezza che sarà una partita come le altre. Mancano ancora due mesi alla partita, all’andata il Napoli forse prende l’imbarcata, che ne sai.
Ma poi il gol di Insigne al Bernabeu col pallone calciato da quell’angolo della piscina dove non tocchi più, l’impressione diffusa che con i dovuti accorgimenti questo Napoli possa davvero mettere in difficoltà la squadra di Zidane prendendo le misure al suo tridente da arresto cardiaco. Insomma inizi a farti qualche domanda, costruisci il tuo stato d’animo da solo, con le cose che trovi per casa. Quando non vedi il momento che arrivi qualcosa a cui tieni tantissimo anche il più stupido segnale sembra essere confortante: delle immagini in tv della squadra che si allena, quel tiro a giro perfetto che ti è uscito in allenamento (pensa se non può farlo anche Ghoulam un tiro così), la squadra della tua città che vince una partita pazzesca e guarda caso ha gli stessi colori del Napoli.

Una partita in cui i padroni di casa erano dati per spacciati.

A pochi giorni dalla partenza riesco a disegnare benissimo quello che provo (come ho fatto a non pensarci prima?) pescando qualche esperienza già vissuta: mi sento come quando ho conosciuto una delle mie prime ragazze, ancora ricordo quel preciso momento, la prima volta che l’ho vista in piazza e in mezzo a tutte le altre tipe ben vestite io ho notato proprio lei! Ho iniziato ad osservarla da lontano sognando su alcuni dettagli insignificanti per molti, cercavo di conoscerla meglio dai racconti dei miei amici che magari sapevano qualcosa in più di me e ho capito che era la cosa più bella che avessi mai incontrato prima di allora. Io non conoscevo lei e viceversa, avevo bisogno di incontrarla perché ormai non mi bastavano più le parole degli altri. Quando senti qualcosa dentro non ti accontenti più di quello che hai, è una continua lotta per accaparrarsi il posto migliore. Ma perché non potevo averla? Cosa avevano gli altri, cosa aveva lui che a me mancava?

Napoli — Real è stata una partita simile a una piccola storia d’amore per me che non ero mai stato a Napoli e che il San Paolo l’ho visto solo nei video che raccontano l’urlo della Champions. Una storia che è durata lo spazio di 24 ore ma con dentro tutti i particolari che caratterizzano un amore vero, fiammante e cristallino: il viaggio di andata e ritorno in pullman per poterla vedere, la pioggia del mattino e il vento dietro la schiena, i piedi gonfi la sera. D’accordo, leggendo da fuori puoi fermarti al risultato, al banale resoconto offerto dal tabellino dell’arbitro e pensare che non bastano mille parole per cambiare l’uno-tre maturato sul campo. Oppure puoi guardarti attorno mentre ci sei dentro e respirare calcio con ogni parte del tuo corpo, immergendoti in quella che è una follia collettiva esasperata appresso a un pallone. Quando sei innamorato del calcio in ogni sua forma e colore succede questo, non ti importa chi è in campo e non ha alcun significato il tipo di terreno di gioco o la posta in palio. È calcio in ogni sua forma, in ogni angolo del mondo.
Non guardo quasi mai le partite in televisione perché il divano ha un effetto devastante ma la curva, il cuore pulsante dello stadio, è un pistone che martella per novanta minuti, che ti parla e ti spiega come vanno le cose per una città intera.

Il giorno dei sorteggi ho chiamato subito un paio di amici che avrebbero potuto procurarmi il biglietto e ho iniziato a sperare:
- Ma, io te lo dico, è difficile e poi non sei nemmeno socio del nostro Napoli Club. Provo a fare due telefonate e ti richiamo.
Oppure
- Guarda, quelli che lavorano con me in azienda ci vanno spesso allo stadio, magari chiedo a loro se escono due biglietti.

Le prime notizie sui tagliandi messi in vendita sono un bollettino di guerra: tutto esaurito in ogni ordine di posto, San Paolo pronto a esplodere, impossibile trovare i biglietti. De Laurentiis già gongola ma io ho affidato cinquanta euro alla sorte e alle benevole impressioni di un amico che lavora su Corso Secondigliano. Non lo sento da due settimane. È questo il momento in cui gli altri hanno qualcosa in più di me. Hanno i soldi per un biglietto in tribuna ma io voglio la curva perché è li che sento davvero una partita, in mezzo alle persone che vivranno la gara in una sorta di possedimento demoniaco dove bisogna urlare per scacciare la paura, fischiare per spaventare gli avversari, farlo tutti insieme all’unisono per dare maggior potenza a questo sogno comune. E poi tutti quei soldi per la tribuna non ce li ho mica, che d’accordo gli stadi vuoti e la gente davanti alla televisione ma 200€ per la tribuna sono un quarto del mio stipendio.
L’attesa è comunque angosciante, ha le sensazioni del primo messaggio che mandi alla tipa e dei conseguenti minuti che precedono una risposta: parli con gli amici e tutti hanno in bocca la frase “Se ci sono i biglietti voglio venire anche io” ma ognuno di loro è un potenziale biglietto in meno per me e i giorni passano, arriva l’andata degli ottavi e va via col suo risultato macabro ma non troppo. Alla fine arriva il tagliando, sopra c’è il mio nome, ho il mio primo appuntamento.

Aspetto il pullman in una stazione di servizio poco fuori dalla mia città, nel frattempo bevo forse tre caffè e parlo con un benzinaio amico innamorato del calcio quasi quanto me. Ha giocato a calcio a livello discreto, è ancora molto forte e a differenza mia lui muore dall’utopico desiderio di giocarla una partita del genere, piuttosto che viverla dagli spalti. Tutti sanno della partita e ascoltano i nostri discorsi vicino alla pompa del diesel. Io sono il fortunato che quella sera troverà un posto allo stadio.
- Ma come hai fatto a trovare il biglietto? Che culo!
- Quanto vorrei essere al tuo posto, oggi ti vedi un partitone.
- Speriamo che vada bene, almeno ti diverti.

Piazza Garibaldi
Napoli ha il tetto di piombo e le strade sono puntellate di azzurro Macron e Kappa, a seconda dell’epoca. Scendo dal pullman e mi metto a passeggiare incrociando folate di tifosi a vario titolo: alcuni seguono delle indicazioni sul telefono alla ricerca dell’entrata della metro, altri procedono dritti verso la stazione dei treni con passo automatico. Ed è questo il primo momento in cui mi rendo conto che oggi Napoli è davvero il centro del mondo e che io sono vivo dentro a questo racconto.
Inizia a piovere. Il rifugio da chi vuole a tutti i costi vendermi un ombrello è un ristorante a pochi passi dall’entrata della stazione: ordino un primo e un secondo accompagnati da una birra e mi guardo intorno. Davanti a me un gruppo di tatuatissimi ragazzi di chiare origini straniere, inglesi ma non troppo, completamente bardati di Napoli e dei colori sociali della squadra. Parlano a bassa voce e ogni tanto capisco Zielinski o Reina tra i loro discorsi. Alla televisione prende la linea un inviato che si trova in città e attacca a parlare della partita. Il ristorante ovviamente si paralizza.
- È la notte dei miracoli, è la notte di Maurizio Sarri e dei suoi ragazzi che proveranno a ribaltare il risultato dell’andata…
Un po’ ci pensi alla casualità delle cose. Il gol di Lorenzo Insigne visto diecimila volte sul telefono che viene spazzato da una prodezza balistica di Casemiro che probabilmente non rifarà mai più un gol del genere. Ti chiedi chi diavolo abbia potuto metterlo in quel centrocampo, perché è toccato a lui che non segna mai. Perché proprio Casemiro? Perché 3 a 1? È come vivere nella stessa città della donna dei tuoi sogni ma non incrociarla mai per strada, credere di esser sempre a un passo dall’appuntamento col destino e ritrovarsi improvvisamente dall’altra parte del paese.

Il treno che porta a Campi Flegrei trasporta più persone di quante si possa immaginare. Le sciarpe annodate al collo o alla vita. Speriamo.
Speriamo che le cose si mettano bene, se il Napoli segna subito può metterli in difficoltà col possesso palla ma loro un gol lo fanno sempre.
Speriamo che non facciano cazzate in difesa, Koulibaly ce l’ho al fantacalcio e ogni tanto soffre le grandi partite. Negli scontri diretti gli preferisco sempre Peluso. Tra l’altro Peluso non è nemmeno malaccio.
Speriamo, magari loro sono stanchi e hanno sofferto anche col Las Palmas che non è certo il Napoli. Però segnano sempre, anche ora che Ronaldo segna di meno ne fanno comunque cinque a partita.
Speriamo entri quella maledetta palla, almeno mille volte. Alla fine il calcio è un gioco strano, i miracoli esistono e chissà non tocchi a noi oggi. Congiunzione astrale, forse ho in mano il biglietto per la partita del secolo, il Napoli che va in svantaggio per due reti a zero e poi segna cinque gol di fila passando il turno sulle spalle di uno scatenato Arek Milik.
È il viaggio della speranza. Io guido verso casa di questo splendore di ragazza mentre mi aggroviglio assieme ai miei stessi pensieri. Chissà se sono vestito bene, forse ci piacciamo entrambi e dobbiamo solo dircelo. Mi aspetterà sotto casa o poco più avanti? Quanto manca per arrivare?

Alza gli occhi e respira, se ci riesci.
Lo Stadio San Paolo è proprio dietro agli alberi, da questo punto vedo le bancarelle con maglie e sciarpe davanti ai cancelli dello stadio. Ma per me è troppo, entro in un bar e prendo un altro caffè. Piccoli sorsi di liquido nero digeriscono piccole occhiate lanciate di sfuggita a quella struttura mitologica, a uno stadio che ha ospitato delle sfide epiche offrendo il suo manto erboso in pasto ai più grandi giocatori della storia del calcio. La casa che è stata di Maradona.
Maradona! Non sono riuscito a vederlo giocare dal vivo, la vita è ingiusta. Potrò raccontare di aver visto due volte Marcelo allo stadio ma non ho mai visto Maradona in campo.
Compro una sciarpa del Napoli nella speranza di non esser scambiato per un tifoso avversario, immerso come sono nel mio abbigliamento total black. A pochi passi dai cancelli della Curva B mi intrufolo in un altro bar, per ingannare l’attesa. Mancano sei ore al fischio d’inizio.

Ci sono due ragazzi poco più piccoli di me vestiti del Napoli, chiedo delle info che già conosco e incominciamo a parlare. In poco tempo sono il Brindisino, partito da solo dal tacco della Puglia per vedere il grande Napoli ma sono anche uno stupido perché ho sognato il 3 a 0 degli azzurri con primo gol di Koulibaly e non l’ho giocato. Mi spiegano due cose: se sogni qualcosa che ha a che fare con numeri e partite devi giocarla subito al centro scommesse e inoltre si può fare un pronostico sulla partita solo da mezzogiorno in poi. Il bar è pieno di sciarpe come in una mostra fotografica di un tizio che ne ha viste tante: Napoli — Dinamo Kiev, Napoli — Besiktas, Napoli — Athletic, Napoli- Manchester City. Il secondo caffè non lo pago e nemmeno la focaccia.

C’è questa cosa particolare che mi è successa una settimana prima della partita, l’ho sognata la notte e la ricordo perfettamente. Nel sogno arrivo a Napoli in macchina anche se sono consapevole di aver fatto una scelta sbagliata, chiedo informazioni per lo stadio sotto una specie di moschea ma la macchina si ferma, inesorabilmente, e sono costretto ad arrivarci a piedi. Un gruppo composto da due ragazzini e i rispettivi padri si offre per farmi strada, il viale che porta al San Paolo è lunghissimo ed è un rettilineo: mi danno le chiavi di un Hexagon e mi fanno strada. Mentre guido affronto decine di avversità che si presentano sotto forma di pneumatici che forano, gente che vuole a tutti i costi farmi una manicure per strada, cantieri e un muro di persone in protesta con un supermercato. Ascolto la partita alla radiolina e il Napoli si porta subito in vantaggio con una zuccata di Kalidou Koulibaly e incomincio a correre. A un certo punto una ragazza mi presta il suo cane, un pincher di piccolissime dimensioni, io per tutta risposta lo inforco e cavalco verso lo stadio mentre il Napoli raddoppia. Finisce tre a zero, non arriverò mai allo stadio in tempo per i festeggiamenti e quando vedo la fine del lungo vialone scopro in realtà di essere tornato a Francavilla, la mia città.

Lo stadio incomincia a riempirsi, la gente si accalca ai tornelli e le forze dell’ordine prendono posto. C’è un giornalista simpatico di ESPN, sembra Enrico Papi e dice di essere argentino. Si rivolge ai tifosi napoletani con un sorriso tiratissimo che muore ogni volta che la telecamera va in off, fa domande di circostanza come Cosa pensi se ti dico Argentina? e Cosa pensi se ti dico Higuain? Ogni tanto parte un urlo dall’interno dello stadio. Mi siedo e aspetto.

Il miracolo del pallone che rotola e ancora una volta cancella tutti i pensieri. Sto sempre lì a rimuginare su questo concetto che ogni tanto cerchiamo di allontanare da noi quando riduciamo il gioco del calcio a un semplice mucchio di regole e giocatori. Una partita di pallone, per quanto sia semplice come assunto, capace di mobilitare 60k persone allo stadio solo per vivere un sogno, per lanciare un urlo che fa tremare la terra. Il calcio, come qualsiasi sport, usato per lenire i propri mali e per scacciare le ansie: novanta minuti di totale connessione con il campo da gioco e con i tifosi, tutti abbracciati come fratelli mentre le casse sparano le improbabili parole dell’inno della Champions. Siamo folli. Chi non capisce cosa significa si fa beffe di noi, tirando a lucido le solite frasi come Ma lo sanno tutti che è finto! Ma a te cosa ti va in tasca? Ti rendi conto che i calciatori guadagnano milioni e tu stai a fare il morto di fame?
Impossibile stabilire da che parte sta la ragione. Rigiro tra le mani l’ennesimo bicchiere vuoto di caffè e mi dirigo al tornello per il pre-filtraggio. Mentre uno steward sorridente mi mette le mani addosso per tastare le mie intenzioni, dall’interno dell’arena parte un coro che non riesco a capire. Lo steward sta ancora cercando qualcosa nella mia sciarpa e intanto borbotta a labbra strette
Carè-Carè-Careca tira la bomba! Tira la bomba!

Sento il cuore strattonarmi in avanti, i miei occhi intravedono la luce che illumina il prato e la gente che sventola già le bandiere. Sono emozionato perché finalmente ho avuto l’appuntamento della mia vita, sono davanti alla ragazza più bella che io abbia mai desiderato trasfigurata in una partita di calcio. Da quel momento in poi è solo amore.
E l’amore fortunatamente non si può descrivere con le parole.

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Massimiliano Chirico
Crampi Sportivi

Da piccolo avrei voluto fare hockey su ghiaccio ma vai a spiegarglielo a mio padre. Oggi la mia vita sarebbe diversa.