Come le foglie. Marco Pantani

Simone Nebbia
Crampi Sportivi
Published in
3 min readMay 19, 2018

TAPPA 14— SAN VITO AL TAGLIAMENTO — MONTE ZONCOLAN

19 MAGGIO 2018–186 KM

Vincitore: Chris Froome

Maglia Rosa: Simon Yates

Che poi uno finisce per chiederselo: ma prima dell’ultima montagna di tappa con l’arrivo in salita, ma che lo guardo a fare il Giro d’Italia? No perché tanto se la giocano tutta negli ultimi dieci chilometri, dai, mica si mettono lì a fare le cose epiche come una volta, ché prima fanno tutti i gradassi a medie che neanche con le borracce di alga spirulina, poi gli ultimi dieci se li fanno cadendo come le foglie dagli alberi, lenti lenti, uno dietro l’altro a tirare su biciclette come fossero macigni da cui farsi schiacciare. Ma tutti quelli che la pensano così non hanno forse mai sentito parlare dello Zoncolan, una salita dove non riesce ad andare su neanche la moto che ci lascia la frizione, figurarsi in bicicletta col motore dentro le gambe, ad avercene uno, ti alzi sui pedali, ti risiedi, ti rialzi, implori pietà, preghi. Cedi di colpo.

La prima volta. Il 2003. Quando in cima vinse Gilberto Simoni. Ma gli occhi, il cuore, non c’era verso che non fossero per chi tornava dopo una tragedia dietro l’altra. E lo stesso oggi, non me ne vogliano Dumoulin o Yates, Froome o Pinot, ma oggi quei metri su una rampa sono bagnati da quindici anni ed è una sorpresa, non lo sapevo che sarebbe accaduto, perché le emozioni restano inesplose finché d’improvviso non si prendono lo spazio e il tempo, soprattutto, il tempo. Marco Pantani su quella montagna fece uno degli ultimi scatti, era tornato al Giro dopo l’amarezza dell’ingiuria e del giudizio, vittima di una depressione che solo un anno dopo l’avrebbe ucciso, ma per la prima volta sulle strade della “rosa” c’era questa salita inedita, le sue gambe in un modo o nell’altro, la dovevano provare. Pantani era quello nato sul Mortirolo nel 1994, mi piace pensare che non sia morto in quella stanza scadente di un hotel ma proprio lì, quel giorno di maggio del 2003 sulle strade dello Zoncolan, quando per un po’, distrutto com’era, nessuno lo stesso gli stava dietro.

E però c’è la gara, in mezzo ai ricordi. A crearne, chissà, di altri. E tocca a Chris Froome affrontare una salita che non ha nelle proprie gambe, ma come spesso succede non è una questione che passi solo per muscoli e fibre, ci vuole il cuore e un desiderio segreto, silenzioso, per mettere un pedale dietro l’altro e salire verso alto, senza possibile perdono, senza requiem. Se ne accorge Fabio Aru che arriva inespressivo come avesse visto un mostro, se ne accorgono Dumoulin e Pinot che limitano i danni quanto si può, non sembra farci caso Simon Yates ché forse in maglia rosa tutto, sembra più facile. Arriva a pochi secondi da Froome, qualcuno prima di un combattente privo di età come Domenico Pozzovivo. Perché se è vero che lo Zoncolan non perdona nessuno, il folle volo dei combattenti decreta in ogni caso che ci sarà un primo, un secondo e un terzo. In questa come in tutte le altre gare. Ma più di tutto oggi che di anni ne sono quindici, come la percentuale più alta della pendenza in salita. Oggi che un ricordo succede all’altro quanto i pedali, agili, volano come le foglie, alle spalle del tempo che passa.

Simone Nebbia

--

--