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Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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10 min readOct 22, 2016

Mondo statico e forse indietro di qualche anno (se non di qualche decennio), la Formula 1 ha forse cominciato le proprie pulizie di primavera. Non più di un paio di mesi fa, proprio su queste pagine, scherzavamo su come attendessimo un cambio di proprietà per il circus, detenuto dalla CVC e comprato dagli americani per accantonare Bernie Ecclestone.

Tempo due settimane e lo scenario apocalittico — per qualcuno un sogno — è diventato realtà: il Liberty Media Group ha acquisito la proprietà della Formula 1 per otto miliardi di dollari (poco più di sette miliardi di euro). Una sorta di situazione win/win per le parti coinvolte.

La Formula 1 può così sperare in un futuro migliore e più al passo con i tempi; Ecclestone rimarrà comunque CEO per almeno altri tre anni. E il nuovo presidente della F1, Chase Carey — faccia da bontempone con dei baffi alla Friedrich Nietzsche — ha ammesso di «vedere grandi opportunità per aiutare la F1 nel proprio sviluppo e per alimentare il bene di appassionati e investitori». Forse è anche un modo per sbloccare il consenso degli USA verso la F1, da sempre gelido.

Parole di circostanza, ma era una scossa che molti aspettavano. Una novità che almeno POTREBBE — il condizionale è d’obbligo — scuotere un mondo che si sta allontanando dal suo centro storico (l’Europa) alla caccia di investitori random (vi invito a fare una comparazione tra il calendario attuale e quello di 10–15 anni fa).

Questo porta anche un corollario con sé: proprio il calendario potrebbe allargarsi e mutare. L’ha detto lo stesso Carey, affermando che «le corse possono essere più coinvolgenti e appetibili», facendo anche intendere che il calendario potrebbe allargarsi a più corse delle 21 attuali e che, sì, l’America potrebbe avere più di un GP. Un dibattito già aperto tra i piloti.

Vista che la tendenza sembra esser questa, avremmo qualche suggestione. Sette proposte alternative per la nuova F1, magari mollando circuiti noiosi (sì, Baku e Sochi sarebbero in testa) o doppioni (il Bahrain così a occhio non aggiunge molto ad Abu Dhabi). Un calendario da 23 corse che sarebbe allettante per il 2018: purtroppo le date per il 2017 sono già state decise e la proprietà americana non è ancora entrata pienamente nel circus.

USA — Watkins Glen

Come già annunciato, un’altra corsa negli USA sembra inevitabile. La speranza è che almeno che sia in un circuito affascinante: in fondo ce ne sono così tanti tra i quali poter scegliere — da quelli cittadini al ritorno di Indianapolis (col ricordo indigesto del 2005), passando per il progetto fermo del New Jersey.

Forse, però, la miglior proposta sarebbe quella di riportare Watkins Glen in F1. Una buona mossa per molteplici motivi.

Punto primo: The Glen è situato a New York, risolvendo due problemi in uno. L’ingresso del circuito nel calendario regalerebbe un GP alla East Coast e darebbe un po’ di prestigio a quest’entrata, visto che non è la prima volta che si correrebbe lì.

Punto secondo: il circuito ospita oggi serie della IndyCar e della NASCAR, ma ha già accolto la Formula 1 tra le sue braccia. Il GP degli Stati Uniti si è corso lì dal 1961 al 1980, prima che i debiti verso i team sommergessero il circuito e lo portassero alla bancarotta.

Fotografie dall’ultima comparsata della F1 sulla East Coast.

Punto terzo: per gli appassionati motoristici degli Stati Uniti, Watkins Glen è una sorta di Mecca dell’automobilismo. Anzi, nelle intenzioni degli organizzatori degli anni ’60, il GP viene piazzato in autunno proprio per attirare molti tifosi a Upstate New York nella stagione autunnale, forse la più bella in cui visitare la zona.

In fondo, qualcuno (Lewis Hamilton) ha già testato una F1 sul posto. Un back-to-back negli States con Austin nel giro di una settimana, magari piazzandoci a stretto giro di posta anche Canada e Messico, non sarebbe il massimo?

Argentina — Autódromo Juan y Oscar Gálvez

Gli Stati Uniti hanno sempre rappresentato un tentativo (fallito) di evangelizzazione per la F1, ma non ho mai capito perché il circus non abbia provato a colonizzare anche la parte latina dell’America.

Non fraintendetemi: di piloti sudamericani in F1 ce ne sono stati una marea. Alcuni di loro sono ancora in griglia (ma lo spettro di una stagione senza un pilota brasiliano c’è per il 2017: Massa si ritira e Nasr… boh), mentre altri hanno fatto la storia di questo sport. Tuttavia, a livello di circuiti, solo il Brasile è stato un punto di riferimento importante.

Questo perché se non c’è cultura sportiva, non ci sono infrastrutture e viceversa. Per il Brasile questo discorso vale in positivo; per gli altri, è utilizzabile al contrario. L’Uruguay ha avuto quattro rappresentanti negli anni ’50, mentre il Cile si è fermato a uno e la Colombia a tre (che, però, ha dalla sua Juan Pablo Montoya). Il Venezuela si è retto soprattutto sulle gesta (nobili e meno) di Ceccotto e Maldonado. E l’Argentina?

L’Argentina è la grande incompiuta di questa storia: 25 piloti in F1, tra cui il mito Juan Manuel Fangio, vincitore di cinque titoli Mondiali negli anni ’50. Ci sarebbero anche José Froilán González e Carlos Reutemann, ma un pilota Albiceleste manca in questa categoria dal 2001, quando Gastón Mazzacane e Luciano Burti si alternarono sulla Prost.

Manca al tempo stesso un circuito su cui si possano radunare gli appassionati argentini. Quel circuito è stato per molto tempo l’Autódromo Juan y Oscar Gálvez, voluto da Juan Perón durante la sua dittatura. Si sono corse venti edizioni a intervalli alternati, con lunghe interruzioni dovute anche al ritiro di Reutemann e alle difficoltà economiche post-dittatura.

Tra il 1995 e il 1998 si sono corse le ultime gare. La mancanza di fondi ha fatto sì che anche la classe 500 del Motomondiale mollasse il circuito, per tornare in Argentina nel 2014, ma a Santiago del Estero. E se il modo per far appassionare il Sud America fosse riportare in auge un altro circuito fuori dal Brasile?

Giappone — Fuji Speedway

La questione qui è più delicata. Sin dal suo ingresso in F1, Suzuka è stata un riferimento per gli appassionati. Per le sue curve ad alta velocità, per il fascino esercitato dal Giappone, per l’accoppiata con la Honda, per le sfide Mondiali decise nelle albe italiane. Tuttavia, nel 2007 e nel 2008 non si è corso a Suzuka.

Un biennio di pausa, con la Honda in cattive acque — tecniche e non — mentre la Toyota cresceva a vista d’occhio. La conseguenza di questo è stata la scelta del Fuji Speedway, tornato a ospitare la F1 nel paese del Sol Levante dopo trent’anni.

Un circuito che ha avuto un’importanza capitale nella storia di questo sport: se vi è capitato di guardare il recente “Rush” di Ron Howard — che racconta il duello mondiale tra James Hunt e Niki Lauda — avrete notato come l’ultima gara si svolge proprio al Fuji sotto una pioggia torrenziale. Oltretutto, il circuito era diverso nella sua conformazione.

Già segnato da un terribile incidente proprio quell’anno al Nürburgring, Lauda decide di non rischiare e opta per il ritiro di fronte al monsone in corso, consegnando di fatto a Hunt l’unico titolo Mondiale della sua carriera.

Il problema è che la stagione successiva ha portato altri problemi: pezzi di debris derivanti da una collisione tra Peterson e Gilles Villeneuve causano la morte di due persone (un marshall e un fotografo). La storia dirà che le due vittime non si sarebbero dovute trovare in quel punto della pista, ma il Fuji scompare per trent’anni. Quando la F1 torna in Giappone nel 1986, si va a Suzuka.

Quel biennio di ritorno dimostra alcune inadempienze dell’intero circuito. Su uno dei rettilinei più lunghi nella storia della F1, vanno in onda due corse assurde. Quella del 2007 rimane negli annali: come nel ’76, una pioggia ininterrotta costringe la partenza sotto safety car. Poi succede il finimondo.

Sarà il GP di Hamilton re sotto la pioggia, di Kovalainen sul podio inseguito dal connazionale Räikkönen, di Webber vomitante nel casco, del suo contatto con Vettel e delle mille peripezie dei piloti nel tentativo di controllare una macchina perennemente instabile.

Alonso, per esempio, non ha avuto fortuna.

Nonostante una gara asciutta, il 2008 vedrà la sua dose di sconvolgimenti: il principale avviene allo start, dove Hamilton parte in pole ma sbaglia la prima staccata, portando con sé diverse macchine. Lo stesso pilota inglese verrà poi colpito da Massa il giro successivo: la vittoria andrà a Fernando Alonso, all’epoca sulla Renault.

Tuttavia, il Fuji ha difettato per tanti motivi: il mancante piano per il trasporto dei tifosi, il rimborso dei fans presenti alla tribuna C (dove la nebbia ha impedito di vedere qualunque macchina nel 2007. Costo del rimborso complessivo: tre milioni di dollari!) e il DIVIETO di esporre qualunque vessillo che non fosse targato Toyota.

Quando la casa giapponese lascia la F1 nel 2009, il piano di alternare i due circuiti decade. Ma non sarebbe male dare una seconda chance a una corsa che è stata comunque in grado di proporre altrettante splendide edizioni.

Sudafrica — Kyalami

Situato a Midrand (nord del paese), il Kyalami Racing Circuit ha visto ben venti edizioni (21 in realtà, ma nel 1981 la gara non fu omologata dalla FIA). Anche la MotoGP è stata a lungo in Sudafrica, andandosene solo nel 2004. Ben prima l’addio della F1, che ha avuto un rapporto conflittuale con l’unico circuito africano del calendario.

Dopo il debutto del 1961, il circus ha lasciato Kyalami a causa dei problemi razziali che attanagliavano il Sudafrica nel 1985. Il breve ritorno — per il 1992–93 — non è stato mai confermato: l’ultima corsa è stata vinta da Alain Prost davanti a Senna. Un podio d’autore per l’ultima cartolina. Il circuito viene anche tristemente ricordato per il terribile incidente mortale accorso a Tom Pryce nel GP del 1977, nel quale ha perso la vita anche un commissario di pista.

Un giro a Kyalami. Con Ayrton Senna.

Forse però, dopo il Mondiale disputato nel 2010 e l’acquisto della pista da parte della filiale sudafricana della Porsche, c’è la speranza di rivedere un circuito africano in calendario. Magari con l’attuale bandiera e non quella precedente.

Qualche segnale c’è anche stato: è notizia recente che Kyalami abbia ottenuto la certificazione di “grado 2” da parte della Fia. Ciò vuol dire che la F1 potrà tornare in Sudafrica, anche se per ora solo per i test. E se arrivassero altri soldi per sistemare il tutto?

Olanda — Zandvoort

Anche qui si tratterebbe di un ritorno. Il GP d’Olanda è stato realtà per 34 edizioni, dal 1948 al 1985. Il circuito di Zandvoort ha anche un certo fascino paesaggistico: situato vicino al mare, l’omonimo paesino ha dato anche i natali a un vincitore della 24 ore di Le Mans.

La collaborazione con il circus si è conclusa a metà degli anni ’80 perché la compagnia che gestiva il trattato si era ritirata dal progetto, lasciando tutto in mano al comune. Dopo aver rischiato la trasformazione in un parco divertimenti, oggi Zandvoort ospita ancora alcune gare motoristiche.

Con l’esplosione di Max Verstappen (che ha già fatto un salto da quelle parti l’anno scorso), però, chi ci dice che non si tornerà in Olanda?

Germania — Nürburgring

Qui le possibilità sono due. La prima: riportare il GP d’Europa al famoso circuito, lasciando quell’obrobrio che sembra esser Baku. La seconda, forse anche migliore e che avrebbe evitato in primo luogo la bancarotta per la pista, è l’alternanza con Hockenheim per il GP di Germania.

L’iconico Nordschleife — che si snoda per ben 22 chilometri e ha il soprannome di “Inferno verde”, visto che si snoda per i boschi della zona — è ancora oggi meta di visita per tanti appassionati di motori, ma il circuito che negli ultimi anni ha ospitato la corsa — il GP-Strecke — ha avuto i suoi momenti di gloria.

Uno su tutti? Il GP ’99, con un podio comprendente due Stewart. E Jarno Trulli sulla Prost.

I primi problemi per il Nürburgring sono iniziati nel 2007, quando ci si è resi conto che i prezzi dei biglietti impostati da Bernie Ecclestone rendevano impossibile riempire le tribune. Così è iniziata l’alternanza tra Nürburgring e Hockenheim per il GP di Germania.

Ciò nonostante, nel 2012 la compagnia che gestiva il tracciato aveva accumulato debiti per 500 milioni di dollari, parzialmente risanati dal governo locale. Non è comunque bastato: nell’anno successivo, il circuito viene venduto all’asta per 127 milioni di euro, subendo poi un altro passaggio di mano per una cifra ancora più bassa (77 milioni).

Oggi il Nürburgring non è più di proprietà della Capricorn Development, bensì del miliardario russo Viktor Kharitonin, che ha acquistato la maggioranza delle quote nell’aprile di quest’anno. La maggior parte degli appassionati spera che si possa tornare nell’Ovest della Germania il prima possibile.

San Marino — Autodromo Enzo e Dino Ferrari

Qui casca l’asino. Dal 2006 — anno della sua ultima edizione — Imola non è più nel calendario. Un circuito pieno di passione, di storia (anche negativa: le morti di Ayrton Senna e Roland Ratzenberger rimangono ricordi spiacevoli) e di episodi da raccontare. Ed è stato un peccato sentire che San Marino non sarà prossimamente nel calendario.

Una chance c’è stata: con il futuro di Monza a rischio, l’Autodromo di Imola si è proposto per riempire quella casella, visto che nel frattempo i lavori di ammodernamento dell’impianto sono andati a buon fine. Poi Monza ha trovato l’accordo con Ecclestone fino al 2019 (anche se manca la firma…) e non se n’è fatto più nulla.

La verità, però, è un’altra: Imola meriterebbe uno spot a parte. Tornare al vecchio Grand Prix di San Marino. Un circuito antesignano, visto che è stato — insieme a Interlagos — l’unico che si percorreva in senso anti-orario. Al circuito e alla SAGIS — la compagnia che gestiva l’impianto — erano stati richiesti alcuni miglioramenti, non arrivati in tempo: dal 2007, la F1 non ha più corso a Imola.

Se la SAGIS ha poi dovuto dichiarare fallimento quell’anno, il motivo dell’abbandono di Imola è soprattutto un altro. Oltre ai lavori da completare, la volontà di Ecclestone è stata quella di spostarsi lontano dall’Europa ed evitare che un paese avesse più di un GP. Ma per l’Italia forse un’eccezione è da contemplare: nonostante non ci sia un nostro rappresentante in griglia dal 2012, l’Italia è il paese con più piloti che hanno disputato una gara di F1.

Nel frattempo, il circuito si è ripreso. Una nuova gestione ha portato all’ammodernamento richiesto, a ospitare il Mondiale Superbike e altre gare motoristiche. Non solo: la troupe di Top Gear è stata nel 2012 a Imola per girare una puntata, mentre gli AC/DC non più di un anno fa hanno tenuto un concerto da 92mila persone.

La speranza è che la F1 possa riabbracciare Imola, l’Europa e in generale un vecchio corso che non sa tanto di nostalgia, quanto di futuro. Perché una F1 senza tifosi — vedi i casi dell’India e soprattutto del circuito di Yeognam in Corea del Sud — è inutile.

Articolo a cura di Gabriele Anello

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