Costa Concordia

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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7 min readFeb 1, 2017

Contenuto infiammabile: maneggiare con cautela.

“Se non puoi batterli, unisciti a loro”.

Non stiamo parlando di Kevin Durant, né tanto meno dei contestatissimi colpi di mercato della Juventus della scorsa sessione di mercato (Enzo Dong potrà confermare). No, stiamo parafrasando in estrema sintesi forse l’unico vero modo accertato da allenatori e colleghi di rapportarsi a uno degli attaccanti più controversi e prolifici del calcio europeo degli ultimi anni.

Come, non avete ancora capito di chi si tratta? È semplice, poiché egli incarna il parziale fallimento del metodo bastone e carota adottato da gran parte dei commissari tecnici del mondo; è il golem dei terminali offensivi, una carogna dalle fattezze umane — calcisticamente parlando, sia chiaro — signori e signori, Diego da Silva Costa, meglio noto come Diego Costa.

Con questo breve scritto s’intende dare un monito al circondario del 28enne brasiliano d’origine, in forza al Chelsea, riguardo alle tecniche di sopravvivenza da adottare per mantenere integro e salubre il rapporto — parimenti sportivo e umano — con una personalità particolarmente suscettibile. Per coloro i quali non conoscessero il soggetto, qui di seguito un breve sunto della bio dell’attaccante spagnolo. Diventa quasi necessario dimostrare il perché un giocatore del genere sarebbe sempre meglio averlo come compagno di squadra che come avversario.

“Sò Diego, ti spiego”

In realtà, le prestazioni di Costa sono abbastanza eloquenti, poiché rispecchiano il peso che il ragazzo esercita sul reparto offensivo della squadra in cui milita o ha militato. Prendendo ad esempio la stagione in corso, egli vanta statistiche a dir poco strepitose: 15 gol segnati in 20 partite e 5 assist, conditi dalla vittoria di 4 MoTM (man of the match). Ma limitarsi alle statistiche per descrivere l’impatto del centravanti sarebbe ingiusto.

Diego Costa è un attaccante tipicamente moderno, capace di segnare con regolarità, forte fisicamente e dotato di una tecnica individuale più che discreta. Predilige lo scambio rapido palla a terra e non ha paura di puntare il suo marcatore.

Nonostante le dimensioni non proprio esigue (188cm x 85 kg) è agile e rapido nello scatto, non disdegnando comunque nemmeno il gioco aereo. Inoltre va aggiunto che la sua dote migliore rimane quella della conclusione in porta — spesso anche acrobatica, il ragazzo non ha paura di volare — assieme alla visione di gioco; è infatti in grado di mandare in porta anche i compagni di squadra, doti che gli consentono di ricoprire più posizioni offensive.

In numerose occasioni, a causa di una malizia parecchio accentuata e di una cattiveria agonistica ai limiti dell’animalità (doti puramente innate), è stato criticato per dei comportamenti sopra le righe. Giusto perché ci piace usare degli eufemismi.

La sua unicità probabilmente è proprio data da un’attitudine da vero rude boy e da una sfacciataggine ai limiti della sopportazione umana. Diego Costa rientra nella categoria di persone socievoli, simpatiche e amorevoli fuori dal campo, ma che on the pitch risultano essere una piaga per la squadra avversaria (alla pari di due altri maestri della categoria come Mark Van Bommel e il teutonico Stefan Effenberg).

Molto spesso ci si è posti l’interrogativo se il gioco effettivamente valesse la candela; a quanto pare la risposta continua a essere sempre affermativa, perché Diego in questi ultimi anni di faide, trash talking e battibecchi con allenatori vari è riuscito sempre a risultare vincitore e vincente, in tutti i sensi. Sembrerebbe rientrare fra gli interessi delle società proprietarie del suo cartellino, tanto più del suo staff, quello di non tediare il numero 19.

La cosa in realtà, è più facile di quel che sembra.

Houston, abbiamo un problema?

Com’è universalmente noto, ogni rosa ha la sua spina: nulla di strano. Il problema viene a crearsi se questa spina si conficca nella zampa del leone sbagliato e soprattutto se, il giardiniere in questione (considerato pubblicamente un esperto di botanica), avendo il difficile compito di occuparsi di un giardino pensile generosamente offertogli dal facoltoso proprietario di casa, comincia a prendersela con il leone per la sua feroce natura.

Facendo leva su queste omonimie tra mondo calcistico e mondo del giardinaggio si arriva alla “situazione tipo” che si presenta almeno una volta a stagione, ovvero quando Diego Costa decide che è il momento di far parlare di sé. Le motivazioni possono essere di diversa natura, ovviamente (fatto che ribadisce ulteriormente l’eclettismo del personaggio). In quasi dodici anni di carriera professionistica, iniziata nel 2006 a diciotto anni in Portogallo — precisamente tra le file di quello Sporting Braga che ricominciava ad affacciarsi nell’Europa che conta — il ragazzone talentuoso ha da sempre fatto discutere, sia nel bene che nel male.

L’ariete di origini baiane non è sbocciato precocemente come i tanti talenti contemporanei che ormai ci hanno preso gusto. Una, seppur breve, gavetta nella penisola iberica prima di arrivare al calcio che conta, a Madrid, coi Colchoneros c’è stata, ed è pure stata condizionata dalla rottura del legamento crociato (che ne impedì, fortunatamente, il trasferimento al Besiktas). Non è da escludere che proprio in questa fase di transizione, segnata dalle reti realizzate in Segunda División (65 presenze tra Celta e Albacete, 15 gol), l’attaccante abbia sviluppato alcune caratteristiche peculiari del suo modo di giocare.

La cattiveria agonistica, la voglia di vincere e di imporsi, il suo desiderio di rivalsa, escono nella doppia faccia del gioco sporco e della maestria — non elegantissima — nel far logorare inesorabilmente le energie nervose di chi lo circonda (sia esso con o contro di lui). Con gli anni la sua è diventata una condotta discutibile sia dentro che fuori dal campo. Spetta però a qualcuno correggerla, oppure è solamente un lato del giocatore carismatico e decisivo qual è, su cui si può machiavellicamente sorvolare?

Aut disce, aut discede

Il celebre motto latino, preso in prestito da numerose scuole e atenei per indicare l’autentico spirito didascalico dell’istituzione scolastica (“studia, applicati o vattene”), pare essere stato coniato ad hoc da alcuni allenatori — i vari Scolari, Del Bosque, Mourinho, Conte — per lo scolaretto Diego Costa, che però in risposta ha tenuto molto spesso un atteggiamento da ribelle pronto ad ammutinarsi.

Mentre per Scolari il discorso verte principalmente su una sua scarsa capacità di leggere le situazioni (la rinuncia a Costa è stata un’autentica mazzata per il Brasile dei Mondiali 2014), che ha portato Costa a scegliere di giocare per la Spagna, per Del Bosque e Mourinho si può parlare di spreco di risorse e di cattiva gestione del capitale umano, non avendo infatti compreso la complessa personalità del ragazzo.

Il loro modo di reagire ai vezzi, ai capricci e alle sciocchezze commesse in campo dal numero 19 — che vanno dai tentativi di accecare i suoi marcatori, alle simulazioni ostentate, alle reiterate provocazioni e alle “entrate killer” (chiedere informazioni a David Luiz, Skrtel e Koscielny fra i tanti, i quali quasi sicuramente preferirebbero evitare di andare a cena con il terminale offensivo ora in forza al Chelsea) — non è stato quello propriamente più adatto.

Le accuse dello Special One riguardo alla mancata capacità di leggere le fasi di gioco da parte di Diego Costa e le sue rivincite personali per essere stato “oltraggiato in pubblico” dalle reazioni stizzite del suo giocatore, hanno portato il mago di Setúbal a mettere a serio repentaglio la permanenza di Costa a Londra e la serenità nello spogliatoio. Risultato: un Diego Costa svogliato e incattivito che ha fatto di tutto per affondare le speranze di vittoria e di continuità dello stesso Mou, esonerato poco dopo.

Una chiave di volta per la situazione apparentemente senza speranze circa la poca disciplina del brasiliano sembrano averla trovata tuttavia due tecnici tenaci quali sono Conte e Simeone. Quest’ultimo, suo grande estimatore e “motivatore” ai tempi dell’Atletico Madrid della stagione ‘13/’14, è riuscito a disinnescare i lati più indomiti dell’indole da “cane sciolto” del pallone di Diego, compiendo una superba operazione sul piano psicologico del giocatore.

È stato capace di convertire l’aggressività e il “randagismo attitudinale” di Costa in autentica fame di vittorie e spirito di sacrificio, inserendolo al centro del suo meccanismo calcistico quasi perfetto. E guarda caso, Costa ha avuto ben pochi screzi con il Cholo, giocatore di grande grinta e temperamento, abituato ad avere a che fare con ossi duri.

Lo stesso si potrebbe dire per Conte, suo allenatore ora a Londra (altro centrocampista caparbio e carismatico) che di recente ha dovuto affrontare un alterco abbastanza spinoso con l’attaccante in preda ad un “mal di pancia stagionale”, coincidente guarda caso con le ultra-ricche sirene cinesi che lo volevano protagonista del nuovo calcio asiatico. Dopo un’apparente situazione di divorzio, il pugno duro del tecnico leccese ha avuto la meglio e Diego Costa è tornato a splendere in Premier nel mese di gennaio.

In virtù di quanto visto e pronunciato dai media, pare lapalissiano assumere che per avere a che fare con un giocatore del genere bisogna armarsi di pazienza e diplomazia, senza però eccedere in buonismi che porterebbero Diego Costa ad imporsi prepotentemente sull’ambiente di lavoro auspicato inizialmente per la squadra.

Costa, per evitare di sprofondare — come l’omonima crociera triste pagina della recente cronaca italiana — ha bisogno di un “motivatore”, di uno psicologo, capace di focalizzare la concentrazione dell’attaccante sugli aspetti fondamentali del gioco, per renderlo oltremodo efficace. Sfidarlo è un rischio, perché i guai sono dietro l’angolo. Costa non deve essere educato, egli va semplicemente fatto sentire rispettato e va messo nelle condizioni ideali per poter dare il massimo, senza esaurirsi, mantenendo latente e flebile la sua indole da attaccabrighe

Chi è senza peccato scagli la prima pietra, ma non lasciate sia Diego Costa il primo a farlo, o qualcuno si farà male.

Articolo a cura di Luca Cicchelli

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