Crampi Sintetici — Difficoltà emotive della venticinquesima giornata

Crampi Sportivi
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5 min readFeb 25, 2014

Spalmati sul divano, con una Peroni nella mano destra e una sigaretta nella sinistra, noi di Crampi Sportivi non ci rassegneremo all’idea scriteriata per cui il calcio è soltanto un gioco. Crediamo invece che, per comprendere a pieno la complessità psicologica delle partite, ci si debba immergere nel profondo dell’animo umano. Eccovi dunque un resoconto della venticinquesima giornata di campionato tra polemiche, contestazioni, delusioni e antichi rancori.
Affrontare le avversità

Per gli uomini di Garcia, provare a vincere nella complicata trasferta di Bologna, significava soprattutto sapersi imporre sulle avversità: dalle assenze di Totti e Maicon, agli infortuni di Florenzi e Pjanic a metà gara. Non ultima, la riesumazione di Taddei: inequivocabile presagio di sventura. Partite in cui pare si sia costretti a dover rimpiangere Torosidis. E invece no! Ogni speranza di salvezza coltivata da Ballardini s’infrange inesorabilmente contro la compattezza di una squadra solida, che, nonostante l’emergenza, concede pochissimo agli avversari. Merito di un’organizzazione di gioco che non subisce flessioni, anche con le rotazioni. Le statistiche lo manifestano: con Romagnoli diventano 24 i giocatori partiti almeno una volta da titolari; con il gol-vittoria di Nainggolan sono 14 i giocatori andati a segno in campionato. Dati che, anche alla luce delle polemiche suscitate dal derby di Torino, sembrano acuire l’amarezza per un riavvicinamento alla Juve che pareva possibile e che invece non si è materializzato.

Paura del baratro

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Come recita un comunicato della Curva Nord di Livorno, quella contro l’Hellas Verona “non sarà mai una partita come le altre”: ad ogni incontro “il risultato, la classifica, gli schemi saranno solo di contorno ad una giornata che va ben oltre lo sport”. L’odio profondo, d’origine politica, che oppone due città, non soltanto due tifoserie, rendeva anche questa volta incandescente il clima attorno alla partita: con i butei che, provocatoriamente, hanno sfoggiato travestimenti in chiave carnevalesca, e i livornesi, “figli della libertà, delle leggi livornine e del 21 gennaio 1921”, che chiedevano una spinta d’orgoglio alla città intera e alla squadra. Orgoglio che, tuttavia, in campo è stato soltanto un sussulto, fulmineo quanto vano: un palpito d’amor proprio durato 51 secondi, un blackout gialloblù, in cui Paulinho e Greco riaprono una gara che pareva segnata. Ma non basta. Restano soltanto rimpianto ed amarezza. E la paura del baratro.

Abbandonati alla rassegnazione

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Claudio Lotito se ne stava così: impassibile, scuro in volto, abbandonato alla rassegnazione. Con quell’imperturbabilità stoica, che soltanto le intemperie dell’esistenza e lo “studio matto e disperatissimo” dei classici latini hanno potuto infondere al suo spirito, oramai temprato dall’irriconoscenza e dalla malignità delle genti. Con l’entusiasmo di chi ormai non gliene frega più un cazzo di niente, figuriamoci del risultato contro il Sassuolo, egli assisteva laconico e sconsolato ad una contestazione nei suoi riguardi, che, a suo dire, esula dell’umana comprensione. A nulla sono servite le consolazioni del fedelissimo Igli Tare, amico devoto e leale. Nemmeno il 3 a 2 finale, che ha scongiurato una figura gretta: l’ennesima, dopo quella contro il Ludogorets in Europa League. All’Olimpico il clima era surreale, apocalittico. La caduta si credeva imminente. Eppure niente. Lui sa bene che “dietro c’è una regia che ha altri interessi” (cit.). E di certo non sarà lui a soccombere. Piuttosto la Lazio!

Vecchi fantasmi e nuove certezze

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A Genova, il passato e il futuro si incrociano. Il passato è quello blucerchiato, con l’effetto Sinisa che potrebbe esser giunto a conclusione. Nonostante la vittoria di due settimane fa contro il Cagliari, la squadra fatica come Bersani a trovar un governo. E riemergono i problemi con i portieri: da Curci a Da Costa, da Romero a di nuovo Da Costa: aiuto. Inoltre, la concretezza non basta più, specie se poi ti trovi di fronte il Milan dei nuovi, che costruisce la vittoria sui nuovi acquisti: Honda passa a Rami, che mette in mezzo per Taarabt, dove il marocchino può concludere due volte prima di mettere in rete. Nella ripresa, si cambiano le parti: Taarabt in mezzo dove la palla arriva Rami indisturbato. Un nuovo Milan per un miglior futuro, la vecchia Samp per paure antiche.

Giocare con il cuore

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Una premessa doverosa: il Torino ha ragione a lamentarsi, il risultato è stato compromesso da due errori di Rizzoli. Ma si sa che dopo un derby le recriminazioni degli sconfitti, quanto più se legittime, offrono ai vincitori un ulteriore motivo di godimento. Soprattutto se si è juventini, ché in tal caso l’odio e “il rumore dei nemici” vengono ostentati con alterigia, quasi fossero un vanto. Detto questo, in campo c’è stato un unico vero protagonista: Carlos Tevez. Soltanto un colpo di genio, com’è stato il suo gol, poteva sbloccare una partita, fino allora, in fase di stallo, congelata da due formazioni in assetto difensivo. Nella prestazione di Tevez, a parte il gol, ci sono 3 tiri, 1 cross, 1 sponda, 2 occasioni create, 3 recuperi, 1 dribbling riuscito, 3 falli subiti e 2 commessi. Tanto sacrificio in un momento cruciale della partita. Ѐ il 42’ del secondo tempo, la sua squadra è in difficoltà. E lui corre, con il pallone incollato ai piedi, dalla sua metà campo a quella avversaria, trascinandosi tre avversari, fino a procurarsi un calcio di punizione. Questo è giocare con il cuore. Quello che mi sarei aspettato dal Toro, per riscattare un orgoglio ferito da 19 anni senza vittorie nei derby, 12 senza gol.

Fregarsene

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Ciò che impressiona del gol di Gonzalo Higuain al Genoa è il suo sguardo. La palla gli arriva da sinistra, da Hamsik, sul lato sinistro dell’area, filtrante. Non guarda altro, solo la palla, sembra non gli importi di finalizzare quel pallone; se ne frega di De Maio che lo segue, non si cura di Perin che esce. Lo sente. E lo fredda con un tocco sotto chirurgico.
Ciò che stupisce è che questa parabola passi in secondo piano davanti alla riscossa del puntero d’altri tempi. “Emanue’ ma tu non le batti le punizioni, vai a saltare in area, la metti in tapin, dai, batto io”. Ma niente. Calaiò se ne frega. Calaiò silenzia il San Paolo da 30 metri, su punizione. L’extraordinario al potere.

Contributi di Gabriele Anello, FL, Mattia Pianezzi

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