Crampi Sintetici — La Juventinità e altri cinque comportamenti della dodicesima giornata

Crampi Sportivi
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7 min readNov 11, 2013
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Alla fine degli anni ’80 Juventus e Napoli si contendevano lo scudetto e il clima che si respirava attorno a questa sfida riusciva ad assumere dei contorni magici. Non solo Maradona contro Platini, calcisticamente parlando. Ma uno scontro tra due epos, tra due visioni della vita e del tifo. Così radicato localmente il tifo napoletano, così nazionale e de-localizzato quello juventino. Al punto che l’essere juventino, più che a una provenienza geografica, sembra essere più riconducibile a un atteggiamento particolare, a un certo gusto in fatto di abiti, film ed etica in generale. Un po’ come l’essere di sinistra. Una sorta di spiritualità juventina: è la juventinità di cui parla(va)no gli Agnelli.
Questa dodicesima giornata è stata una giornata all’insegna della juventinità. Che significa che mentre i rivali inciampano goffamente su avversari modesti, tu vinci una partita con prepotenza. Senza però toglierti lo sfizio di lasciarti addosso un pizzico d’antipatia: il gol di Llorente è in fuorigioco, e la cosa quasi ti fa piacere, perché sai che mentre gli haters sono lì a rosicare, saranno sottilmente consci che quei ventuno centimetri sono ben poca cosa cui attaccarsi quando tiri fuori una prestazione del genere.
La juventinità è il brivido di sentirsi, al contempo, i più forti e i più odiati: quasi come un gangsta rap in delirio d’onnipotenza.

Svanire sul più bello

Il momento della verità per il Napoli di Benitez svanisce nel nulla per l’ennesima volta: a prescindere dalla terna arbitrale con le squadre che contano i partenopei spariscono, dissoluzione totale. Dopo Arsenal e Roma stavolta tocca alla Juventus. I bianconeri dopo appena un minuto vanno in vantaggio su un gol irregolare di Lllorente e spianano la strada verso la vittoria. Al di là di ogni recriminazione arbtirale — inutile — e di ogni riflessione tattica — possibile Pirlo e Pogba senza marcature e gli esterni bianconeri liberi su praterie infinite ? — quello che manca al Napoli come alla Roma e quello che invece appartiene ai bianconeri è la mentalità di una squadra vincente. Si perché anche di fronte ad uno stadio stracolmo, di fronte a quella che è da più di due anni la squadra più forte del campionato certi giocatori che non sfigurerebbero in nessun’altro club come Hamsik, vero perno del gioco del Napoli, non possono sparire all’improvviso. Benitez deve capire che non sta allenando più il Liverpool o il Chelsea ma una squadra che l’ultimo scudetto l’ha vinto con quel numero 10 che ha cambiato la storia. Troppo tempo fa. Bisogna ancora lavorare e parecchio.

Perdersi in un bicchier d’acqua

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Iil succedersi convulso d’aspri e brucianti ricordi. Che, inesorabile, si muta in un profluvio burrascoso di imprecazioni ed ingiurie, per lo più a carattere blasfemo. Un pareggio inaspettato, anzi impensabile, che s’immette nell’alveo delle tante occasioni sprecate nella storia della AS Roma. “Gli scudetti si vincono con le piccole”: un monito, quasi un mantra, che ogni volta riecheggia ossessivo, e beffardo, nel cuore di chi ha visto sfumare scudetti e trofei alle ultime giornate, o peggio nelle ultime manciate di secondi, contro squadre del cazzo come: Lecce, Livorno, Sampdoria, Slavia Praga e un’infinità di altre ancora. Partite che sembrano stregate: i tuoi segnano un gol, così “giusto per farti arrapare” (Hornby), pare che tutto vada come deve, continuano ad attaccare sulle ali dell’entusiasmo, e nella consapevolezza che la partita va chiusa il prima possibile. Sembra che gli avversari si rassegnino a subire, nell’attesa del colpo di grazia, che ponga fine alla loro agonia. Ma niente: non ci sono cazzi, il secondo gol non arriva. Finché al 94° minuto, capita che nell’ultima, disperata quanto fulminea, azione del match, dopo una confusa mischia in area di rigore arriva il gol del pareggio: come una sentenza ingiusta, spietata, che ti ridimensiona, ti fa sentire piccolo, immaturo, soffocando sogni ed ambizioni. Ѐ la crudeltà del calcio: ciò che lo rende bello e doloroso, quanto più simile alla vita.

Ubriacarsi di nostalgia

Sabato a San Siro c’è Inter-Livorno, ma è davvero l’ultima cosa che interessa. È l’ultima da presidente per Massimo Moratti e c’è il ritorno in campo di capitan Zanetti.
Sabato a San Siro la partita diventa lo stupido pretesto per celebrare l’interismo dal volto buono, quello che c’entra poco con Beccalossi, Ibra, Recoba, si celebra invece quell’interismo che ha a che fare con Facchetti, Mazzola, Zanetti.
Visto che la partita è solo un pretesto, l’importante è che scorra senza intoppi. Bardi — che, interista com’è, non vuole mancare di rispetto a nessuno — si butta la palla nella propria porta dopo venti minuti. Da lì in poi c’è poco da vedere sul campo. Ben più interessante è il papiro che gli interisti hanno dedicato a Moratti: un’epistola d’amore più che uno striscione.
Per un amore che è ai saluti ce n’è uno che è ai riabbracci: Zanetti, a quarant’anni, rientra appena sei mesi dopo un’operazione. A quarant’anni. Come a uno a cui le leggi del tempo non tangono minimamente, insieme a Totti e a Giggs, monumento di una raggiunta condizione post-umana. I tifosi dell’Inter applaudono forte in questa giornata di malinconia a pacchi, un po’ tristi e un po’ orgogliosi.
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Non sapere la geografia

Salve, mi chiamo Gianluca. Mi presento: ho alle spalle più di 200 gare nella massima serie e ho 28 anni. Eppure, non c’è ancora qualcuno che mi ha chiamato in nazionale o in una grande squadra. Una volta giocavo nella Roma, ma poi mi hanno mollato alla prima squadra che è passata. E quella squadra era il Bologna. Mi sono detto: «Beh, dopo tanti anni in giro, finalmente un po’ di stabilità». Così è iniziata quest’avventura. E’ andata benino, fino a quest’anno. C’è una cosa tonda che mi insegue ovunque in campo: a volte è bianca, ieri invece era gialla. E’ arrivata da qualunque parte. Nella giornata domenicale, ero a Bergamo. E tutto sembrava andare per il meglio, finché un certo Brivio scaglia questa cosa tonda da almeno 25 metri. Io la vedo, nonostante ci sia un compagno che costeggi l’avversario nerazzurro. Solo che mi sembra troppo veloce per la mia capacità d’andare a terra. Riesco a malapena a toccarla e la cosa tonda entra. Mi alzo ed inveisco contro i miei compagni e loro mi guardano come fossi scemo. Riguardando i replay a fine gara, mi sono accorto che non avevano colpe. Fortunatamente, mi sono rilassato quando il mio amico Rolando ha pareggiato. Grande festa e per poco non l’andiamo a vincere. Poi, al 94', vedo questo ragazzone, Marko Livaja. Che è sloveno… no, aspetta è serbo. No, ma che serbo… c’ho la sua nazionalità sulla punta della lingua. Macedone? Bosniaco? Kosovaro? Mmmm… aspetta, ho capito! E’ CROA… oh, cazzo. Quando il mio ragionamento ha trovato la strada giusta, mi ritrovo nella realtà, con la palla quasi in faccia e la rete dei padroni di casa per il 2–1. Stavolta, non posso arrabbiarmi con nessuno: se avessi saputo meglio la geografia, a quest’ora avevamo portato a casa almeno un punto.

Ah, un appunto: quando sono arrivato, mi hanno dato un librettino con la cosa tonda sulla copertina e la scritta “How to save” (“come parare”). Però ero troppo contento di stare in una nuova città e così l’ho lasciato da parte. Non l’ho ancora letto: secondo voi è tempo di recuperare?

Essere uomini

Mancano tre minuti alla fine e siamo sull’uno a uno. Lui è li, di fianco ad Andrea, il suo compagno di squadra. Non so chi tirerà questo calcio di punizione. La distanza è tanta, manca poco e il pallone peserà come un mattone. E’ una partita importante, l’ho capito da come si preparava i giorni scorsi. Non è un bel momento, non si riesce a vincere, a fare punti importanti. Lui è il capitano e queste cose le sente più degli altri. E’ un lottatore, un capo. Gioca qui da quattordici anni, io non ero nemmeno nato. In questa partita ha già fatto un gol, una bella punizione dal limite dell’area, ma so che lui se n’è già dimenticato e pensa a quella che dovrà ancora calciare. Da qui, sul lato del campo si vede benissimo. Sì, ora sono sicuro: la calcia lui. Si è spostato un po’ sulla destra. Andrea la toccherà leggermente e lui andrà al tiro come fa sempre. Ha un bel calcio, ma ha già segnato un gol oggi e non capita spesso che uno come lui faccia una doppietta. Ecco il fischio dell’arbitro. Andrea fa una finta, ecco che tira… GOOOOOOOOOOL!!! Grandissimo! Ma che fa? Corre da me? Sì, sta venendo da me! E’ contentissimo e lo sono anche io, corre lui e corrono tutti verso di me. Gli salto in braccio ed esulto insieme a lui. E’ bellissimo. Sei grande papà!

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Contributi a cura di Gabriele Anello, Emanuele Atturo, Flavio Lepore, Andrea Minciaroni e Matteo Serra

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