Crampi Sintetici — Non-certezze: 7 giudizi a posteriori perché siamo persone mature
L’enorme peso del calcio sulle nostre vite non si misura solo sulla massiccia quantità di ore che dedichiamo all’inebetimento di fronte a un prato verde, ma soprattutto nella mole di discorso che riusciamo a far proliferare attorno a questo sport e alle sue rappresentazioni.
Sulle cose che accadranno sui campi ci piace scommettere, costruirci un orizzonte di attese tramite un misto di esperienza, stereotipi e sopravvalutazione del nostro acume. “Le tre neopromosse se ne tornano in B facilmente pure quest’anno”. “Sassuolo is the new Pescara”. “Gervinho è ‘na pippa”. “Lo so che lo dico tutti gli anni ma stavolta è vero: il Genoa farà un bel campionato”. Ecco, mi riferisco a questo tipo di osservazioni, gonfie di pregiudizi e stereotipi; ma anche gli stereotipi, come sappiamo, contengono un fondo di verità. Così se alcune di queste previsioni possono facilmente trovarsi smentite dopo un paio di partite, altre tenderanno a confermarsi tristemente, a ricordarci della sconfortante quantità di cose banali che accadono nella vita. Una di queste è stata di certo il derby della mole. “Quest’anno può essere equilibrato, quest’anno è diverso”. “La Juve è nel suo peggior momento degli ultimi due anni, il Toro è nel suo miglior momento degli ultimi quindici”. Tutte cose che mi raccontavo mentre Ventura metteva in campo una formazione poco coraggiosa e i granata scendevano in campo con una quantità imbarazzante di complessi di inferiorità. Gli stessi complessi che probabilmente li portano a fare degli interventi da psicopatici nella prima mezz’ora di gioco, e se Glik l’anno scorso fu espulso in maniera sacrosanta quest’anno a Immobile è andata piuttosto bene dopo aver maciullato la caviglia di Tevez. In fondo la penso come Conte, gli episodi un po’ si equilibrano: il gol in fuorigioco (no, ma davvero: come si fa a non vederlo?!) decide la partita, che però poteva essere indirizzata ben prima dall’espulsione di Immobile. Il successivo scambio di battute non contribuisce a rendere interessante la banalità di questo derby, se vogliamo aggiungedovi un pizzico di volgarità: che è quella che arriva automaticamente quando gli sfottò dalle curve si spostano nei profili twitter ufficiali delle società.
D’altronde l’ultima volta che il Torino ha vinto un derby era il 1995: La Bouche era prima nella classifica dei singoli, Batistuta aveva appena vinto il titolo di capocannoniere e la Cremonese era ancora in serie A. Insomma, c’era da aspettarselo. Il Derby di Torino è una di quelle cose che ci ricorda sempre di come la vita, tante volte, sappia essere banale.
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1. Menomale che
31/08/2013 — Ultimi giorni di mercato:
«Massi, pronto? Sono Adriano. T’abbiamo comprato Kakà, contento?»
«Si, così se non vinciamo nulla nemmeno quest’anno i tifosi se la prenderanno con voi. Ma sapete che si infortuna ogni due partite, sì?»
«Certo Massi, infatti t’abbiamo comprato pure Birsa»
«Birsa? E chi cazzo è Birsa?»
«Birsa dai, Valter. Lo sloveno che ha segnato contro l’Italia nei Mondiali in Sudafrica, mancino, potente.»
«Adria’… l’Italia non ha giocato contro la Slovenia, era la Slovacchia.»
«Vabbè è uguale…»
«… non è che viene dal Genoa ‘sto Birsa?»
«Sì.»
«Ah, mo ho capito tutto.»
28/09/2013 — Quasi un mese dopo:
Milan — Sampdoria, 46esimo minuto: sinistro da fuori area di Birsa e GOL!
“E chi cazzo è Birsa?”
È il mistero il leitmotiv di Birsa, giocatore dai dubbi trascorsi al Genoa e al Torino nelle ultime due stagioni, segnati da uno score fenomenale: due gol e un paio di assist impreziositi da qualche cartellino rosso.
Arriva così al Milan, sottovoce, trequartista sostituto di Kakà e ora che El Pube de Oro si è rotto, titolare con i colori del Diavolo ed eroe dell’ultima giornata…
Silenzioso (probabilmente non capisce l’italiano), con quella specie di croissant biondo in testa, giocatore tipico come mascotte da fantacalcio, che prendi quest’anno a 1 solo perché la stagione scorsa hai riso tanto per i punti (nessuno) che ti ha dato. Lo prendi perché te lo ricordi in Francia, al Sochaux, che non giocava mica male, e lo prendi perché sei un romantico e alle ali preferisci i numeri 10.
Questo al fantacalcio.
In realtà è stato preso come pezza dopo il “grande colpo di mercato” Kakà. Ed è stato preso con una specie di scambio di figurine (Ti do Antonini che la fascia l’ho doppia per Birsa che tanto il Joga Bonito si rompe sicuro) solo perché del Genoa e, si sa, Galliani e Preziosi quasi quasi condividono pure la moglie. Fosse stato in un altro club, stocazzo che il Milan lo avrebbe acquistato.
È la sfiga, o le scelte tattiche — scegliete voi — a imporre questo sloveno titolare nel CLUBPIÙTITOLATODELMONDO, la sfiga di Kakà, di Galliani, di Allegri.
E nella sfiga invece Valter si è reso immagine del Milan che deve essere, meno ambizioso, che lavora a testa bassa, con i giocatori pronti quando servono e lontani dalle telecamere.
Ora il Milan giocoforza dovrà continuare a dargli fiducia, almeno sino al ritorno di Re Kakà, per riapparire dopo il prossimo infortunio e segnare, magari, anche quei due gol che gli farebbero stabilire il suo record di reti in Serie A: 3.
2. Oh ma allora
“Ma poi no, Sassuolo, dove cazzo sta?” ci domandavamo a inizio stagione, un po’ indignati forse all’idea di ritrovarci in Serie A, dopo il Chievo, un’altra squadra di dubbia provenienza, potenzialmente allenata da Don Camillo. Una volta visto il Sassuolo devo ammettere che le perplessità sono aumentate, complici forse quei due colori improbabili che strisciano la maglia, o forse il fatto che sono una sorta di squadra aziendale della Mapei, quella della roba edilizia, da cui sono ospitati a giocare nello stadio di sua proprietà. Complice pure un po’ la squadra, che davanti ha un tizio che sembra uno di quei giocatori creati al PES in maniera random: pellerossa tipo Navajo, cresta arancione e un nome di quattro lettere di cui due Z. La stellina sarebbe un certo Berardi, che leggenda vuole sia stato raccattato, pardon, scoperto, sui campi di calcetto vicino Reggio Emilia mentre era in vacanza dalla Puglia (WTF?!). Le perplessità, devo dire, sono di nuovo aumentate quando l’ho vista approcciarsi alla Serie A con lo spirito Zemaniano di chi di ZZ ha però capito solo la fase difensiva, il pressing da squilibrati, le distanze psicopatiche tra i reparti. Prime quattro partite: 15 gol subiti, 1 fatto. Il Sassuolo sembra la versione più ridicola del Pescara dello scorso anno, o dell’Ancona di Jardel. Poi arriva il Napoli: pareggio. Sembra un caso. Però poi arriva la Lazio, e il Sassuolo domina tutta la partita, prendendo a pallonate una squadra che, a onor del vero, si è presentata con una condizione fisica sintetizzabile nel concetto di “oltretomba”. Si ritrova immeritatamente in svantaggio di due gol dopo 60 minuti ma, non si sa davvero perché, iniziano a crederci: Schelotto e Kurtic sembrano i due migliori centrocampisti della Serie A e Zaza davanti è incontenibile. Al commentatore sfugge persino un mezzo paragone tra Magnanelli e Pirlo. Alla fine arriva un due a due che sta stretto alla squadra di dubbia provenienza. Sì, perché alla fine ancora mica ho capito: ma Sassuolo, no, dove cazzo sta?
3. Ah ma si sapeva
In molti ci chiedevamo quando e soprattutto quale sarebbe stata la prima panchina di Serie A a saltare durante questo campionato, anche perché con Zamparini fuori dai giochi gli scenari possibili erano vari. Delio Rossi? Maran? Di Francesco? Liverani? Razionalizzando e riflettendoci bene l’indiziato numero uno era proprio quest’ultimo. Pensateci, siede sulla panchina del Genoa, ha Enrico Preziosi come presidente e condisce il tutto con un accentuato sigmatismo (o zeppola, chiamatela come vi pare), un cocomero sotto la maglietta e idee confuse. Alle spalle poi un percorso in panchina che puzzava già in partenza con la non ammissione al Supercorso per allenatori a Coverciano. In pratica un mix talmente esplosivo da rendere le sue conferenze stampa tra le più attese della settimana. Perché Fabio Liverani da allenatore non ha mai azzeccato una dichiarazione.
«Parto da una base difensiva a quattro e tre centrocampisti» diceva il giorno della sua presentazione. Giocherà col 3–5–2.
Alla vigilia del derby ligure di Coppa Italia con lo Spezia dichiarava: «Cosa pretendo dai ragazzi? Semplice, il passaggio del turno e intensità.» Uscirà ai rigori.
«Ho 37 anni. Se il Genoa mi ha scelto ci sarà un motivo. Non temo l’esonero» diceva proprio venerdì in conferenza stampa pre-Napoli. Il finale lo conosciamo, è di quelli standard, pre-compilati, stringati: “La Società ringrazia Fabio Liverani per il lavoro svolto e l’impegno profuso in questi mesi.”
Della serie: avanti il prossimo.
4. Come al solito
Delio Rossi è probabilmente il maggior consumatore di gomme da masticare al mondo. Non è un caso se lo chiamano ancora “Ciancicone”, soprannome derivante dalla sua avventura romana, sponda biancoceleste. Purtroppo per la sua Samp, stavolta neanche un pacchetto intero potrebbe risollevare la situazione blucerchiata: l’1–0 contro il Milan ha segnalato come il Doria faccia una fatica immane a creare occasioni da gol. Anzi, per esagerazione, c’è più possibilità che Razzi azzecchi un congiuntivo che la Samp segni. Non per nulla, i blucerchiati hanno realizzato quattro reti in sei giornate, condensate in due gare e devono ancora far esultare i propri tifosi tra le mura amiche.
La Samp non partiva così male dal 2004: “Ciancicone” intanto mastica, mastica e mastica. Pure amaro. Anche perché ha cambiato modulo e niente. Cambia i giocatori e niente. Ha persino tentato un cambio di marca di gomme da masticare, ma nulla: la Samp continua a faticare. Quando poi Valter Birsa segna il suo primo gol rossonero contro i blucerchiati, Delio butta la gomma e s’incazza. Vorrebbe picchiare qualcuno in panchina, ma il viso delicato di Soriano gli impedisce di cominciare una qualche rissa. Dentro di sé pensa: «Quanto mi manca Llajic». E i tifosi pensano: «A noi manca Mantovani: vedete voi, belin».
5. Tendina flagello di Dio
Wikipedia ha una pagina di disambiguazione per il termine ‘pippa’. Tra i vari significati illustrati spiccano: “Pippa — nome colloquiale dato alla masturbazione maschile”, “648 Pippa — asteroide della fascia principale” e “Pippa — termine colloquiale romano per indicare un soggetto poco abile in una qualsiasi attività, particolarmente nella locuzione ‘mezza pippa’”. Inutile farsi illusione su quale accezione di ‘pippa’ abbia accompagnato l’ivoriano Gervinho nella Capitale, prima ancora del suo sbarco a Fiumicino.
Non gli avevano fatto buona pubblicità i suoi vecchi tifosi, i supporters dei Gunners londinesi, che avevano addirittura esultato alla notizia della sua cessione, lamentando il fatto che, in 45 apparizioni, l’ala africana dal nome brasiliano avesse segnato solo 9 reti. E sto usando eufemismi e perifrasi.
I tifosi della Roma non avevano faticato a capire il perché di tanto mal disposto entusiasmo: nelle sue prime apparizioni Gervinho si era distinto quale missile sparato in area con lo scopo esclusivo di farsi buttare a terra, protagonista di un paio di bordate degne di chi non si è ancora fatto un’idea di dove sia la porta, in campo.
“E’ utile”, diceva qualcuno, quasi timidamente. “Sì, esatto, proprio come un arnese”, rispondeva qualcun altro. Ma, insomma, è stato l’unico acquisto fortemente voluto da Rudi Garcia, possibile che si sia sbagliato? “Ma no, ma ci ha vinto uno scudetto al Lille, lo conosce”, “Ma allora non poteva piazzarlo all’Atac, come facevano in Consiglio comunale con Alemanno?”. E via dicendo.
E niente, man mano che la Roma di Garcia ha preso quota, Gervinho è diventato sempre più spavaldinho, fino a segnare tre reti nelle ultime due partite. Con il Bologna, poi, è stato autore di una prestazione chirurgica che gli è valso davvero l’appellativo di ‘pippa‘, ma nel senso 648, quello dell’asteroide di fascia principale.
Veloce, lo è sempre stato. Ora i tifosi lo hanno visto saltare l’uomo, alzare la testa e piazzare la palla in rete, anche con una certa veemenza.
Ma com’è possibile? Ma che diranno, i tifosi dell’Arsenal? Ma che dirà, l’Atac? Mentre il pubblico romanista inizia a esaltarsi, fioccano legittimi interrogativi sul diluvio universale abbattutosi su Roma il giorno seguente alla doppietta di Gervinho.
«Ti ricordi Perrotta e Mexes prima che arrivasse Spalletti? — mi ha detto mio fratello — Sembrava fossero buoni, sì e no, per la Serie B bulgara».
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E forse è davvero lì che si svela l’arcano. Forse tutto ciò di cui ha bisogno un allenatore, per rivelare di essere un ottimo allenatore, è trasformare una locuzione colloquiale romana in un asteroide di fascia principale.
6. Mah
Quand’ero più piccolo mentre ciabattavo su una spiaggia conobbi una bambina di Torino. Dopo le due chiacchiere che può fare qualsiasi bambino di cinque o sei anni in spiaggia lei mi fece una domanda che mi spiazzò, detta da una bambina qualsiasi su una spiaggia: «che squadra tifi?». Ah beh, la Juve, risposi. Lei mi rise in faccia e corse via. E io rimasi lì, solo, attonito e incredulo — in pratica la storia della mia vita, ma con le domande sempre diverse.
Sono juventino, ma non vivo a Torino. Forse per questo non è cambiata nel tempo la mia parziale indifferenza verso la rivalità e il derby: capisco quanto sia una partita importante, capisco il carico psicologico che possa avere per i giocatori, ma da tifoso non sento niente di eccessivo. L’ha detto anche Conte qualche tempo fa credo, o gli sto attribuendo frasi che penso ma che magari lui condividerebbe: per il Torino vincere un derby fa la stagione, per la Juventus sono tre punti. Mettici dentro che il Torino non segna un gol nel derby da undici anni, mescola con la supponenza e la sufficienza con cui la Juve gioca le ultime partite, sale q.b. ed è pronta la ricetta dello yawn domenicale. Che culo, era anche ora di pranzo.
7. Coniugi poco fedeli (così dicono)
Salviamo Giacomelli! Ragazzi, cazzate a parte, io penso di poter provare che Piero Giacomelli abbia grossi problemi di personalità e vada aiutato. Piero è l’arbitro di Atalanta-Udinese, quello che domenica a un certo punto, con fare sicuro, fischia e fa: «RIGORE! L’ho visto è rigore netto!». Poi un assistente con manie di protagonismo gli dice che invece è fuorigioco e lui si rimangia tutto beccandosi insulti in una decina di lingue dai giocatori bianconeri. Incuriosito dall’episodio l’ho seguito per un giorno, di nascosto, per studiare i suoi comportamenti nella vita al di fuori dal campo. Non credevo ai miei occhi. Al ritorno dalla partita trova un parcheggio giusto sotto casa sua, un sogno. Scende dalla macchina e arriva uno che gli dice che quel parcheggio l’aveva visto prima lui. Piero che fa? Sale in macchina, mette in moto e se ne va. A casa, più tardi, la moglie gli chiede cosa preferirebbe per cena e lui «Mah, non so. Qualcosa di leggero». La moglie, avvicinatasi di recente alla cucina polacca, gli prepara del Gulasch e lui, con un sorriso «Ottima scelta cara. Mi ci voleva proprio!». Ma non è tutto. La mattina seguente entra al bar e ordina il solito cappuccino. Il barista «Ma una bella tazza di zabaione col marsala invece del solito cappuccino?». E lui giù con lo zabaione e marsala. Raga’, io sono molto preoccupato per lui e per la regolarità del campionato. Lancio un appello disperato: diamo una mano a Piero Giacomelli!
Articolo firmato da Gabriele Anello, Emanuele Atturo, Emanuel Cossu, Marco del Mastro, Mattia Pianezzi, Matteo Serra, Simone Vacatello