Crampi Sintetici — Santi subito: 6 apparizioni mistiche dalla decima di campionato

Crampi Sportivi
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6 min readNov 1, 2013

Forse viene sottovalutata la potenza salvifica di un turno infrasettimanale. Quando ancora ti stai riprendendo dalla domenica e dall’inizio settimana vieni a sapere che già il martedì sera c’è qualcosa da guardare, che puoi anestetizzare il tedio guardando la Lombardia in battaglia. E già quando guardi quella sfida mai banale ti rendi conto che non sarà un turno come tutti gli altri. Percepisci della giustizia, una mano superiore, un disegno, quando vedi un’ascensione che rimette le cose a posto, quando San Germano da Lomas vola alto e sfiora la sfera (sarà mica l’aureola?) fino a metterla direttamente dove nessuno può prenderla, in fondo alla rete. Mentre i tifosi dell’Inter spergiurano (memori di un altro Germano, lui forse meno santo) lo capisci, è normale, ti dici: è quasi il primo di novembre, che scemo a non pensarci prima.

I. Sant’Alberto da Biella

Gilardino contro il Parma. Rigore. Gilardino contro Mirante. Gol! No, parato. Ma almeno l’ha tirato bene? Macché. Come qualsiasi dottrina cristiana insegna, per raggiungere il bene bisogna attraversare il male e liberarsene per sempre. Ed eccoci qua, quel ragazzo dalla faccia pulita che viene da Biella: 163 gol in attivo, sedicesimo marcatore della storia della serie A che tira un rigore che nemmeno alle partitelle in parrocchia si vede. Ma il Gila è cosi, siamo agli antipodi delle cassanate e il riscatto non può attendere troppo a lungo. Dopo le innumerevoli occasioni sprecate dalla squadra di Donadoni eccolo di nuovo: da un cross fuori area, uno stacco, un’ incornata e il gol. Stavolta non suonano nemmeno i violini; c’è solo un urlo liberatorio a testimonianza del fatto che per i visi acqua e sapone la rinascita è sempre possibile. Sant’Alberto e la catarsi. Miracolo compiuto.

II. San Cuadrado martire

Questa è la triste storia di San Cuadrado martire, una storia tipica di poveri cristi che corrono sulla fascia, opposta a quella di una squadra che, a quanto pare, in Lega conta più di qualche anno fa. La sua croce sta tutta nell’aver simulato, da peccatore, una prima volta. Ma allora il perdono cristiano dov’era, alla seconda, quando non gli fichiano un rigore netto? Al missionario colombiano tocca bere il calice amaro, rosso di Cartellino. Il Napoli vince, alla Fiorentina viene negata la giusta occasione per il pareggio. Così si conclude la triste parabola di San Cuadrado martire. D’altronde, quando Cristo chiama, finisci sotto la doccia prima. Minimo.

III. La Madonna di Ventura

Il povero Giampiero Ventura, finora, pare fortunato come Paperino, e ha dovuto vedere la sua squadra rimontata diverse volte in questo campionato: ben cinque su nove partite giocate. Il papero Giampiero non vuole sentire lamentele, stavolta. Tanto più che l’”Ardenza” pare propizio per invertire il trend. Segna Immobile, subito. E Giampiero pensa tra sé e sé: «Oh, finalmente… tanto mò il Livorno segna». Ecco che raddoppia capitan Glik ma, quando i miracoli di Bardi impediscono agli ospiti di chiudere la gara, Ventura ha già capito: nel primo tempo, il Livorno riesce a rimontare e a chiudere sul 2–2. Ventura negli spogliatoi non è più furente. Lo vedi sulla panchina del Toro, nel secondo tempo, con gli occhi lucidi, come una Madonna che piange a causa dei mali del mondo prima che accadano. Il 3–2 dei padroni di casa arriva puntuale come una condanna. E che gol: Emerson, difensore che fino a due anni fa giocava in Lega Pro, scarta due uomini, alza la testa e trova una parabola degna del miglior CR7. A quel punto, Ventura, mogio mogio, è in piedi, in preda alle doglie tipiche di una maternità mistica e travagliata. Poi, d’un lampo, i suoi ragazzi si guadagnano un penalty, e alla fine, è 3–3. Ma ciò che rimarrà è l’espressione della Madonna di Ventura. «Gementi e piangenti n questa valle di lacrime/ Non sprecare nuove lacrime per vecchi dolori» ( Salve Regina REMIX — Euripide VS Ermanno il Contratto).

IV. San Ricardo da Gama

Nessuno, tra santi e salvatori, è stato preceduto dall’attesa mistica di cui è stato fatto oggetto San Ricardo Izeczon Kakà, nella speranza potesse tornare a distribuire benedizioni sotto forma di cambi di passo, unzioni e assoluzioni sotto forma di assist e dribbling. Vedere Kakà giocare dà oggi la sensazione di una madelaine verso lidi di giovinezza perduta, amarcord di tempi in cui si ascoltavano i limp bizkit e i giorni passavano uno alla volta. Giocatore di un’era sepolta, reincarnato in corpo santo e quindi contraddittorio: divino ma mondano, immaginario ma reale, passato eppure presente; Kakà attraversa il campo come essenza mistica compiendo, in un gol a giro di rara bellezza, il miracolo del Dio fatto uomo. Figura cristologica pronta al sacrificio della predicazione del bel calcio in un deserto di peccato anti-estetico. Redentore di tutti i De Jong e i Muntari del mondo.

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V. Rinunziare a Satana

Il gioco del calcio è una bella persona. In Italia, in Serie A, c’è chi tende a mortificarlo spesso e volentieri, ma lui non la mette sul personale, e non è detto che si finisca sempre in Serie B quando lo si offende spudoratamente. Non so, guardate Mazzarri, per esempio. Ogni tanto, però, arriva qualcuno che non solo non riconosce la sua bontà d’animo, ma si comporta proprio come se lui, il gioco del calcio, fosse Satana stesso. Come quelle ragazze che vanno dallo psicologo perché soffrono per mancanza d’amore e poi ti crepano l’anima perché secondo loro le ami troppo. In questo scenario Giuseppe Sannino si presenta come un neo-oscurantista con tanto di tapparelle funeree e gatto a nove code. No, peggio, a 3–5–2 code. Il Chievo scende in campo con quella ferocia di chi fa a sportellate come se fosse su un ring e poi fa a malapena un tiro in porta. Perché così ha scelto. Il pallone, in avanti, lo butta. Perché non è sano cedere alle sue lusinghe. D’altronde sei fanalino di coda, che fai, ti affidi a Satana? No, rinunci. Ma sì, rinuncia.

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VI. Marc’Antonio e la decima opera di Misericordia

Marco Antonio Borriello da S.Giovanni a Teduccio, quest’anno, scende in campo conciato come un dandy di inizio ‘900. La sua fama di aitante sciupafémmene lo ha sempre posto, agli occhi delle platee, come quello che: se segna, s’è meritato l’erotomania, se invece non la butta dentro, è buono solo a scopa’. Eppure è umile, eppure fa un sacco anni ’20, eppure sembra un santo laico di quelli del primo dopoguerra, di quelli che magari, sì, una volta pensava solo a insifonare, ma ora ha una missione. Ha ricevuto la chiamata e in una serata storta di oscurantismo calcistico, trova lo spazio per compiere la decima opera di misericordia. Tutti i compagni gli vogliono bene, è il primo ad abbracciarli, non c’è malizia nel suo agire, né nel suo sguardo, non ammicca. Quel leone di S.Marco sembra redento. Eppure me lo vedo, al momento di uscire dall’Olimpico, unto dal Signore col balsamo di tigre, lo sguardo ispirato e il petto gonfio di buoni sentimenti laici di misericordia, approcciato da un inserviente, che lo guarda sorridendo e gli domanda: “Vai a scopa’?”.

Contributi a cura di Gabriele Anello, Emanuele Atturo, Andrea Minciaroni e Simone Vacatello.

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