Crampi Sintetici — Stranezze: 6 ragioni del perché il turno infra-settimanale è bello

Crampi Sportivi
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8 min readSep 27, 2013
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“Che partita c’è stasera?” mi chiede mio padre, in un giovedì pomeriggio qualsiasi lontano dalle coppe europee. Aveva dimenticato che ieri ci sarebbe stata Inter-Fiorentina, ma la sensazione inconscia che il calcio, in fondo, non si fermi mai lo ha portato a fare quella domanda col tono di chi chiede semplicemente: “che c’è per cena stasera?”. Eppure rimane sempre un leggero sfasamento nel giocare il campionato in mezzo alla settimana, e forse proprio nello stridore tra questa vaga stranezza e lo statuto perenne del calcio che si cela la bellezza del turno infra-settimanale.
Quella vaga stranezza di chi si ritrova a giocare partite troppo ravvicinate senza esserne preparato: la distanza tra i reparti s’allenta, il ritmo s’abbassa e nascono partite tipo Parma-Atalanta, dove i peggiori attacchi si ritrovano a sbattere in porta ogni palla che aleggia nei pressi dell’area. Nel turno infra-settimanale anche quei giocatori che la Champions la guardano solo in televisione, favoriti da questo sfasamento, possono per un attimo immaginarsi a calcare i palcoscenici europei. Come Aleandro Rosi: una vita imitare Cristiano Ronaldo poi, per un attimo, allo stadio Ennio Tardini, immaginarsi il motivetto della champions, ritrovarsi al limite dell’area e, dopo un paio di gimkane, fare un tiro sul secondo palo degno dell’energia cinetica di CR7. Esultare abbracciando Parolo, immaginando sia Isco; ringraziare Amauri per il taglio, immaginando sia Benzema. Poi ritrovarsi nello spogliatoio e rendersi conto che tutti vi guardate un po’ sconcertati: Parolo ha appena fatto una doppietta. Mesbah ha fatto un gol uguale al tuo. Il Parma ha vinto quattro a tre. Al Tardini è stato un grande spettacolo e siete tutti felici, ma anche un po’ tristi, perché è finito questo strano mercoledì di campionato.

1. Perché puoi sfogare subito la tua rabbia sul primo malcapitato
Sì, perché magari hai giocato e perso un derby e hai passato tre giorni a sentire l’altra parte della città fare la sbruffona, parlare di scudetto e “ordine naturale delle cose messo a posto”. Poi capirai, hai un presidente pazzo e a sostituire un vecchio tedesco davanti deve andarci uno come Floccari, che pure per lui gli anni migliori (ce ne sono mai stati?) sembrano passati. Allora fai finta che nel calcio non serve l’attacco, che in fondo non serve mica arrivare in area per far gol, che per segnare bisogna tirare e quello si può fare un po’ dappertutto. La Lazio porta a livelli inediti quest’ultimo concetto, impostando un canovaccio tattico del tipo “Tira, cazzo, tira!”, e comunque la gente che c’ha una bella pezza da fuori ce l’ha. Così la partita col Catania diventa un perverso tiro a segno e piano piano, tiro dopo tiro, le palle iniziano a entrare, la partita s’aggiusta e quasi viene da ringraziare per la possibilità di sfogare tutta questa rabbia in mezzo alla settimana.

lazio catania

2. Perché Parma-Atalanta può diventare “El Clasico”
Stadio “Ennio Tardini”, Parma. Nell’infrasettimanale di Serie A, la rilevanza di Parma-Atalanta è la stessa di Lucerna-Locarno. Donadoni sembra invecchiato di vent’anni senza barba, Colantuono è più nervoso di un’ape dentro un casco. Eppure, i tifosi di tutt’Italia — che dico, di tutto il mondo! — ancora non sanno che chi seguirà la partita in questione vedrà del calcio spettacolo. In questo senso, va ricordato Bordieu che diceva: «La crisi è la dimensione dove si deve ricorrere alla progettualità ed alla razionalità». Tutte doti che scompaiono quando vedi il mancino Mesbah che ti mette la palla sotto l’incrocio con il destro: degno del miglior Iniesta. Colantuono, già nervoso per non averlo messo al Fantacalcio con gli amici, si incazza ancora di più quando Parolo va a segno con un tiro al volo ricordante Mark Lenders. A quel punto, per la rabbia, gli crescono i capelli.
Tuttavia, non è finita: se Bonaventura aveva firmato il parziale 1–1, Rosi dimostra che la Roma non poteva fare a meno di lui. Maicon si fa male a Genova e lui si fa immediatamente notare con una percussione alla Angel Di Maria: due avversari evitati, stop al limite dell’area e destro a giro che batte ancora Consigli. I nervi di Colantuono sono a brandelli, ma Parolo conclude la giornata da Ozil dei poveri con un’altra mina sotto l’incrocio. A quel punto, il tecnico bergamasco è pronto a strapparsi il pizzetto con i denti, se non fosse che il “Tanque” Denis tira fuori un gioiello degno del Messi mondiale. Nel secondo tempo, quello che capisce al meglio che si sta giocando una sorta di Real-Barca è Amauri: simulazione, lamentela con l’arbitro (sarà stata una cosa del tipo: «ti denuncio a Mattino Cinque») e rosso per l’italo-brasiliano, manco fosse un Pepe qualsiasi. Infine, il gol dell’ariete Livaja — un Alvaro Morata dei nostri tempi — chiude la contesa sul 4–3. E intanto, qualcuno dagli spalti grida: «”El Clasico” ce fa ‘na pippa!».

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3. Perché il normale supera lo straordinario

benatia

Se anche i difensori centrali si mettono a segnare su azione, forse la Roma è davvero pronta per lottare ai vertici, se poi a segnare ci si mette anche Gervinho, l’Apocalisse diventa un’opzione possibile, tra i vari sviluppi che potrà avere questo campionato. I due goal della Roma contro la Sampdoria oscillano tra lo straordinario e lo straordinariamente normale. Il goal del marocchino è degno di quelli che invidiamo al Barcellona, quando l’energia accumulata nel tiki-taka esplode in un’azione in profondità di pochi secondi. Benatia sceglie la zona più affollata del campo, triangola velocemente con Pjanic, smarca due giocatori della Samp e cascato-noncascato a terra, mentre Strootman già urlava all’arbitro, la calcia alla destra di un portiere che non aveva ben capito cosa fosse successo. Un goal che non ti aspetti da un difensore centrale, ma forse un po’ ti aspetti da Benatia, che già ha fatto scordare Marquinhos per solidità e classe. Tuttavia la nostra percezione degli eventi non è mai assoluta, costretta a misurarsi con le aspettative; per questo il secondo goal arriva come un miracolo al Marassi: Gervinho è riuscito a prendere lo specchio della porta, e non solo, a prendere lo specchio della porta senza nemmeno prendere il portiere. Un goal normale, con un contropiede normale che ha fatto esultare i tifosi della Roma più di una qualsiasi rovesciata di Osvaldo. A volte al bello (in assoluto, non Gervinho) basta essere totalmente inaspettato.

4. Perché le squadre tirano fuori strani assi dalla panchina
Il mercoledì di campionato è bello perché persino le squadre che ancora vedono nel turn-over una diavoleria moderna sono costrette a inventarsi qualche cambio, per far rifiatare calciatori poco abituati a giocare ogni tre giorni. E così, ad esempio, il Bologna si è dovuto inventare in attacco la strana coppia Laxalt-Castaldo.
Laxalt — che di strano ha veramente tutto: faccia, testa, nome, modo di toccare la palla — sembra in effetti più un pokèmon che un calciatore ma entra, fa due gol e ti fa domandare come abbia fatto il Bologna a vivere senza fino ad oggi.
C’è poi chi invece fa del turn-over un credo mistico, come Don Rafè Benitez, che shakera per l’ennesima volta il suo Napoli, sottovalutando che a marcare un piccolo demone chiamato Zaza ci andrà Paolo Cannavaro, uno tolto dalla naftalina che ha ormai disimparato che in difesa si può giocare anche a quattro.
Capita poi di mercoledì che se hai trentasette anni e giochi novanta minuti a partita a una certa ti tocca riposarti, e allora lasci spazio al classico centravanti di riserva, ruolo che nel calcio alcuni sono riusciti a elevare a piacevole condizione esistenziale: dai più noti Julio Cruz e Vincenzo Iaquinta fino ai più oscuri, e spremuti in gelidi martedì di coppa italia, Cossato e Plasmati. Continuatore ideale di questa stirpe Marco Borriello, che si presenta a Marassi con l’88 hitleriano sulle spalle e un look alla Fred Buscaglione che lo fa sembrare il cattivo rampante di un romanzo di Vittorini. Complessivamente una sorta di anticristo che non combina granché, ricordando a tutti il perché quest’anno fa il centravanti di riserva, utile in faticose trasferte infra-settimanali.

5. Perché si possono consacrare stati di cose eccezionali
Come quelli del gioco dell’Inter, che in un giovedì in cui tutti potrebbero soffrire un pronunciato jet-lag da campionato, trova invece il momento perfetto per mostrare al mondo che Alvarez — che faceva del jet-lag un modo di giocare — è diventato un mezzo fenomeno. Uno che con quasi sei dribbling completati a partita è il terzo migliore in europa in questa statistica. Uno che quando la partita sembra incanalata verso uno stato che DFW avrebbe descritto come Anedonia, decide che lui NON è la brutta copia di Lamela e che Jonathan no, NON è la brutta copia di Maicon. Quindi prende la palla, la fa camminare sulla fascia e poi la mette in una zona dell’area che sembrava non avere senso. Invece c’arriva Jonathan, che prima fa un controllo brutto il giusto per evitare la decontestualizzata marcatura di Mati Fernandez, poi alza il gambone e tira d’esterno, sotto la traversa, come un Maicon qualsiasi.

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6. Perché puoi avere bru…bellissime visioni del passato.
In uno strano mercoledì di campionato e più in generale in una stagione di rivoluzioni d’organico e grossi cambiamenti nelle gerarchie di classifica, guardando una partita del Milan può capitare di scivolare indietro nel tempo e subire strane allucinazioni visive, specie se si avvicina il 90’ e chi vince non sono i “diavoli”. E’ come se quelle magliette attillate e striate di rossonero entrassero in uno strano vortice che le trasforma, le allarga, le ricolora, insomma le rende simili a quelle di un Inter che nessuno, forse neanche il più sfegatato interista, ricorda con affetto. Così l’incedere violento e spaccone di Muntari ricorda tanto Karagounis, la rilevante presenza in area di Matri fa pensare ad Hakan Sukur, il venti sulle spalle di Abate rimanda indietro al “Chino” Recoba. Lì per lì le sensazioni sono tutt’altro che piacevoli, ma se non altro sai che presto ti divertirai da morire. Così al ottantottesimo guardi il passivo di due gol nei confronti di un leggendario Bologna e pensi “E’ la volta buona che il Milan retrocede, quanto è vero che Di Francesco non vede la decima giornata”. E invece ti sbagli, perchè la banda di Allegri cambia nella forma e nel colore. Robinhi ormai reietti e dimenticati dietro svariate riserve si reinventano Guglielminpietri che si dimostrano decisivi innesti dalla panchina. Uomini di fascia alla Kily Gonzalez, abitualmente fuori dal tabellino se non per le ammonizioni, si fanno trovare al posto giustissimo al momento meglio e rubano un urlo, più di liberazione che di gioia, ai propri tifosi. E’ il 93’, questo Pazzo Milan non ha perso un’altra volta quando pochi minuti prima perdeva eccome. Il motivetto che inizia con “Amala” ti risuona in testa. Ti rendi conto che è tutto sbagliato, che Okan Burukun po’ ti manca e che non basta segnare all’ultimo minuto per essere l’inter di dieci anni fa. Però in fondo è stato bello. Perché non si gioca sempre e solo di mercoledì?

Una morale del turno infra-settimanale

Ma facciamo un passo indietro. In questo susseguirsi di sfasamenti, stranezze e straordinarietà, al minuto 94 di una partita pazza, arriva la traversa di Diamanti, come un laccio emostatico al proliferare della follia infra-settimanale. Quasi a ricordarci che basta, per oggi è finita, basta con le stranezze. L’ordine delle cose tende sempre a riaggiustarsi. E’ già Domenica, è già di nuovo campionato.

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Articolo firmato da Gabriele Anello, Emanuele Atturo, Fabio Poroli, Matteo Serra

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