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Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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8 min readJun 12, 2016

La Germania e la storia hanno una relazione complicata. È un’affermazione che potrebbe valere per qualunque Nazione, ma poche come questa sono state cruciali sia nella formazione dell’assetto geopolitico attuale — nel bene e nel male, per chi ama le categorie — che nell’evoluzione del pensiero umano e dello sguardo sul sé, sul sensibile e sul sovrasensibile. Forse per l’effetto causato dall’unione di questi due aspetti, la Germania ha fatto del cercare di correggere i propri errori un marchio di fabbrica secondo solo alla Volkswagen. Metodo, raziocinio, capacità di guardarsi attorno e capire come sfruttare al meglio le risorse a propria disposizione.

Siccome è evidente che nel calcio si rifletta il cosmo, questa prassi funziona anche in Federazione, la stessa dinamica organizzativa deve essere scattata quando Philipp Lahm ha alzato la FIFA World Cup in un’umida serata brasiliana. Due anni fa ci siamo lasciati con la Germania sul tetto del mondo, consapevole di aver rimediato ai propri errori. E proprio per questa capacità di programmazione, ora il futuro sorride ai teutonici.

A ben rifletterci, però, quella vittoria e questa Germania nascono quattro anni prima. Hanno origine in un Mondiale dove apparentemente la Germania era senza speranze, con poche prospettive e lo sguardo nuovamente chino a consultare le pagine della propria storia per cercare l’errore a cui rimediare.

L’inizio di tutto

Ci sono momenti in cui costruisci una nazionale e quelli in cui essa si rivela al mondo. Se ci pensate, è successo anche alla Spagna: un progetto iniziato nel 2004, ma che ha avuto dei veri risultati solo con la vittoria di Euro 2008 e che paga ancora qualche dividendo in quest’Europeo, se è vero — com’è vero — che le Furie Rosse sono nel lotto delle favorite nonostante non arrivino in ottime condizioni all’appuntamento francese.

Joachim Löw ai tempi dello Stoccarda.

La storia della Germania è ben nota: dopo il fallimento di Euro 2000 (zero punti, tre sconfitte), la federazione tedesca attua un programma per il reclutamento di giovani calciatori, da crescere in centri federali. Non solo: venne introdotto anche l’obbligo per ogni club delle prime due divisioni professionistiche di avere formazioni giovanili sin dall’U-12, pena la revoca della licenza per partecipare alle due massime serie tedesche.

A questo bisogna aggiungere lo sfruttamento proattivo delle risorse multiculturali presenti sul territorio nazionale, che hanno creato per la Germania un serbatoio di talenti cui oggi si raccolgono i frutti migliori. E ciò nonostante, questo programma è costato poco in termini di risultati: finale del Mondiale 2002 (molto inaspettata, ma ci si è arrivati), un punto nella pessima spedizione di Euro 2004 e il terzo posto nel Mondiale casalingo del 2006.

Con l’addio del ct Jurgen Klinsmann si è messo a posto anche l’ultimo pezzo del puzzle, ovvero l’uomo che avrebbe dovuto mettere assieme tutto questo ben di Dio nel corso degli anni. E quell’uomo era già nello staff dell’attuale tecnico degli USA.

Gimme Hope, Joachim

Ormai circondato dall’aura di selezionatore vincente, spesso ci dimentichiamo come la carriera di Joachim Löw ha avuto una carriera dai ben altri colori. Non ha mai giocato per la nazionale maggiore, si è legato soprattutto al Friburgo e appena smesso è entrato nello staff tecnico dello Stoccarda. Due anni e il VfB per poco non batte il Chelsea in finale di Coppa delle Coppe.

#machenesanno del “triangolo magico” e di Krasimir Balakov?

Da lì un’avventura in Turchia con il Fenerbahce, il ritorno in Germania con il Karlsruhe e una strana traiettoria, che sembrava sempre più lontano dal calcio che conta. Il picco della particolarità arriva a cavallo tra il 2000 e il 2001, quando Löw finisce all’Adanaspor, dove viene persino esonerato.

I passaggi in Austria con Tirol Innsbruck e Austria Vienna non sono più fortunati, tanto che Löw si ritrova disoccupato. Tutto cambia nell’estate 2004, quando la Germania si libera di Rudi Völler e assume Jurgen Klinsmann come ct. Lui e Löw si erano conosciuti a Hennef durante un corso per diventare allenatore e l’ex giocatore di Inter e Bayern non aveva dimenticato il suo profilo.

Klinsmann ha un compito preciso: ringiovanire la nazionale con i profili che pian piano la federazione sta facendo crescere anche con l’aiuto dei club. A questo, si aggiunge anche un cambio di paradigma tattico: addio alla Germania rigida e puramente teutonica conosciuta nella storia, al via una nuova Nationalmannschaft, più spettacolare e offensiva.

A Euro 2004 la Germania aveva visto il debutto a una competizione internazionale di Lahm, Schweinsteiger, Podolski. Due anni più tardi, il Mondiale casalingo vedrà la prima esperienza di Jansen e Mertesacker.

Le nuove leve qualcosina fecero vedere.

Le stelle si allineano per creare la Germania del futuro. Mentre i centri DFB continuano a sfornare giovani interessanti, Klinsmann non rinnova il contratto. Il successore designato è Löw, che però vuole proseguire la filosofia installata dal suo predecessore. Anzi, il nuovo ct vorrebbe che i giocatori fossero ancora più veloci e reattivi con la palla tra i piedi.

La federazione esegue e intanto a Euro 2008 si arriva con altri debuttanti doc: Adler, Westermann, Mario Gómez. La Spagna vince nella finale di Vienna, ma la Germania è sembrata meno teutonica del solito. Purtroppo si è a metà del guado e ci vogliono due elementi per il definitivo salto di qualità.

A blessing in disguise

Il primo è il 2009, un anno magico per le giovanili tedesche: U-17, U-19 e soprattutto U-21 vincono gli Europei di categoria. La squadra che trionfa in Svezia — 4–0 in finale all’Inghilterra — ha in squadra Neuer, Boateng, Hummels, Schmelzer, Höwedes, capitan Khedira, Marin: 15 di quei 23 hanno esordito con la nazionale maggiore (non per forza quella tedesca).

La seconda variabile è quella che in realtà diminuisce l’attenzione sulla Germania in vista del Mondiale 2010, ovvero gli infortuni. Prima dell’inizio del Mondiale, Löw perde Westermann, Rolfes, Träsch, ma soprattutto il portiere René Adler e capitan Michael Ballack, che addirittura farà causa a Kevin-Prince Boateng, colui che l’aveva messo fuori gioco in una finale di F.A. Cup pre-Mondiale.

Da qui entriamo nel mistico. Coloro che salteranno quel Mondiale finiranno fuori dalla nazionale e non ci rientreranno più. Intanto, un po’ come i Boys of ’66 in Inghilterra, si fanno spazio facce nuove che improvvisamente diventano titolari. Neuer prende il posto di Adler, Khedira quello di Rolfes, il gracile Özil quello di Ballack. Nel 4–2–3–1, la grande novità è anche la fascia di capitano, che passa definitivamente a Philipp Lahm.

Molti non vedono bene la Germania, una squadra senza speranza. Ma come creare la speranza, se non con la gioventù? Spesso sintomo di inesperienza, viene da ricordare Pertini: «Da quando la giovinezza è un reato? Se mai è un sintomo esaltante e meraviglioso: significa che il paese ha una riserva di coraggio e di onestà nelle nuove generazioni».

Qualcuno ha cercato di immortalare questa gioventù speranzosa in una canzone, il cui simbolo era proprio Jogi.

L’età-media è scesa dai 26,8 anni di Euro 2008 ai 25 netti della spedizione sudafricana. Ma la partita d’esordio contro l’Australia a Durban è praticamente il primo test di questa nuova versione teutonica.

La storia è ben nota. Il 4–2–3–1 tedesco propone un gioco rapido e questa nuova generazione (ci sono anche Müller e Kroos, oltre a ciò che è rimasto del gruppo precedente) fa capire che la svolta per la Germania è arrivata. La stessa gara con l’Australia è un manifesto e solo la Spagna campione del Mondo fermerà la corsa dei tedeschi al Mondiale, che intanto umiliano Argentina e Inghilterra lungo il cammino.

La crescita è stata così travolgente che la nazionale non ha praticamente avuto battute d’arresto. Se escludiamo la folle serata di Varsavia in cui Balotelli disputò la miglior partita della sua carriera con l’Italia, la Germania è stata diligente. Non è un caso che alla fine Jogi si sia tolto la sua carogna dalle spalle, vincendo il Mondiale nella più brutta partita disputata dalla Germania in Brasile.

In più, c’è stato il Minerazo con record annesso di Klose.

Sei anni più tardi

Viene quasi da chiedersi cosa possa chiedere di più la Germania a questo programma, ormai arrivato al suo picco massimo. La Nationalmannschaft è diventata così forte che lasciare Reus a casa per la seconda volta consecutiva — salterà l’Europeo per infortunio, così come successo per il Mondiale 2014 — non desta preoccupazione alcuna.

Inoltre, avendo portato a casa il Mondiale, Löw non ha più l’obbligo di vincere a tutti i costi. La favorita è la Francia, mentre il ct tedesco ha potuto iniziare una graduale, ma convinta ristrutturazione. Con l’infortunio di Rüdiger e l’inserimento in squadra di Tah del Bayer Leverkusen, la Germania ha quasi la rosa più giovane di quest’Europeo, preceduta in gioventù solo dall’Inghilterra.

Rispetto a due anni fa, Löw ha tenuto 15 dei 23 elementi che hanno vinto il Mondiale. Non ha più in squadra Lahm, Mertesacker e Klose (che si sono ritirati da campioni del mondo), così come si sono eclissati i vari Zieler, Weidenfeller, Grosskreutz, Ginter, Durm, Kramer.

Età-media: 25,4 anni. Presenze medie: 41,3. Praticamente la seconda squadra più giovane di quest’Europeo è anche quella che ha più presenze di media con la propria nazionale.

La forza della Germania è però nel sapersi migliorare sempre e comunque. I sostituti di Neuer stavolta sono Leno e ter Stegen, due classe ’92 che giocheranno poco perché avranno davanti per diversi anni uno dei migliori nella storia del ruolo. Dentro il giovane Sané dello Schalke e il redivivo Mario Gómez, rinato al Besiktas.

La novità è in difesa: al posto del blocco giallonero e della coppia di fedelissimi Lahm-Mertesacker, sono arrivati Hector (’90), Tah (’96), Kimmich (’95). A referto, poi, ci sono due centrocampisti in più, quei Weigl (’95) ed Emre Can (’94) che faranno più che comodo. Insomma, poco importa se si vince o meno: il materiale per crescere ancora c’è, a differenza di altre nazionali — es. Spagna — che il rinnovamento devono ancora metterlo in atto.

Il futuro

Löw ha un contratto fino al giugno 2018, mentre Oliver Bierhoff continuerà a curare l’accademia della DFB fino al 2020. Non escluderei prima o poi, però, l’arrivo di Jurgen Klopp sulla panchina della nazionale. Tuttavia, il modus operandi dei tedeschi non cambierà. La storia ha insegnato loro che gli errori possono essere corretti e diventare persino punti di forza. A modo loro, anche durante l’Europeo cercheranno di trasformare le assenze (forzate) in spunti per il futuro.

Il passato dice che sei anni fa la Germania iniziava a vedere dei frutti importanti del suo lavoro programmatico. Magari tra sei anni Neuer, Podolski, e Schweinsteger non ci saranno più, ma potremmo avere un undici del genere.

ter Stegen; Weiser, Hummels, Emre Can, Günter; Weigl, Kimmich; Reus ©, Brandt, Sané,; Müller.

Già m’immagino Marco Reus — stavolta sì, presente — ad alzare la coppa insieme ai suoi compagni. Con Thomas Müller che avrà battuto il record di Klose. E altri giovani ad affacciarsi sullo scenario internazionale. Perché la storia dà, ma ogni tanto restituisce qualcosa.

Articolo a cura di Gabriele Anello

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