Daspo a Jeeg Robot

Crampi Sportivi
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6 min readApr 22, 2016

E adesso ce lo possiamo dire. Dopo gli applausi alla Festa del Cinema di Roma, dopo l’impazzare del passaparola, dopo l’incetta di David di Donatello, dopo la definitiva consacrazione e il ritorno nelle sale. Ora che verosimilmente l’enorme attenzione mediatica catalizzata dall’opera di Mainetti comincerà a scemare, ora che l’Hiroshi Shiba di Tor Bella Monaca resterà per sempre nel gotha degli eroi romani — bella coppia Hiroshi e Hidetoshi, eh? — ora possiamo finalmente parlare noi.

Noi chi? Noi fortunati che, dopo aver sentito il luogo in cui Enzo Ceccotti avrebbe lasciato lo scooter rubato al suo proprietario, ci siamo girati verso il nostro amico, rompendo in maniera sacrilega la tensione del finale. Noi che appena usciti dal cinema non abbiamo potuto fare a meno di sottolineare quelle cose là. Ma anche noi sfortunati che, trovandoci al cinema con i soliti intenditori, all’uscita abbiamo dovuto strozzare quel commento, quell’osservazione. Perché si parlava di altro. Giustamente, per carità. E così è stato per parecchi giorni a seguire.

Ma, ora che di tutto il resto si è ampiamente scritto, opinato e dissertato, possiamo finalmente intervenire noi e fare quel commento, quell’osservazione che abbiamo tenuto in gola.

L’osservazione è la seguente: Lo chiamavano Jeeg Robot si intromette, probabilmente senza volerlo, di sicuro con un tempismo perfetto, nella complicata polemica sulla sicurezza, la libertà e l’affluenza allo stadio. Un’opposizione che senza dubbio va avanti da anni, probabilmente da decenni, ma che si è manifestata più radicalmente all’inizio della stagione calcistica in corso, con il triplice scontro che vede in un angolo il prefetto Franco Gabrielli e altre autorità cittadine e nazionali, in un altro James Pallotta e la dirigenza della Roma e nel terzo la Curva Sud e i numerosi tifosi che si sono opposti alle ultime misure restrittive (ricordiamole: barriere divisorie al centro delle curve; multe e potenziali diffide a chi cambia posto in curva; controlli eccessivi, irrazionali e in alcuni casi intimidatori).

Uno scontro di idee e di opinioni tutto romano, ma così profondo — in fondo sono in ballo visioni opposte del vivere allo stadio — che porta gli interessati a sentirsi coinvolti ovunque essi vivano. Proprio come la storia dell’anti-supereroe di periferia coinvolge anche fuori dai confini del GRA.

È difficile pensare che la trama del film, girato in primavera-estate, sia stata in qualche modo influenzata dall’accesa polemica scoppiata all’inizio dell’estate per poi culminare durante le prime giornate di campionato. Ancor più improbabile è che il finale dell’opera sia ispirato in parte agli attentati che hanno preso di mira lo Stade de France di Parigi, avvenuti il 13 novembre, quando il film è stato presentato in anteprima nazionale il 15 ottobre.

Agli autori va dunque riconosciuto il merito di aver saputo captare e restituire nel film questioni, paure, pulsioni che di lì a pochi mesi sarebbero divenute centrali del dibattito pubblico.

È sorprendente che il 17 febbraio, esattamente una settimana prima dell’uscita in sala, la ridicola gestione dei flussi umani di Roma-Real Madrid abbia portato moltissimi tifosi furibondi e giornalisti ad evocare lo spettro del terrorismo all’Olimpico. Il simpatico paradosso volle che centinaia di persone rimanessero ammassate fuori dallo stadio, costrette ad aspettare in area “non filtrata” a causa dei lentissimi pre-filtraggi di sicurezza. Un’occasione perfetta per eventuali attentatori.

Chi ha frequentato o frequenta lo stadio, in particolare le curve, ha guardato con sguardo strano quelle frenetiche scene girate all’Olimpico. Bell’azzardo voler riprodurre per qualche minuto, in un film che non parla di calcio e tifosi, una realtà così complessa, popolare, variegata — insomma, così vera — come la Curva Sud della Roma. L’esperimento è riuscito almeno in parte, perché non si lascia spazio ad eccessive banalizzazioni e ci si accontenta di usare la Sud come ambientazione, anche se probabilmente rappresentare fedelmente il mondo delle curve al cinema è impossibile.

Tornando a quel noi a cui mi sono riferito all’inizio, è stato un difficile assumere che il finale di un film che non era ancora mai stato banale, si sarebbe svolto sotto e dentro lo stadio. Non facile viverlo in maniera distaccata, senza osservare nel dettaglio le comparse che fanno il tifo, senza notare che in realtà lo scontro all’esterno della Curva è girato sotto la Tribuna Tevere, eccetera.

Poi c’è anche chi, come il sottoscritto, non è riuscito a non immaginarsi quelle scene finali ambientate nello stadio Olimpico di oggi. Insomma, fuori dal film, nella realtà. Partiamo da un presupposto: lo Zingaro non arriverebbe mai nel ventre dello stadio con quel vistoso pacco bomba. Sarebbe fermato al pre-filtraggio, o almeno si spera. Forse cambierebbe i propri piani, decidendo di farsi esplodere senza problemi in una delle lunghe file che fanno spesso perdere i primi minuti del match a molte persone.

Ma poniamo che lo Zingaro riesca ad accedere allo stadio con la bomba. Mettiamo che dopo cinque minuti di perquisizione, dopo avergli fatto aprire bocca, pacchetto delle sigarette e zaino, non l’abbiano trovata. Certo, si tratterebbe di un ordigno di modeste dimensioni, nascosto probabilmente dentro un panino con la porchetta o nel doppio fondo dello zaino (cani anti-bomba e metal detector non ci sono all’Olimpico).

E Jeeg, cosa farebbe? Dovrebbe comprare il biglietto come fanno tutti, per evitare di dare nell’occhio forzando i pre-filtraggi dopo l’obelisco e i tornelli sotto lo stadio. Sradicare una barriera divisoria come fa nel film farebbe certamente di lui un eroe della curva, ma attirerebbe un quantitativo di forze dell’ordine tale che probabilmente nemmeno un supereroe dai moderati superpoteri come lui potrebbe affrontare.

Nel mondo reale, lo scontro Santamaria-Marinelli si svolgerebbe abbastanza in tranquillità — purtroppo diverbi e colluttazioni non sono rari negli stadi — ma l’irruento ingresso in curva comporterebbe dei problemi. A questo punto ci sono due versioni. Nella prima, i due entrerebbero nella Sud e si ritroverebbero nello spettrale paesaggio della Curva vuota: individuati come facinorosi in cerca di gloria, sarebbero presto circondati e arrestati da un ampio contingente di polizia celere. Nella seconda versione, invece, i due si troverebbero molto spesso a dover dare spiegazioni a qualche tifoso toccato con poca grazia nel passare di corsa.

Ho scelto la seconda versione perché è l’unica delle due che mi permette di arrivare fino al finale. Enzo/Jeeg, a questo punto, compierebbe la scalata della caratteristica copertura dell’Olimpico (anche in questo caso si garantirebbe per sempre un posto tra miti e leggende della curva). Le telecamere lo individuerebbero in men che non si dica, ma le guardie incaricate di catturarlo, uscite dal fossato che separa gli spalti dal campo, perderebbero troppo tempo a scavalcare le barriere divisorie e a farsi spazio tra i tifosi sbigottiti: Jeeg avrebbe già recuperato la bomba e, per allontanarsi ed evitare la strage, starebbe correndo con l’ambulanza a mo’ di ariete contro i blindati delle forze dell’ordine.

Il finale sarebbe più o meno aderente al film, con Jeeg e lo Zingaro che si affrontano corpo a corpo un’ultima volta. Forse non ci sarebbe tutta quella folla attorno a loro sul Ponte della Musica (non è ancora attestato che anima umana abbia mai utilizzato quel ponte), ma il nostro eroe sopravvivrebbe all’esplosione e alla leptospirosi emergendo dalle acque.

A quel punto, però, l’inaspettata e spiacevole sorpresa. Jeeg, riemerso sotto al ponte per sfuggire alla calca di youtubers, instagrammers e giornalisti, sarebbe raggiunto da un piccolo gruppo di poliziotti in borghese. «È lei il signor Ceccotti?» direbbe uno di loro porgendogli un foglio. «Questa è la notifica di Daspo con firma per cinque anni, per avere al minuto 55, divelto una barriera utilizzata per la separazione dei percorsi di tifosi di squadre differenti; al minuto 67, aggredito violentemente e reiteratamente un supporter della squadra avversaria; al minuto 78, scavalcato la copertura anti-pioggia dello stadio Olimpico; al minuto 90, rubato un’ambulanza in servizio e forzato il cordone della polizia».

E così Enzo Ceccotti, eroe popolare in lotta contro il male, verrebbe dipinto dalla stampa come un facinoroso teppista, diffidato per i suoi comportamenti incivili allo stadio. Le regole sono le regole e valgono anche per lui, Jeeg Robot, il supereroe che ha salvato la Curva Sud.

Articolo a cura di Valerio Curcio

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