Death by a thousand of left hands

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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7 min readApr 29, 2015

Era il 4 febbraio 1975, un giorno particolarmente traumatico per mia madre che atterrava all’aeroporto internazionale di Fiumicino. Traumatico perché era la prima volta che valicava i confini del proprio paese e lo faceva per arrivare in un altro continente dall’altra parte del mondo, ma soprattutto perché viveva sulla pelle il suo primo vero inverno. Per i paesi di provenienza più poveri le “rimesse”, prodotte attraverso le fatiche dell’esercito dei lavoratori emigrati, rappresentano una porzione fondamentale del prodotto interno lordo. Mia madre aveva ventisei anni quando emigrò dalle Filippine in Italia per provvedere al sostentamento della propria famiglia, adempiendo così al ruolo salvifico che i genitori le avevano affidato.

Mamma — sopravvissuta all’inverno — si gode la primavera romana a Villa Borghese.

Fu da lei che sentii menzionare il nome per la prima volta. Sei anni fa in quella domenica di dicembre mamma entrò in camera per dirmi che il nuovo campione del mondo era un filippino. “Campione di cosa? di cosa stai parlando?” pensai. Faceva riferimento a un match di pugilato: Oscar De La Hoya vs. Pacquiao. Mi misi subito a fare delle ricerche, incuriosito più che altro dal grado d’euforia che aveva preso mia madre e gli altri filippini in quel momento ospiti a casa mia. Scoprii che l’incontro in questione non dava cinture, l’esclamazione di mia madre non era comunque totalmente falsa ma solo incorretta: Pacquiao era già campione del mondo nei pesi leggeri, oltre che il primo asiatico ad aver ottenuto la cintura in cinque differenti categorie di peso.

Il pinoy

Sono poche le eccellenze di cui un filippino oggi può vantarsi e una di queste è sicuramente Manny Pacquiao. Se oggi un filippino è fiero della propria identità nazionale lo è, almeno in parte, anche per quello che Pacquiao ha fatto dentro e fuori dal ring. Nel gennaio 2014 sono stato nelle Filippine. Ero a guardare una partita di basket giocata tra due squadre del nostro quartiere, quando il tipo mezzo ubriaco che mi faceva la telecronaca disse che dovevo ringraziare Dio per avermi dato una madre filippina. Quel ragazzo, per qualche ragione, sentiva il bisogno di convincermi che dovevo essere orgoglioso delle mie origini, e che uomini come Pacquiao dimostrano al mondo cosa possono fare e a cosa possono aspirare i filippini.

Esistono diversi elementi che partecipano alla sedimentazione del profondo sentimento empatico che lega Pacquiao al popolo filippino, fra questi c’è certamente la consapevolezza di aver condiviso una sorte comune a buona parte dei pinoy, colpevoli unicamente di essere nati in una parte poco fortunata del mondo. Pacquiao nasce povero e sin da piccolo deve lavorare per cercare di assicurare almeno un pasto quotidiano alla famiglia. A dodici anni riesce a guadagnare due dollari vincendo un torneo di boxe con pochissima preparazione tecnica, continua a vincere e ciò lo persuade che il professionismo potrebbe rappresentare un modo valido e degno per uscire dalla povertà. Come milioni di filippini anche Pacquiao è emigrato, allontanandosi dagli affetti, verso luoghi che promettevano opportunità: dalla provincia alla capitale Manila dove ha vissuto in una palestra di pugilato, poi dalle Filippine agli Stati Uniti dove è diventato uno dei pugili più pagati nella storia. Giravo in macchina per il centro di Manila quando a un certo punto i miei cugini cominciarono a indicarmi una serie di palazzi, ristoranti appartenenti all’idolo nazionale: “Ecco le rimesse di un filippino fuori dal comune” pensai tra me e me.

Pacquiao sta facendo molto per le Filippine perché convinto di dover condividere con la propria gente ciò che Dio gli ha donato; ha fatto costruire un ospedale ed è attualmente in fase d’implementazione un centro comunitario comprensivo di scuola e chiesa. Cristiano e cattolico come la maggioranza dei filippini, Manny nel corso della vita si è macchiato di peccati — abuso di alcol, gioco d’azzardo e adulterio — che generalmente tentano anche molti dei propri compatrioti disoccupati/inoccupati e arresi alle difficoltà del contesto socio-economico che li circonda. Certo le differenze ci sono e sono anche contraddittorie. Da una parte i vizi arrivano assieme al successo, dall’altra i vizi accompagnano la routine di una vita priva di stimoli che non ha mai regalato nulla, e per cui non si è mai fatto veramente abbastanza da ottenerne qualcosa di buono. C’è voluta un’apparizione di Cristo in sogno ma Pacquiao oggi ha ritrovato la retta via e si fa protagonista di sermoni in palazzetti gremitissimi, dove racconta con ironia la propria temporanea discesa negli inferi e la magnificenza della misericordia divina. Questo e altro ancora fanno di Manny l’eccezionale modello da seguire per migliaia di giovani pinoy, l’uomo buono, generoso, di successo, redento, sostenuto e promosso in patria dalle istituzioni politiche, religiose e dai media.

The Dream Match

Oscar De La Hoya vs. Pacquiao, rinominato The Dream Match, rappresenta il momento esatto in cui Pacquiao vede trasformare il proprio status in quello di superstar internazionale dello sport. Nei giorni precedenti all’incontro la differenza di peso a sfavore di Pacquiao era tale da far pensare a qualcuno nelle Filippine di avanzare una proposta di legge per vietare l’incontro, l’obiettivo dichiarato era quello di salvaguardare l’orgoglio del Paese e l’integrità fisica dell’idolo nazionale dal rischio di una tragica, o almeno imbarazzante, disfatta. Le cose andarono molto diversamente da quella pessimistica previsione.

La manualistica prevede che il pugilatore southpaw (mancino), in guardia, disponga braccio e piede destro in posizione avanzata, braccio e piede sinistro in posizione arretrata — per gli orthodox (destrimani) vale il contrario. Il pugile ottiene la massima potenza colpendo col braccio arretrato poiché maggiore è la rotazione che il corpo sviluppa rispetto a quando colpisce col braccio davanti. La maggiore rotazione del corpo dona al braccio arretrato un grande potere d’impatto ma lo rende al contempo anche più prevedibile. Per questa ragione è generalmente sconsigliato esordire nell’azione offensiva col braccio dietro, mentre è desiderabile iniziare l’azione col braccio avanti per accorciare la distanza e nascondere all’avversario l’arrivo del braccio più forte. Con queste premesse diventa semplice riconoscere la supremazia, in quanto a velocità e prontezza di riflessi, del pugile che durante il combattimento riesce a lavorare prevalentemente col braccio arretrato portando colpi singoli o aprendo l’azione. Ed è proprio ciò che accadde nel Dream Match.

Il filippino southpaw impiegò otto riprese per abbattere il favorito e idolo del pubblico statunitense, Oscar The Golden Boy De La Hoya, per lo più bombardandolo di diretti sinistri. Per tentare di sfuggire a quella tempesta perfetta di diretti e contrattaccare, De La Hoya poteva girare alla propria sinistra attorno all’avversario, finendo però con l’andare incontro a quel gancio destro che Pacquiao aveva allenato ossessivamente con Freddie Roach. Pacquiao attaccava in linea retta o si creava spazi uscendo alla propria destra dalla traiettoria dei colpi dell’avversario, colpendo col diretto sinistro e il gancio destro: un movimento, insieme difesa e attacco.

Dopo quel match cominciai a seguire Pac-Man. Lo spettacolo era garantito, contro Ricky Hatton e Miguel Cotto, Pacquiao dimostrava di poter mandare a dormire l’avversario col braccio davanti e quello dietro, sfruttando molteplici angoli, uscendo alla propria destra e alla propria sinistra con pari efficacia.

https://www.youtube.com/watch?v=7OAtnXFdtcY

Di un possibile incontro tra Mayweather e Pacquiao si inizia a parlare già nel 2009. L’incontro avrebbe decretato il migliore tra tutti i pugili in attività di ogni categoria di peso (best pound for pound), ma non si riuscì mai a trovare un accordo per questioni legate alla spartizione della borsa, al test anti-doping e alle riserve dei promoter, questo fino al 2015.

Floyd Money Mayweather, orthodox tutt’oggi imbattuto da professionista (47–0), è un artista della difesa. Prima di Money il suo soprannome era Pretty Boy e sottolineava proprio l’abilità difensiva che gli permetteva di finire gli incontri col viso pulito. La sua peculiare guardia è caratterizzata dalla posizione di scherma che offre solo metà bersaglio all’avversario, il braccio davanti è basso piegato a novanta gradi per proteggere il corpo, il mento è tenuto al sicuro dalla spalla sinistra e la mano destra.

Floyd Mayweather vs. Juan Manuel Màrquez.

Mayweather Jr. generalmente non tenta di bloccare i diretti, li devia accompagnandoli fuori bersaglio con l’ausilio della spalla sinistra, tecnica chiamata Shoulder Roll. Dotato di un lindore tecnico paragonabile a pochi altri, Mayweather possiede un’abilità straordinaria nel prendere il tempo all’avversario, nell’anticipare e nel contrattaccare col minimo rischio. Guardarlo combattere è un’esperienza estetica affascinante.

https://www.youtube.com/watch?v=kK9en6g9JTQ

Battle for Greatness

Qualunque persona al mondo interessata anche lontanamente al pugilato aspetta da sei anni di vedere Mayweather vs. Pacquiao per poter finalmente acclamare il migliore pound for pound su questa terra. Il match in sei anni ha avuto tutto il tempo per essere sublimato fino all’estremo, al punto da essere stato ribattezzato sobriamente Battle for Greatness. L’incontro sarà disputato il 2 maggio 2015 al MGM Grand di Las Vegas. Si prevedono introiti totali per $300.000.000 (60% a Mayweather, 40% Pacquiao), sarebbe il match di pugilato più ricco della storia. Il prezzo dei biglietti oscillerà dai $1,500 ai $10.000, anche qui record assoluto, il pay-per-view in HD starà a $100, lo devo riscrivere? Record, e dovrebbero generare $74 milioni contro i $60 milioni che il passato Super Bowl ha incassato pur disponendo di un numero di posti a sedere circa quattro volte superiore rispetto a quello che potrà offrire l’MGM Grand.

Giacchetto del Team Pacquiao regalatomi nelle Filippine.

Bene, il 2 maggio 2015 io tiferò e piangerò, in ogni caso, per Emmanuel Dapidran Pacquiao: unico pugile nella storia a essere stato campione del mondo in otto diverse categorie di peso, Congressman, predicatore, attore, cantante, giocatore professionista di basket nonché pilastro fondamentale dell’identità nazionale filippina odierna, motivo di speranza e santissimo eroe di una nazione oppressa quanto infinitamente orgogliosa, idolo sacro di un popolo intero che in ogni suo match vive attimi dilatati di redenzione lasciandosi trascinare in un vortice di esaltazione collettiva. Una nazione intera si fermerà per essere testimone di un evento, nel suo genere, davvero irripetibile. Una nazione intera si siederà composta dietro l’angolo dell’uomo che sopra a un ring si farà carico ancora una volta della responsabilità di combattere per il riconoscimento e il rispetto del proprio Paese. Davanti ai televisori e ai maxi schermi milioni di fierissimi filippini sparsi in tutto il globo tiferanno e pregheranno per Ang Pambansang Kamao (trad. Il Pugno della Nazione), il proprio unico e solo santissimo eroe moderno, ed io con loro, fiero di farne in qualche modo parte.

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