Decisivo

Matteo Serra
Crampi Sportivi
Published in
6 min readFeb 28, 2017

A livello di estetica del gioco del calcio esiste veramente poco di paragonabile ad Alvaro Morata. Un cristo di un metro e novanta affusolato e armonico, esplosivo come un toro ma elegante e sinuoso come un pitone albino. Morata è un manuale di tecnica di base in movimento: il controllo del pallone in corsa a quella velocità con quella statura, la fluidità e la confidenza nell’usare entrambi i piedi, il tempo e la presenza nel gioco aereo. E poi quel modo di calciare in porta che è ogni volta uno spettacolo di coordinazione. Morata quando calcia lo fa con ogni muscolo del suo corpo: la rotazione del piede d’appoggio, la flessione del ginocchio, l’abbassamento del bacino, l’inarcamento della schiena, la curva della testa e infine la detonazione e il piede che disegna la traiettoria del pallone e si porta dietro la gamba e di nuovo il bacino e il dorso e il collo.

Morata quando gioca è di una bellezza abbacinante. E Morata quando gioca segna. Pure.

Alvaro in questa stagione ha giocato 1187 minuti tra Campionato, Champions League e Copa del Rey, segnando 12 gol. Uno ogni 98 minuti.

Oltre il dato statistico, che dà inevitabilmente all’occhio, quello che spicca di Morata è la sua capacità di segnare gol che pesano, che portano i punti, che fanno passare il turno, che incidono in modo determinante sulle vittorie della sua squadra. Una caratteristica, questa, peculiare di Alvaro Borja Morata Martin, che poi per dire la verità non è decisivo, è che lo disegnano così.

Morata before he became Morata

Morata, da quando lo conosco, incide. Ho avuto a che fare con lui per la prima volta in occasione del Campionato Europeo Under21 del 2013. Nelle prime due partite della competizione, circondato da gente come Koke, Thiago Alcantara, Illarramendi e Isco, Alvaro non parte tra i titolari. È una Spagna di palleggiatori, tiki-taka e coralità quella di Lopetegui. Morata invece è stroboscopico, troppo esplosivo per poter stare su quei ritmi cadenzati. Contro la Russia entra dopo un’ora di gioco e la decide di testa su calcio piazzato. Contro la Germania sta seduto per oltre settanta minuti, ma poi una volta in campo si inventa il gol partita con un assolo pazzesco.

In questo gol c’è quasi tutto Morata. Il primo controllo è già un manifesto: palleggiate voi, che ora io vado a segnare. La leggerezza con cui in progressione svernicia Rudiger e la lucidità unita alla fame con cui guarda solo e soltanto la porta e trafigge Leno sul suo palo sono da attaccante celestiale. Quell’Europeo Morata semplicemente lo rompe, segnando altri due gol (uno dei quali splendido in semi-finale) e vincendo il trofeo da pichichi.

Morata learning to be Morata

Alla Juventus Morata ci mette un po’ ma alla fine riesce a trovare l’equilibrio e la serenità per esprimersi e finalmente sbocciare. E c’è un momento esatto in cui il suo essere Morata emerge in modo debordante. Siamo a metà marzo, in un periodo bollente della stagione e la Juve va in campo a Palermo tre giorni prima della determinante trasferta di Dortmund, ritorno degli ottavi di finale di Champions. Al Barbera Allegri fa turnover pesante. Il Palermo è rognosissimo, mai pericoloso, ma mai in pericolo. A inizio secondo tempo entra Vidal per Sturaro, ma non basta. Un quarto d’ora dopo è il turno di Morata che rileva Llorente. Passano dieci minuti e Alvaro riceve palla da Marchisio in profondità dopo il contro-movimento, il difensore legge bene e scappa in tempo per assorbire la corsa dello spagnolo, che finta passando sopra la palla, la sposta con due tocchi verso l’interno del campo e poi con il solito, perfetto movimento armonico di tutto il corpo calcia a giro teso sul palo lontano.

Certo non è il suo gol più importante, lo sono di più i due contro il suo Real, quello in finale di Coppa Italia contro il Milan dell’anno successivo e lo è certamente quello in finale di Champions, ma tutti, per me, originano nel gol al Palermo e nella consapevolezza che ha dato ad Alvaro quello scoprire di poter essere decisivo. Non è nemmeno il suo primo gol così, e ne farà altri molto simili in bianconero, ma questo è il primo che ha impresso addosso forte il timbro di Morata, perché è bellissimo, è interamente suo — nel senso che l’ha fatto praticamente da solo — ed è determinante.

Morata being Morata

Alvaro ha riportato questo a Madrid dalla sua avventura alla Juve: la promessa di gol pesanti. Promessa che per non rimanere indietro con il lavoro ha già iniziato a mantenere.

Il 14 novembre il Real affronta lo Sporting CP nella prima partita del girone di Champions. Morata entra in campo solo al 68’ al posto di Karim Benzema, con i suoi sotto di un gol e alle prese con le solite crisi esistenziali da detentori del titolo. Al novantesimo Ronaldo impatta con un calcio di punizione dei suoi e dopo quattro giri d’orologio, su un cross goniometrico di James, Morata inzucca dal centro dell’area ed è amore. Sono tornato per esserti utile mamita.

A dicembre la storia si ripete: stavolta al Bernabeu arriva l’Athletic Bilbao, che di perdere non ne ha voglia mai e tanto meno qui. Morata questa volta entra sull’1 a 1 al 75’ e ci mette sette minuti contati prima di entrare in porta con tutto il pallone.

Manca ancora il gol della casa, quello autoprodotto, certificato e protetto dal marchio di qualità. Arriva a dicembre e la vittima è il Deportiva La Coruňa. Questa volta non è quello decisivo, o almeno lo è in parte in quanto apre le marcature al 50’ prima della rimonta galiziana firmata Joselu e la contro-rimonta madridista, però è senz’altro un Morata originale da collezione. Ricezione in orizzontale, spalle alla porta e occhi fissi sul pallone, tocco verso il centro del campo e sparo, sempre accompagnato con la rotazione del corpo, sempre a giro sul palo lontano, sempre irraggiungibile.

Morata today, always being Morata

È duro come il caucciù il Villarreal. Non inganni l’imbarcata contro la Roma in Europa League, questi hanno la difesa migliore di Spagna e in attacco sono veloci, tecnici e fetenti. E infatti al “La Ceramica” dopo un’ora di gioco vincono 2 a 0 grazie ai gol di Trigueiros e Bakambu e il gioco lo comandano loro. Poi si svegliano i mostri e la musica un tantino cambia: Bale corregge in rete un cross di Carvajal e Ronaldo pareggia dal dischetto. Al minuto 77 entra Alvaro Morata. Al minuto 83 Marcelo mette il pallone alto e teso in un’area con tanti gialli e un solo bianco, che è Morata.

Ancora lui, sempre lui, decisamente, decisivamente lui.

Morata è così, ad alcuni può non piacere perché macchinoso, perché delle volte egoista, perché vuole risolvere le partite da solo e tende a scontrarsi coi mulini a vento, perché forse è più un’ala che una vera punta, perché forse è più una seconda punta che una vera punta, perché al Real non può fare la prima punta, perché è timido e al Real devi essere sfacciato, perché in nazionale potrebbe fare di più, perché ci si aspetta sempre un po’di più da lui, perché è sensibile e si fa trattare male dalle fidanzate, perché è molle e si fa trattare male dagli allenatori, perché è forte, troppo forte per giocare così poco e ci dev’essere per forza una spiegazione sensata.

Morata è così, ad alcuni può non piacere e a me mi fa letteralmente cadere dalla bici ogni volta che lo vedo calciare in quel modo stupendo oppure allungarsi la palla all’infinito e correre come un toro oppure controllare il pallone con l’eleganza di un pitone albino, perché non ho mai visto un giocatore così e probabilmente non ne vedrò mai un altro uguale.

--

--

Matteo Serra
Crampi Sportivi

Sardo di montagna fuorisede a Roma, laureato in comunicazione e istruttore di scuola calcio. Se avessi un alano lo chiamerei Igortudor. @resoett