Del nostro calcio rubato (e del nostro calcio a venire)

Armando Fico
Crampi Sportivi
Published in
4 min readDec 11, 2017

A girarsi dietro, a guardare il passato della nostra Serie A, si stringe la gola. Di storie ed episodi nefasti, di occasioni perse che pure erano lì pronte per essere colte, di scandali, costernazioni, ingiustizie più o meno palesi e sottaciute con disarmante nonchalance, il calcio del Bel Paese ne è stato (e continuerà probabilmente a esserne) pieno.

D’altronde, se è vero com’è vero che il mondo calcistico italiano è per certi aspetti lo specchio della nostra società (profondamente e intimamente gattopardiana), l’introduzione del Var può a buon titolo ritenersi quanto più vicino ci sia ad una rivoluzione, culturale e al tempo stesso sportiva. E questo al netto anche dei suoi inevitabili “peccati di gioventù”, verificatesi nelle recentissime sfide Sassuolo-Hellas e Roma-Spal (fuorigioco non ravvisato sui gol di Verde e Strootman) o piuttosto dei tempi tecnici del video check a bordocampo. Tempi che, ad avviso di alcuni addetti ai lavori, privano il match di alcuni dei suoi tratti salienti come la dinamicità del gioco o l’immediatezza e l’irrevocabilità della decisione arbitrale.

In principio fu l’A-League, il campionato australiano.

Insomma, il Var creerebbe un intollerabile squarcio temporale nel quale il vero protagonista dei 90’, il gioco, non c’è, è assente. In altre parole, il gioco è come sospeso, sottratto, messo da parte per far spazio ad aspetti qualificabili come “altro dal calcio giocato che annoia il tifoso e danneggia i giocatori in campo”. Ma, al netto della risibile critica della perdita di tempo, siamo sicuri che sia davvero così? Cioè, il Var ci sta davvero rubando il calcio, come alcune voci vorrebbero far credere, o semmai ce ne sta restituendo una sua dimensione diversa, persino migliore?

Per sciogliere ognuno di questi interrogativi basta osservare quanto accaduto in occasione dell’espulsione di De Rossi nello scorso Genoa-Roma di campionato.

Razionalità e irrazionalità, l’angoscia del giocatore che passa dalla speranza di farla franca alla certezza dell’espulsione, il suo tentativo disperato infine con l’arbitro di evitarla sottolineato dal labiale “Dai, non fare il matto”… in pochi minuti un turbinio di emozioni culminato con l’intervento del Var, riuscito in quella precisa occasione a esaltare l’aspetto emotivo di un match e contemporaneamente a mettere alla berlina una mentalità da Ancien Régime (quella dimostrata da De Rossi).

Una mentalità divisiva e cancerogena, ma che comunque ha scritto — nel bene come nel male — alcune pagine della storia di questo sport. Prova di quanto si scrive sono le stesse parole del tecnico romanista Di Francesco, che a fine gara ha ammesso l’errore del suo capitano sottolineando il cambio di passo culturale: “Dal Var non si scappa”.

Il cambiamento è evidente quanto innegabile, ma ciò non significa che in futuro gli atleti nativi del Var non avranno più comportamenti antisportivi o violenti. Piuttosto saranno educati all’accettazione del verdetto, consapevoli di non avere più alcun margine per appellarsi alla discrezionalità o ai vuoti arbitrali di cui i loro colleghi sinora hanno goduto.

Detto in altre parole, l’immanenza del Video Assistant Referee indurrà i calciatori a una sempre crescente responsabilità e quindi inevitabilmente a una maggiore correttezza.

Ed ecco allora, come per magia, che nel tanto vituperato “spazio di gioco sospeso” trova la sua esaltazione il gioco stesso, finalmente più e meglio tutelato che in passato. Occhio però a non definire semplicisticamente la Var come momento di riscatto morale di uno sport, o piuttosto brandirla come arma in nome della giustizia… perché non lo è. O meglio: non può essere solo questo. Che lo si voglia oppure no, infatti, il Var è già ora un elemento emotivo-sistemico del calcio italiano, avendo imparato già a far parte dello spettacolo che esso offre nonostante la sua ontologica equidistanza dalle sorti della contesa. E per questo ormai essa appare imprescindibile, soprattutto ad alti livelli in Serie A (anzi, qualcuno la chiede pure in B).

Pare incredibile, ma proprio in quegli istanti di “non gioco”, al di là dell’enorme potere di decidere o orientare il risultato di un match, tutti i protagonisti attivi (calciatori, allenatori, arbitri) e passivi (spettatori allo stadio e dietro un televisore o ad una radio) di un evento convergono emotivamente in un unico punto, nell’attesa del suo responso, per tornare poi a dividersi solo dopo di esso. Per intenderci sulla portata del fenomeno Var: il gol, l’acme emozionale per eccellenza, separa all’istante stesso in cui è realizzato… anzi, demarca ancor di più la distanza tra le due tifoserie. Il Var, invece, unisce tutti nella palpitazione di una manciata di secondi.

Il calcio davvero quindi ci è stato rubato? Sì, ma negli anni passati, e la quantità di tempo che abbiamo perso è incalcolabile, imperdonabile. Sì, a girarsi dietro stringe la gola per quanto calcio e quante emozioni ci sono stati materialmente sottratti, ma ora come ora viene ancor di più la voglia di guardare avanti… al nostro calcio a venire.

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