Di falene, finali e alani maculati — Prospettive di un Europeo alla rinfusa

Crampi Sportivi
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8 min readJul 11, 2016

Illustrazione di Fabio Imperiale

Rossi contro blu

di Simone Vacatello

«Rossi che corrono da una parte, blu che corrono dall’altra, questo è l’incubo di un giocatore di biliardino».

È una frase che si addice non solo a Francia-Portogallo, o Portogallo-Francia, alla finale di Euro 2016 in quanto giustapposizione cromatica, ma anche a gran parte degli incontri che in questa competizione ci hanno condotto ai supplementari+rigori, ai soli supplementari e talvolta anche a partite durate solo — ma che micragna, però — al 90esimo+recupero.

Sono stati gli Europei del calcio che cambia, molto più figli dei tempi dei pur rivelatori Mondiali brasiliani del 2014. Sono stati gli Europei, quindi, delle partite che sembrano una Big Babol sfilacciata, tirata dai suoi estremi, in cui il rosa è sempre più lontano dal bianco, in cui un tapino non fa un tempo a sbagliare un gol che subito deve ripiegare a dare man forte alla propria difesa in affanno, in quanto questa magari aveva anche messo in conto di dover prima o poi rimediare alla ripartenza avversaria, ma non fino a questo punto, altrimenti avrebbe chiesto un aumento di stipendio, che so, una contrattazione sindacale.

Sono stati gli Europei in cui, a giudicare dai cross che si sono visti, ci si allena sempre meno sui fondamentali e in modo sempre più ossessivo sul piano atletico. Un Europeo di mezzofondisti dalla foga ipertrofica, equivoca, l’Europeo di gente che abbiamo imparato ad apprezzare ma che spero tanto di poter rivedere da qui a quattro anni, perché se continuano su questi ritmi di sforzo fisico mica lo so.

È stato dunque un Europeo di cross alla rinfusa al centro, senza troppi veri centravanti in area, in cui si arriva sul fondo con la stessa disperazione di chi sa di essere destinato ai supplementari, e un po’ ci gode anche, perciò mira relativamente. È stato un Europeo in cui, ai fatidici supplementari in cui spesso gli schemi saltano, gli schemi alla fine sono saltati raramente, da una parte perché non ci sono mai stati i presupposti perché saltassero, dall’altra perché è dura ammettere che si siano visti degli schemi in campo. Euro 2016 è stato l’amico onesto che ha preso i suoi spettatori per mano e gli ha detto sentite, qui anche se vi affezionate alle outsider cercate di ponderare bene prima di scegliere i vostri beniamini, perché tanto giocheranno più o meno tutti alla stessa maniera, dalle grandi alle piccine, come se fossero tutte outsider. Poi chiaramente chi riuscirà a perderne di meno lo vedremo in finale.

Questo Europeo l’ha vinto Cristiano Ronaldo, finalmente trascinatore della sua Nazionale dopo anni di più o meno commoventi vorrei ma non posso. Tuttavia stavolta, dopo prestazioni degne del suo carisma contro l’Ungheria e il Galles, trascinatore solo da bordocampo. Incredibile davvero. Una finale vinta dal Portogallo senza il suo pezzo più pregiato (di sempre) in campo, dato che il fato o chi per lui ha deciso che nulla di usuale deve accadere in presenza della sua aura addominale.

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Ma soprattutto è stato un Europeo in cui ha vinto chi ha fatto giocare l’avversario peggio di lui, e quindi un Europeo assolutamente alla portata dell’Italia, che tra le contendenti più scafate sembrava quella messa peggio in quanto a qualità, e invece ha messo nel sacco il Belgio e la Spagna, non è caduta nella trappola della Svezia, ma è invece poi inciampata, e in vista del traguardo, nella trappola mentale della Germania, che a sua volta ha saputo sfruttare lo status di squadra indiscutibilmente più forte del torneo, salvo poi suicidarsi in semifinale. Peccato davvero per gli uomini di Conte, dati gli spazi aperti e scellerati che abbiamo visto lasciare alle difese delle altre semifinaliste. Tante praterie verdi succulente come un hamburger vegetariano, per chi apprezza il genere.

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Tanto più che l’ordine cosmico aveva anche già stabilito che questo Europeo l’avrebbe deciso Eder, poi — chiaro — dato come sono andate le cose ai quarti ha dovuto fare di necessità virtù, e improvvisare. Tuttavia sorridi, o cosmo, siamo gente di spirito, abbiamo apprezzato.

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Poker di niente

di Simone Nebbia

Tavolo verde. Di erba appena tagliata. Due uomini si guardano, hanno i capelli grigi come il fumo di sigarette che non accenderanno. L’uno scruta l’altro. 81.338 persone con gli occhi puntati su entrambi. Carte in numero pari, da un lato e dall’altro. Le svelano una ad una, finché una goccia di sudore, non vista, scorre libera lungo la fronte. Il portoghese sembra una maschera, non ha espressioni, si acciglia quel poco che basta a modellare con gli occhi i contorni delle carte; il francese se le passa invece per le mani, le chiude, le riapre, le guarda come non le ricordasse, è agitato perché sa di non poter sbagliare. Tocca a lui, è di mano, gioca in casa. Apre con una coppia di re, o forse ancora principi: Antoine Griezmann di Borgogna, mite e dedito agli studi nelle sale della reggia e Paul Pogba, principe moro dell’Île-de-France, aspirante al trono di qualsiasi regno gli capiti a tiro. Il portoghese tiene la carte immobili, non parla, ha l’espressione di chi potrebbe giocare a carte scoperte, che tra avere il punto e bluffare la differenza è minima. Copre l’apertura e si va avanti come di fronte a uno specchio, da cui si cerca di capire se di fronte ci sia la propria immagine o solo qualcosa di simile, come un mimo che abbia voglia di giocare.
Il portoghese ha un asso di nome Ronaldo. Gioca sporco, guarda dritto negli occhi l’avversario e lo scopre, voltandolo sopra il tavolo. Il francese lo guarda sorpreso, ma sollevato, mentre lo mescola ad altre due carte da cambiare. Tre, anche per me. Dirà il francese. C’è silenzio intorno, vibra solo il fruscio sul panno verde. Arrivano le carte, coperte, per le mani nodose dei giocatori. Il portoghese non batte ciglio, il francese si lascia sfuggire la stessa espressione malinconica vista nel maggio di dodici anni fa. Un altro tavolo, un’altra partita. Di fronte, anche allora, un portoghese.

Le mani tremano, il portoghese si scherma tenendo gli occhi bassi sulle carte. Sa di non avere altro che poche figure, povere, le cambierebbe tutte di nuovo ma non può. E per il suo gioco, in fondo, va bene qualunque carta. Il francese muove lo sguardo ovunque, non sta fermo un attimo. Si vede che qualcosa è andato storto, che il cambio non era quello sperato, che un tris di Zidane, una coppia di Henry, un full di Trezeguet, avrebbero risolto tutto. Ma non è così. E non può tirarsi indietro. Spetta a lui aprire, timido, pochi denari nella speranza di restare ancora in gioco. Il portoghese muove appena le rughe sulla fronte, si guarda le carte tutte rosse, non c’è Figo, non c’è Rui Costa, non c’è nemmeno uno straccio di Nuno Gomes per fare un misero punto, eppure rilancia, alza il tiro, sa di avere tutto nelle sue mani. Il francese si agita ancora, va in confusione, guarda dritto il suo avversario e butta le carte sul tavolo. Il portoghese si scuote, sa di aver vinto, fa un mezzo sorriso di lato e pensa a quel che dichiarerà. Il punto non si vede, perché non c’è. Bluff. Poker di niente. E una carta, la sola, scoperta. Il fante Eder, vestito da re.

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La falena

di Fabio Imperiale

La ragazza che siede davanti a me si gira all’improvviso e mi chiede se ci vedo. Eccome se ci vedo, saranno dieci minuti che passeggio su e giù con gli occhi dalla sua spalla destra a quella sinistra e ritorno, passando per la linea del collo, quanta morbidezza. Ci vedo benissimo, rispondo dopo dieci secondi di apnea, non ti preoccupare, grazie. La serata è calda, ma bella. Dal cielo non arriva aria, ma solo il lieve rumore in lontananza di un aereo che passa, di tanto in tanto. Due file davanti qualcuno ha in mano delle patatine fritte, ogni tanto se ne porta una alla bocca, svogliatamente. Ho fame. Non avevo voglia di fare la fila alla cassa, troppa gente, troppo caldo. Ha caldo anche l’alano maculato dietro di noi, sulla destra. Si tira su, torna a sedere, si gira su se stesso, smania, sbuffa. Ma non abbaia, l’ha capito che c’è la partita e non bisogna disturbare. Quante generosità, proprio lui che non ha scelto come noi di venirla a vedere. Lo spettacolo non è dei migliori. Ma è una finale in una sera d’estate, e noi siamo fatti così, ci siamo a prescindere.

Eppure, mentre lo spettro dei supplementari comincia ad incombere su noi tutti, la partita continua a rivelarsi un estenuante ballo di gruppo. Tacco, punta, tutti alla destra, tutti alla sinistra, fai la giravolta e falla un’altra volta. Praticamente, non succede nulla. Migliore in campo fino a questo momento, una falena. Che al venticinquesimo del primo tempo si è andata a posare sulla guancia abbronzata di un Cristiano Ronaldo infortunato. Ma poi accade qualcosa. Non ricordo bene quando, che stavo pensando ad altro. Ma accade che qualcuno si involi sulla fascia sinistra e fa per metterla in mezzo. Forse Evra, della Francia. O forse no. Non importa granché. La mette in mezzo, la palla rimbalza una volta e si dirige verso il centro dell’area del Portogallo. L’attaccante aspetta l’arrivo della sfera, me è leggermente avanti col corpo e si pianta sui piedi. Rinsavisco e poggio le mani sui braccioli della sedia, in un gesto di allarme istintivo più veloce della mia memoria. Tutto questo mi ricorda qualcosa. Mi giro verso il mio amico, per chiedere, chè di solito queste cose le sa, e mi accorgo che ha diciannove anni. Ha diciannove anni e segue l’azione con un’aria molto preoccupata. Mi rigiro verso il maxischermo, ma il maxischermo ora è un televisore, e la ragazza dalle linee morbide non c’è più. Ci sono un divano, due poltrone, quattro sedie e un pavimento. Gente sparsa, e abbiamo tutti diciannove anni, anche io. Anche le maglie dei giocatori in campo sono cambiate. I blu sono sempre blu, ma un po più scuri, mentre i rossi sono diventati bianchi.

Ma è un bianco da trasferta, un azzurro mancato. Persino il pallone sembra cambiato, certe cose non mi sfuggono mai, ma la forma è la stessa. Ed è una forma che lo fa rimbalzare verso il centro dell’area di rigore. Ad attenderlo, qualcuno di diverso. Qualcuno che non si dimentica. Qualcuno che sa fare quel movimento impercettibile che è una leggera danza laterale e fa spostare tutto il corpo verso sinistra, predisponendolo a ricevere la palla nel modo migliore. E a spararla sotto la traversa. Imparabile. C’è chi si alza dalla poltrona imprecando verso chi non ha colpe, chi resta seduto sulla sedie con le mani sul volto e chi si lascia andare con la schiena all’indietro sul pavimento. Domani è lunedì, e per noi iniziano gli esami di maturità. Questo, lo prendiamo come un presagio di sventura. E’ il 2 Luglio del 2000. La Francia ha battuto in finale l’Italia e ha vinto il secondo Europeo della sua storia. L’Europeo di David Trezeguet. Il primo lo aveva vinto sedici anni prima, quando in campo c’era Michel Platini. Fra sedici anni ne vincerà un terzo, salvo imprevisti. Intanto, all’altezza del calcio d’angolo, la falena esulta davanti alle telecamere.

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