Di quando Bergkamp fece l’autostop. Una poesia di Simon Armitage

Crampi Sportivi
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4 min readSep 8, 2016

Di questi tempi fa impressione ricordare il trauma che subì Dennis Bergkamp nel volo di ritorno dal mondiale del 94. Uno stupido di giornalista, di quelli al seguito degli Orange, pensò bene di terrorizzare i passeggeri diffondendo, stupidità o deformazione professionale non saprei distinguere, la notizia falsa di una bomba a bordo. Peccato che su quello stesso aereo ci fosse chi, cinque anni prima, aveva partecipato ai funerali di un compagno di squadra — allora Bergkamp giocava nell’Ajax- schiantatosi a pochi chilometri dall’aeroporto di Paramaribo-Zandereij, in Suriname. Era un portiere di riserva, si chiamava Lloyd Doesburg. Chiamatela ancora fobia, allora, se volete, quella forte impossibilità che dal 94 costrinse Bergkamp a seguire allenatore e compagni a distanza, via terra, sempre in anticipo e allo stesso tempo in ritardo, ogniqualvolta l’Arsenal prendesse un volo. Bizzarra cosa è, per un calciatore, riportare nel contratto un proprio handicap, mettere nero su bianco un’esenzione umiliante che, per certi versi e per ironia della sorte, suonerà poi un domani come un privilegio; a Bergkamp si poteva concedere.. L’”olandese non volante”, come venne presto ribattezzato, fece anche questo; coi Gunners, mise subito le cose in chiaro: carta canta, Bergkamp non vola. Ma mai, mai e poi mai, la nostra immaginazione si sarebbe spinta dove l’ha spinta Simon Armitage, poeta contemporaneo inglese e autore del testo qui sotto, accanto alla traduzione di Massimo Bocchiola. In Inghilterra questa poesia è uscita nel 2010, ossia quattro anni dopo l’addio al calcio del campione, all’interno di un libro intitolato Seeing Stars (Faber & Faber, pp. 88), una raccolta di story-poems.

E di una storia si tratta, infatti. Una vicenda pedestre- è proprio il caso di dirlo- tra un autista e una celebrità rimasta a piedi. Del resto le stelle di cui parla il titolo dell’opera (Seeing Stars, “Vedere le stelle”), per ammissione stessa dell’autore, oltre che alludere all’astronomia e ai cartoni animati –avete presente le stelline che roteano attorno al capo di un personaggio frastornato da una botta?- rimanderebbero anche al culto delle celebrità vigente nella nostra epoca. Non a caso nel testo che vi ho presentato i soli nomi propri che compaiono, quasi spettassero solo a loro, sono quelli di persone famose, Bergkamp in primis, mentre l’uomo lavoratore comune, che sia un autista “ignorante” e dai modi sbrigativi o un driver educatissimo, viene lasciato nell’anonimato. Ciononostante il punto di vista che l’autore sceglie per l’occasione, la voce dietro cui si nasconde senza alcun obbligo di identificazione -non è il poeta che ci racconta la storia in prima persona, bensì uno dei personaggi- è appunto una figura anonima, per quanto ben caratterizzata. Resta da chiedersi una cosa: si è inventato la scena di sana pianta, parlo di Armitage, o qualcuno, magari l’autista stesso o chi sa chi gliel’ha raccontata realmente, e lui l’ha confezionata e impacchettata in carta poetica dopo, in un secondo momento? A ben guardarci, non so quanto sia importante saperlo.

Veramente significativo, invece, è l’effetto di realtà, minato in parte da qualche assurdo particolare. Un esempio? Allora, voi siete Bergkamp: sapete benissimo che il vostro club vi compatisce ogni trasferta per quella storia lì dell’aereo, e voi che fate? il giorno della partita, che fate? vi mettete a discutere d’arte con un autista sconosciuto, un cafone, al punto da farvi scaricare per strada come una donnetta isterica. Può chiamarsi incidente di percorso, questo? un inconveniente? E’ come se il personaggio Bergkamp sprofondasse e si perdesse nella desolazione dell’assurdo proprio nel momento in cui è costretto ad allontanarsi dalla norma (la sua professione, i suoi compagni, in una parola il suo habitat) a causa della sua fobia. Eccolo allora comparire come “a man”, sputato dall’indifferenza caotica del traffico, spogliato della sua celebrità, un autostoppista qualunque costretto ad identificarsi al finestrino, e non senza imbarazzi. Sarà così che soltanto attraverso il secondo autista, ovvero grazie allo sguardo del narratore, il giocatore olandese verrà riabilitato agli occhi di chi legge e riavvicinato alla sua fama di virtuoso del pallone attraverso le qualifiche morali di “perfect gentleman” e “complete travelling companion”. Da notare che questi complimenti, fatti da un punto di vista preciso, rovesciano il giudizio e i provvedimenti dell’autista precedente che, invece, confermerebbero quel tratto tipico del carattere dell’ultimo Bergkamp, pedante e facilmente irritabile, che l’autista 2 vedrebbe invece smentito. Chi si stupisce della gentilezza di Iceman, altro soprannome rifilato al fuoriclasse, si stupisce perché ne conosce le gesta e ha ben presente la psicologia del giocatore negli ultimi tempi della sua carriera. I due termini in inglese che colgono queste lievi disfunzioni del gioco di Dennis sono “niggles” e “tetchiness”, tradotti rispettivamente da Bocchiola con “pecche” e “isterismi”. Mentre il secondo si riferisce esclusivamente alla sfera del comportamento, il primo viene letto come qualcosa di attinente alla tecnica. Forse l’autista è un intenditore. Senz’altro si compiace di alcuni dettagli, come quello delle caramelle gommose o dell’attenzione impiegata da Bergkamp nel non segnargli la console con i tacchetti, che per alcuni potrebbero essere cose da nulla, per lui invece sono il corrispettivo della classe dell’olandese, il prolungamento nella vita di tutti i giorni del suo piede educato.

Costui, per intenderci, è Dennis Bergkamp…

Luca Bedogni

Questo articolo è apparso e lo trovate anche su Footballvoices

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