Don’t Messi with me

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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6 min readNov 3, 2016

Poteva accadere solo nel New Jersey, come l’inizio di un film di Kevin Smith, magari con Jason Mewes che interpreta Caniggia, sperduto all’esterno di un mall a fare da contro-coscienza parallela al protagonista. E invece è stato tutto così lineare che già qualcuno l’aveva previsto, da Demichelis al portiere del mio palazzo. L’errore, la sconfitta, la disperazione, l’addio, il mito tragico che prende forma, la narrazione mondiale che scomoda la malinconia di un tango, lo spettro amletico di Maradona e delle sue vittorie con Nazionali meno ricche di compagni campioni, il tentativo di non parlarne, parlandone, il tutto che prende forma dal poco, perché è fresco, e il conseguente tentativo di metterlo in uno spazioso scaffale di storia.

E la cornice “reale” è stata appunto quella, disorientante, di una finale di Copa America giocata in New Jersey, con tutto l’immaginario tropicale che i due lemmi ‘Copa’ e ‘America’ vicino avrebbero il potere di far tornare alla mente, contrapposti a uno sfondo da videoclip dei Journey. Complice anche questo tipo di straniamento, quando Messi si è sfogato dicendo «è la terza finale consecutiva che perdo, evidentemente non fa per me», ha restituito al mondo in diretta un disagio da jet lag dello spirito.

Ha accompagnato con un sorriso amaro la sua personale resa, come se l’Argentina avesse qualche speranza di vincere in futuro senza di lui, come se la delusione e il dolore dei suoi tifosi fossero secondari alla sua personale sconfitta.

E poi, solo un mesetto dopo, questo. Una foto in mutande sul divano con l’ossigenatura e la canotta da verandina agostana. Il sorriso di chi ha riscoperto sé stesso solo alla fine di una relazione tormentatissima, dopo anni di bombardamento da parte degli amici, armati dei loro “ma come fai a dire che questo è amore”.

Souvenir quadrimensionali

Ritenere che quella foto di Messi-Colpi-di-Sole sul divano, finalmente libero dalla sua relazione complicata con Albiceleste, sia stata “soltanto una foto”, è sottostimare l’effetto che le nostre decisioni hanno sul tessuto della realtà. Per capire la portata di quanto accaduto tra l’annuncio del suo addio e il momento in cui quell’immagine viene scattata e diffusa occorre fare uno sforzo immaginativo.

Ad esempio, immaginiamo la maglia numero 10 della Nazionale argentina come se ogni striscia verticale albi e celeste rappresentasse una linea temporale parallela con un inizio (l’orlo basso) e una fine (il collo). Immaginiamo quindi che tutto lo spazio nero occupato dal numero ‘10’ e dalla scritta ‘Messi’ su ogni striscia corrisponda all’incidenza del soggetto interdimensionale Lionel Messi sulla storia calcistica della selecciòn nella data linea temporale. Osserviamo dunque come in alcune linee temporali l’impatto di Messi è breve e in ritardo quanto un primo accenno del numero uno, in un’altra è continuo, stabile e lineare quanto la linea verticale dell’uno stesso, in altre è assente, in altre ancora ha una curva a destra, in un’altra a sinistra.

Bene, ora abbiamo una maglia di Messi che trascende sé stessa e diventa un oggetto quadrimensionale. Da questo momento in poi il fatto che il Pulga abbia pensato a ritirarsi dopo aver perso quattro finali con la maglia della sua Nazionale non è più solo la storia, ma una delle storie possibili, il che non consolerà i tifosi argentini della nostra linea temporale ma li aiuterà a rimettere tutto in prospettiva.

Data appunto l’incidenza grafica di Messi su più di una striscia parallela, se ammettiamo che sono molte le linee temporali in cui è lui il miglior calciatore al mondo, possiamo immaginare anche che peso abbiano avuto sulla realtà circostante le parole amare e di rinuncia pronunziate al termine della seconda in Copa America.

Gli effetti collaterali

Meno di due mesi dopo quello che sembrava un nuovo inizio, Messi fa marcia indietro, apparentemente perché convinto dal nuovo tecnico Edgardo Bauza a tornare in Nazionale, in realtà perché quello che sembrava un addio era, come lui stesso ha confermato, una semplice intemperanza dovuta al troppo amore.

Ma abbiamo visto come una maglia che diventa oggetto quadrimensionale possa contenere in sé tutte le porte di realtà che servono a stravolgerla.

Quale Messi è emerso dal caos multidimensionale generato dalla possibilità che lasciasse l’Argentina?

Questo. Occhi vivaci ma velati di rassegnata malinconia, piglio bonario ma look aggressivo, un giovane uomo dal vestiario trasandato e dal portamento sciatto che lascia comunque trasparire una personalità estroversa. Uno che non perde tempo a radersi, o a scegliere le magliette da indossare per uscire, ma ne perde volentieri a ossigenarsi settimanalmente la chioma. Uno di quelli che incontri per strada e non sai se sono maturi punkabestia con una discreta rendita che gli permette di stare in giro col cane a mezzogiorno o uno di quei poliziotti eccentrici à la Serpico.

Amici, questo non è Lionel Messi. Almeno non quel genio introverso e inespressivo che abbiamo conosciuto nei suoi primi dieci anni di attività.

Il Messi che conoscevamo noi non si sbilanciava, reagiva in maniera contenuta alle provocazioni e, soprattutto, soffriva talmente tanto la pressione del mondo intero in alcune partite da metterlo in competizione con la ragazzina dell’Esorcista in quanto a irregolarità dell’apparato digestivo.

La nostra teoria è la seguente: All’annuncio del suo disperato ritiro dalla selecciòn la sua maglia si è tramutata in un portale extradimensionale dal quale un altro Leo Messi, dalla personalità diametralmente opposta alla sua, è riemerso a raddrizzare carriera e immagine pubblica. Ossigenato, barbuto, spavaldo, il nuovo Leo Messi è un ronin attaccabrighe che ha lo stesso identico talento del Messi precedente, malinconico e sovrannaturale, ma in campo è assai più fiammeggiante e meno remissivo. La chioma dorata sta lì a dire una cosa sola: adesso guardami.

Ed è così che ci ritroviamo un Messi completamente diverso, in campo e fuori. Un Messi che esulta a muso duro sotto al settore dei tifosi del Valencia, per vendicare le bottigliate subite in testa dai compagni, e un Messi che insegue giocatori del Manchester City nei tunnel, rei di averli insultato, dandogli degli scemi.

Ven aqui, bobo. Ven aqui.

Al Kun Aguero pare sia toccato fare da paciere, ma non contento e desideroso di non lasciare le cose in sospeso il nuovo Leo sarebbe poi entrato nello spogliatoio del City per un chiarimento col diretto responsabile degli insulti, la cui identità non è stata resa nota.

Tutto questo nella sera in cui, seppur sconfitto dal suo ex maestro Guardiola, diventava i più grande cannoniere della storia dei gironi di Champions League, con sette reti in tre partite.

E pensare che questo era il giocatore che, solo fino a pochi mesi fa, era pronto a dare forfait dalle competizioni americane e mondiali con la maglia del suo Paese, pronto a un gran rifiuto, a una ritirata da tutto ciò che non era Barça.

Resta solo da chiedersi, a questo punto, che fine abbia fatto fare il Messi-Ronin al vecchio Leo, quello che, ok, ogni tanto si concedeva qualche intemperanza ma limitata a una passivo-aggressività decisamente timida, tanto che a chi lo insultava in campo dandogli del tappo rispondeva con un timido e quasi rispettoso ‘e tu sei scarso’.

La stagione è ancora lunga, verranno fuori altri indizi della sostituzione multidimensionale, e la cosa peggiore che potrà succedere è che ci si affezionerà così tanto al Messi attuale che non ci importerà più molto di quello che abbiamo conosciuto fino alla disfatta del New Jersey. Anzi, la sostituzione nel nostro cuore, acceso di umana passione prima insperata, probabilmente sta già avvenendo.

Articolo a cura di Simone Vacatello

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