Dove l’acciaio si scontra
È uno dei derby più sottovalutati d’Inghilterra. Un peccato, perché la stracittadina di Sheffield meriterebbe molta più considerazione da parte dell’universo pallonaro. Per carità, non vogliamo ignorare le colpe di Wednesday e United, che da troppo tempo infilano più stagioni negative che positive.
Al netto delle traballanti fortune delle due compagini professioniste locali, Sheffield rimane lo stesso “la casa del football”.
Definizione esagerata, sopra le righe, inopportuna? Mica tanto, se si scartabellano i libri di storia del calcio inglese. Negli anni ’50 del XIX secolo, per la precisione il 24 ottobre 1857, nella Steel City (proprio a quei tempi la produzione di acciaio era copiosa) vide la luce il club più vecchio del pianeta, denominato in maniera alquanto scontata Sheffield F.C.
I membri di quella compagine disputarono il primo derby contro l’Hallam nel 1862 e soprattutto codificarono le regole del gioco, conosciute come “Sheffield Rules”. Furono loro a inventare il calcio d’angolo, la rimessa laterale e il calcio di punizione, oltre a essere i primi a mettere in piedi una porta con una traversa di legno (in precedenza si usava una corda legata ai due pali). Tutte innovazioni che nel 1877 confluirono nella normativa unica stilata dalla Football Association (nata “solo” nel 1863). Nell’anno del 150° compleanno del club, anche la FIFA ha reso omaggio allo Sheffield FC e ai suoi padri fondatori: un mercante di vini, Mr. William Prest, e un suo amico, Mr. Nathaniel Creswick, un facoltoso avvocato e imprenditore locale, nonché primo capitano della squadra.
Tanto per ribadire che in quell’angolo di Yorkshire erano veramente avanti, sempre a Sheffield fiorirono già nel 1879 i primi germogli di professionismo (poi “legalizzato” nel 1885) con la creazione della squadra dall’improbabile nome di Zulus. I giocatori venivano pagati, ma il resto dei fondi raccolti durante le partite era destinato alle famiglie dei soldati morti o feriti durante le battaglie di Rorke’s Drift e Isandlwana nella guerra anglo-zulu.
Sempre a Sheffield si trova il Bramall Lane, lo stadio più vetusto del mondo. Per lo meno come “presenza”, non proprio come struttura, dal momento che negli anni (per la precisione tra il 1966 e il 1996) è stato completamente ricostruito. Ora è il classico stadio inglese, con le quattro tribune attaccate al campo, per una capienza totale di poco più di 32mila posti. In passato “tradiva” la sua destinazione originaria, con una conformazione alquanto singolare. Quando fu inaugurato nel 1855, era infatti un campo da cricket. Di quella struttura è rimasto l’orologio, che fa bella mostra di sé sopra l’entrata del museo, tutto dedicato a questo storico impianto e ricavato in una porzione della South Stand.
Quando siamo stati in quel di Sheffield — sbirciando tra le varie memorabilia — , abbiamo scoperto che al Lane l’ultima partita di cricket si è tenuta nel 1973, ma soprattutto che quando a questo sport tipicamente estivo si andò ad aggiungere quel perfetto passatempo invernale chiamato football, i primi occupanti furono lo Sheffield F.C. e poco dopo il Wednesday. Questi ultimi lasciarono il Bramall Lane nel 1889 per far posto al neonato United, che da allora non lo ha più abbandonato. I successi delle Blades a cavallo fra il XIX e il XX secolo (campionato nel 1898 e FA Cup nel 1899 e 1902) favorirono una “crescita” dello stadio, cui mise mano il celebre architetto scozzese Archibald Leitch.
Purtroppo per loro, i biancorossi non vincono un trofeo dal 1925, quando si aggiudicarono la loro quarta Coppa d’Inghilterra. Di conseguenza i supporter hanno fatto l’abitudine ai tanti bassi e pochi alti. Lo United è stato capace di incredibili imprese in negativo, come passare dal sesto posto in First Division nel 1975 al capitombolo in quarta serie nel 1981. Quasi come se le Blades si volessero adeguare al declino della città, aggredita dalle politiche ultra-liberiste del governo guidato da Margaret Thatcher, che affossarono le acciaierie e fecero schizzare drammaticamente in alto il tasso di disoccupazione.
Nel recente passato lo United ha assaggiato il dolce sapore della Premier, rimediando però spesso un retrogusto amaro. In particolare nel 2006–07, quando retrocesse all’ultima giornata e il West Ham non subì alcuna penalizzazione, bensì una multa salatissima, per aver acquistato in maniera irregolare Carlos Tevez e Javier Mascherano. Quella squadra, allenata da Neil Warnock, poteva contare su alcuni buoni giocatori, tra cui il difensore Phil Jagielka (ora nazionale e titolare inamovibile dell’Everton). Con il ritorno nella divisione cadetta la dirigenza è stata costretta a cedere i pezzi pregiati dell’argenteria di famiglia. E le delusioni hanno iniziato a fluire copiose verso il Bramall Lane. I biancorossi sono neo-promossi in Championship dopo oltre un lustro di patemi in League One.
Non che il Wednesday ultimamente abbia fatto molto meglio dei rivali. La casa dei bianco-blu (nati addirittura nel 1867) è dal 1899 l’Hillsborough, a una mezz’ora di autobus dal centro cittadino, a due passi dal parco omonimo e dal fiume Don. A qualsiasi appassionato di calcio quel nome evoca tristi ricordi. Quelli della tragedia del 15 aprile del 1989, quando per colpa delle allora onnipresenti recinzioni, ma soprattutto della gestione delle forze dell’ordine e degli altri addetti ai lavori, 96 tifosi del Liverpool persero la vita nella Leppings Lane, la end destinata ai tifosi in trasferta. Quando abbiamo visitato Hillsborough ci ha fatto un certo effetto vederla dal vivo, senza alcuna barriera di protezione, tutta ricoperta di seggiolini e con un buon manipolo di tifosi del Brighton assiepati sulla parte superiore. Alcuni di loro li avevamo incontrati prima del fischio di inizio, mentre lasciavano le loro sciarpe in segno di rispetto accanto alla stele in memoria dei 96 sfortunati che non tornarono mai a casa quel maledetto giorno della semifinale di coppa contro il Nottingham Forest.
Anche per le Owls i momenti di gloria sono un lontano ricordo (ultimo campionato vinto nel 1930, mentre l’FA Cup numero tre risale al 1935). Ma almeno all’inizio degli anni ’90 hanno vissuto qualche sprazzo di revival. Nel 1991 si aggiudicarono la Coppa di Lega battendo addirittura il Manchester United, poi nel 1993 centrarono entrambe le finali delle coppe nazionali, per perderle però in maniera rocambolesca contro l’Arsenal. Giocava un ottimo calcio, quel Wednesday, grazie ai mille guizzi di classe di Chris Waddle, alla concretezza di Carlton Palmer e alle parate di Chris Woods. Tutti nazionali inglesi ricordati con immenso affetto in una delle case del football di Sheffield. Uno stadio come l’Hillsborough che, al netto di brutti ricordi, con i suoi 40mila posti e la sua struttura classica, ispirata dal lavoro del solito Archibald Leitch, meriterebbe senza dubbio un palcoscenico degno come la Premier.
In questa gloriosa arena si è giocato uno dei derby ricordati con più affetto dai tifosi delle Owls. Era il giorno di Santo Stefano del 1979, lo United dominava in Third Division ma fu travolto 4–0 dai cugini, che così vendicarono un 7–3 datato 1951 che ancora bruciava a non finire. Come il “Boxing Day Massacre”, anche quello degli anni Cinquanta non si disputò nella massima serie, ma “solo” in Second Division. Che importa, in quel di Sheffield la passione per il calcio e per le due compagini cittadine a pochi eguali in tutto il Regno Unito. Provare per credere.
BOX SABELLA
Fino a poco tempo fa era conosciuto quasi esclusivamente per essere stato quello che andò a giocare allo Sheffield United al posto di Diego Armando Maradona. Poi Alejandro Sabella è assurto agli onori della cronaca una volta nominato ct dell’Argentina. Sebbene possa apparire una bufala, quella del possibile approdo di un giovanissimo Maradona al Bramall Lane è una storia vera, verissima. Nel 1978, il manager delle Blades Harry Haslam si innamorò — bella forza — dell’allora diciassettenne Diego. Provò a convincere i dirigenti dell’Argentinos Juniors a cederlo, ma la richiesta di oltre 400mila sterline fece crollare l’affare. Lo United, che in quel momento militava nella vecchia Second Division, preferì rivolgersi al River Plate per portare nello Yorkshire un centrocampista emergente che di nome faceva per l’appunto Sabella. Il nostro eroe fu pagato una discreta cifra — circa 150mila sterline — e nelle due stagioni alle Blades se la cavò abbastanza bene, senza però fare sfracelli, tanto che nel 1979–80 non impedì che il club scivolasse in Third Division. Sabella rimase poi in Inghilterra un’altra stagione, sempre nei paraggi di Sheffield, visto che fu ceduto al Leeds United, dove però deluse le aspettative — troppo veloce e fisico per lui il football della First Division, categoria in cui militavano i Whites all’epoca. Vuoi per il singolare legame con il giocatore più forte della storia, vuoi perché all’epoca fu uno dei primi stranieri a calcare un campo di calcio inglese, a Sheffield ora Sabella è una sorta di personaggio di culto. Gli hanno pure dedicato un libro, dal titolo quanto mai esplicativo “Viva Sabella!”.
Articolo a cura di Luca Manes