Dove sono i tifosi?
Stagione di serie A 2010/2011, media spettatori allo stadio 24136. Stagione 2013/2014, media spettatori allo stadio 23385. Stagione 2015/2016, media spettatori allo stadio 22644. Anno domini 2016/2017, media spettatori allo stadio (fino alla nona giornata) 21346.
Il tifoso sta svanendo, ma non nel nulla. Svanisce progressivamente, annunciando il suo addio a gran voce, mentre lascia vuoto il suo posto non assegnato sul quale prima stava in piedi perché le gambe gli tremavano, poi stava seduto perché la legge glielo imponeva. Si accavallano nella mente le diverse scale di misura con cui ci relazioniamo al passare incontrollabile del tempo: gli anni diventano stagioni, le stagioni diventano partite, le partite diventano un’accozzaglia di frazioni di gioco.
È forse andando ancora a ritroso, nel tempo e tra i ricordi, tra i numeri e le immagini del futuro che si manifestavano splendide e rosee, che in mente ci balena l’ipotesi che possa essere l’inizio della fine.
Non è facile capire quando tutto è cominciato a franare. Tantomeno è facile capire quali siano stati esattamente i motivi, le cause scatenanti. Ci siamo ritrovati, così, all’improvviso a cadere assieme al calcio, a scivolare giù dal pendio che avevamo scalato in pomeriggi soleggiati che duravano decenni. Stiamo franando e non è nemmeno questa la cosa peggiore. Stiamo franando verso qualcosa che non conosciamo, che non vediamo e che non capiamo. Non ancora, almeno. Ci affidiamo supplicanti alle vecchie VHS o a filmati su Youtube che sono copie di filmati che mostrano, fieri, attimi di vite lontane.
Stagione 2005/2006. Sky si affiancava a Mediaset Premium, preparando l’invasione nelle vite degli italiani attraverso il wormhole a cristalli liquidi, in Hd. È l’ultimo anno della Juventus di Moggi e Giraudo prima delle retrocessione in B, il Napoli è stato sbattuto lontano dal calcio che conta per un pugno di mosche mancanti e per mesi il mostro Calciopoli aveva fatto intuire al pubblico che quel campionato sarebbe stato cancellato. È successo all’improvviso, senza che ce ne accorgessimo. Tutto è cominciato a franare.
Come in un effetto domino che sprigiona energia di spinta, via via, sempre maggiore, tutti i tasselli del mosaico calcistico hanno cominciato a venire giù. Mentre cadeva il primo tassello, anche l’ultimo, ignaro, era condannato. Con la perdita dell’innocenza apparente, il calcio italiano ha cominciato a brancolare nel buio, carente di credibilità, supplicante di valori, lontano anni luce dal passato. Progressivamente è aumentato il numero di tifosi da divano, entità deluse dall’epilogo del calcio “per come era conosciuto” ma ancora dipendenti dalle emozioni generate dal pallone che rotola per poter mandare tutto al diavolo. Secondo la ricerca demoscopica realizzata lo scorso anno da Doxa, Repucom e Datamedia (ogni anno la Lega Calcio richiede questa tipologia di studio per organizzare la spartizione dei diritti Tv), dai 31,2 milioni di interessati del 2012 si è sprofondati ai 25,6 del 2013, fino a franare ai 25,1 dell’anno seguente. Nel 2015 si è registrata una risalita confortante: 27,1 milioni di interessati, di cui 23,5 seguono una squadra di Serie A. Tutto ciò è legato ad un discorso di tifo in senso lato. Quando è stato chiesto di specificare il luogo in cui si segue la sua squadra -o il calcio in generale- tra le risposte si è materializzato il baratro in cui il calcio sta cadendo. La frana. Il 92,8% degli interessati nel 2015/2016 segue il calcio attraverso le trasmissioni in Tv. Nel 2012, l’87% degli interessati si lasciava addomesticare dalle trasmissioni in Tv. Nel 2013, il 29,2 % dichiarava di seguire il calcio allo stadio con una certa regolarità. Nel 2015, solo due anni dopo, questa percentuale è crollata al 26,5%. Più salgono i numeri di tifosi da Pay Tv, più crolla il numero di tifosi allo stadio. I numeri riescono ad essere esplicativi e affascinanti, oltre che anonimi, ma se pensiamo che rappresentano “persone presenti allo stadio”, riusciamo a visualizzare la catastrofica frana. Che non si ferma.
La ritualità domenicale è stata sbiadita con candeggina fatta di dirette tv sempre più invadenti. Tutto ciò ha generato caos, confusione di valori, perdita di coordinate tra gli emisferi popolati da giusto e sbagliato, mentre i campionati scorrevano via, infiammati da polemiche a reti unificate e amplificate da opinionisti improvvisati e starnazzanti. La consecutio si è materializzata in quello che è l’imborghesimento e l’incattivimento delle masse -esigue- che ancora popolano gli stadi italiani. Perso il contesto tribale, cancellato il senso di appartenenza ad una sorta di comunità, abbandonata la dimensione lo spazio-temporale della domenica, il tifoso si è trasformato nel mostro televisivo che lo ha ipnotizzato ossessivamente, nel tempo: il tifoso giudice, il tifoso sapiente, il tifoso tecnico-tattico, il tifoso che rivuole quello che dà. Con gli interessi, anche. Costretto alla fruizione di dettagli pixellati, ha abbandonato lo stadio a favore del divano. Ha abbandonato la comunità a favore del privato. Ha rifiutato la condivisione preferendo la proprietà assoluta dell’opinione, della visione, finanche della passione.
Così, principalmente nei big match, -i soli eventi al quale proprio non si può mancare per puro senso di mondanità popolare distante centinaia di chilometri dalla genuina mondanità popolana- lo stadio si riempie di fruitori di un evento. Pubblico pagante, pretendente perché cliente.
L’invasione delle pay Tv ha contaminato lentamente l’amore per il gioco del pallone, andando a modificare il DNA stesso del tifoso e la sua percezione delle cose. Dal 2005/2006, anno della nascita del duopolio Sky-Mediaset Premium, la rappresentazione scenica del calcio ha cambiato radicalmente il senso ultimo di accettazione delle cose. Pensate solo un attimo ad un individuo/tifoso, uomo o donna che sia, tartassato di nozioni verosimili e non necessariamente vere. Immaginate quel tifoso, seduto al centro del suo divano, solo, tra i cuscini troppo freddi per essere accoglienti. Gli viene detto, a volume sconsideratamente alto, che una squadra è più forte di tutte le altre, sette giorni su sette. Gli viene iniettata una verità fantoccio, con video montati perfettamente, in base al quale non esiste partita tra un big team e una neopromossa.
Qual è il risultato? La disaffezione. Sempre meno persone sono disposte a spendere il loro tempo per qualcosa che, inconsciamente, è già svelato, già scritto, già voluto. Capita che il tifoso, drogato, esaltato o depresso dalle Tv, cominci a pretendere quello che l’aspettativa inculcatagli gli suggerisce. Svanisce l’attaccamento ai colori, sparisce il senso di appartenenza, resta solo la rabbia accumulata che rende il tifoso insoddisfatto a prescindere. C’è sempre qualcosa che non va o qualcosa che poteva essere fatta meglio. È l’imborghesimento del tifoso, freddo fruitore di un servizio a pagamento dal quale pretende quello che egli reputi giusto che riceva. Lontano dal gioco, avulso dalla realtà.
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Come a Madrid, quando il Santiago Bernabeu ha fischiato Cristiano Ronaldo, un giocatore capace di segnare 368 goal in 357 partite con la maglia del Real, per qualche passaggio non fatto o qualche tiro sbilenco di troppo. La borghesia da spalti non perdona nemmeno un tre volte pallone d’oro. Quei fischi rimbombano nell’orgoglio, sono come napalm sulla comprensione del calcio secondo i canoni che si è soliti definire “tradizionali”. O forse dovrei dire che si era soliti definirli in quel modo. Il tifoso insofferente si trova nell’ultimo stadio evolutivo, quello che precede l’abbandono. Dello stadio, of course. Come accade all’Emirate Stadium di Londra, casa dell’Arsenal, dove i tifosi si abbonano per il solo fatto di essere sicuri di avere un posto nei big match stagionali. Il resto delle partite in abbonamento? We don’t give a damn! Tuttavia la disaffezione -inspiegabile- ha mandato in tilt i contatori ed i contabili, perché il numero di ticket venduti non corrisponde al numero di spettatori presenti sugli spalti. Sono imbarazzanti, ad esempio, i vuoti a macchia di leopardo sugli spalti dell’Emirate Stadium, in Arsenal-West Bromwich (21 aprile 2016, 2–0). Così come quelli al San Paolo di Napoli o all’Olimpico di Roma dove i tifosi combattono qualcuno o qualcosa a suon di partite boicottate, manifestando rigurgiti d’orgoglio, almeno fino a quando l’iniezione di subalternità alla Juventus confezionata dalle Pay Tv non abbia fatto il suo effetto. È come se si partisse già sconfitti. Al diavolo il campo, resto a casa, pronto a fare zapping.
Come si ferma una frana furiosa ingigantitasi oltremodo? Secondo Futbol Finanzas, la Lega Calcio spagnola avrebbe un piano per risollevare il numero di presenze allo stadio e migliorare il livello generale del calcio spagnolo: introdurre una sanzione economica per tutti i club che non riescono a riempire i propri stadi. Costringere le società a trovare una soluzione minacciandole di colpirle in quella che, ormai, rappresenta l’unica vittoria ambita: il bilancio. Le sanzioni, spiega FF, verrebbero calcolate alla fine della stagione e applicate al tetto salariale che ogni squadra deve rispettare all’interno delle finestre di mercato. Niente tifosi allo stadio? Niente finestre di mercato. Le società per evitare sanzioni che limiterebbero l’acquisto di giocatori sarebbero costrette a incentivare la ripopolazione degli spalti, con piani reali di coinvolgimento. Stadi pieni, meno tifosi da pay Tv, calciomercato libero. Con la ripopolazione degli spalti e il parziale abbandono delle pay Tv, sparirebbe nel nulla dal quale è arrivato il senso di insoddisfazione del tifoso che tornerebbe, così, a rivivere 90 minuti di emozioni, libero da aspettative pompate o limitate dal martellamento psicologico a 1080p. In Italia, solo il Crotone riempie il suo stadio, partita dopo partita. Più si sale in classifica, più si accentua la disaffezione e la frustrazione del tifoso, ad eccezion fatta per lo Juventus Stadium, abbandonato della vecchia generazione di tifosi ma riempitosi dei 2.0, per il quale lo Stadium è stato ideato e costruito. Ma anche in questo caso, l’eccezione non sempre conferma la regola.
Al di là della proposta spagnola, basterebbe guardare a chi ha già trovato soluzioni che funzionino davvero. In Germania, in Bundesliga, ma soprattutto negli States, in MLS, hanno curato il male ancor prima che si manifestasse e tirasse giù tutto, con sé. Il tifoso è stato coinvolto, in prima persona. Fa parte del Club, come socio. Contribuisce, per quanto può, alla crescita del Club, alla sua vita, vincente o anonima che sia. Contribuisce soprattutto alla sua sopravvivenza. Il tifoso è parte integrante dei progetti che i Club decidono assieme ai tifosi stessi. In MLS, la presenza media dei tifosi allo stadio supera di gran lunga la media italiana e francese. Se negli stadi della Ligue 1 mediamente 19697 tifosi assistono alle partite ed in Serie A sono 21346 i presenti sugli spalti, nella MLS sono 21600 i tifosi che popolano gli spalti in un campionato nato soltanto nel 1993. Secondo la Espn, la media di spettatori allo stadio, in MLS, è stata migliorata per il terzo anno consecutivo, a partire dalla stagione 2013/2014, nonostante sia in aumento anche il numero di tifosi che seguono il calcio in Tv. La tutela dell’uguaglianza dei valori delle squadre partecipanti, così come il totale equilibrio con cui le Pay Tv sono tenute a trattare le tematiche di ogni squadra di Club, ha amplificato l’interesse dei tifosi, nonostante il calcio rappresenti — ancora — un’alternativa al football americano e, soprattutto, al basket.
La cultura dell’equilibrio e il coinvolgimento dei tifosi in prima persona ha alimentato la fiamma ardente della passione dei tifosi, per i quali lo stadio è al centro del nuovo mondo che è il calcio. Questo significa stadi pieni, in primis, e coinvolgimento delle Pay Tv per soddisfare i bacini di utenza limitati degli stadi, in secundis. La volontà comune è quella di coltivare il senso di appartenenza, annaffiando i tifosi con tutti quei valori che appartengono al Club e alle città di provenienza, tutelando l’appetibilità di un torneo che, per definizione, nasce e cresce equo e imprevedibile. Il seme è la passione, l’interesse irrefrenabile è il concime, il frutto è il tifoso. Vivo e vegeto. Del resto, come si previene una frana se non piantando una foresta?
Articolo a cura di Saverio Nappo