El Cholo di Sant’Agata

Crampi Sportivi
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7 min readMay 28, 2016

Diego Pablo Simeone arriva a Catania il 19 gennaio 2011. Mentre l’aereo completa le manovre d’atterraggio, la prima cosa che vede, forse, è la sagoma dei palazzoni di Librino. Appena dietro, come una specie di abbraccio, l’ombra scura dell’Etna, minacciosa e incombente. Diego è già stato in Italia, da calciatore. Sa bene che non è estate come in Argentina. Quello che forse non sa è che l’inverno catanese è una stagione mite: il 19 gennaio la minima è di 6 °C, la massima di 17 °C. Quello che, invece, sa sicuramente è che si trova davanti a una sfida grande quanto l’Etna. E sa che questa sfida può essere decisiva per il suo futuro di allenatore. Una svolta, forse: è sulla soglia del calcio europeo, la Sicilia è la sua porta, sta a lui far sì che non si chiuda.

Sotto il vulcano l’hanno voluto Nino Pulvirenti e Pietro Lo Monaco, dopo una prima parte di stagione non esaltante: il Catania lasciato da Marco Giampaolo è una squadra senza identità, a tre punti dalla zona retrocessione. Non il massimo dopo che la stagione precedente, sotto la guida di Siniša Mihajlović, i rossazzurri hanno chiuso con il record di punti in Serie A (45) e con un paio di soddisfazioni come la vittoria in casa della Juve e lo storico 3–1 contro l’Inter di Mourinho.

«A chi mi associa a Mihajlović per il carattere posso dire che di Siniša ho ottimi ricordi ai tempi dell’esperienza laziale. Non so quante similitudini possano esistere tra noi due, imparerete a conoscermi giorno dopo giorno».

La macchina che porta El Cholo dall’aeroporto in hotel lambisce Librino e Villaggio Sant’Agata, quartieri poveri e scarni, grossi palazzi alti e grigi che svettano su vialoni poco illuminati. Attraversa il cuore di San Cristoforo, passando per quella vena pulsante della vita cittadina che è Via Plebiscito, dove l’aria è satura del fumo degli “arrusti e mancia” e del vociare delle persone sedute ai tavolini di plastica che intasano i marciapiedi e a volte finiscono pure sulla carreggiata. Accanto a ogni griglia c’è un omone madido di sudore che brandisce un mazzetto di origano con cui spennella la carne di cavallo con una miscela di olio, aceto e aromi. Somigliano tutti a stregoni che stanno officiando un rito pagano. Simeone non può non provare una strana nostalgia mista a un senso di istintiva familiarità: quello che vede non è l’asado, ma ci somiglia molto.

Gli occhi di Simeone si soffermano su un poster gigante di Sant’Agata che copre quasi tutto il fianco di una casa, vicino alla Torre del Vescovo.

El Cholo ha quarant’anni. Da quattro è allenatore: ha vinto un Campionato di Apertura con l’Estudiantes e un Clausura con il River Plate. In mezzo ai trionfi, ci sono stati però risultati mediocri (al River Plate e al San Lorenzo), zone grigie che potrebbero metterne in discussione il valore. Quando ha lasciato l’Argentina, Simeone sapeva che andare in Europa, in una squadra per nulla blasonata e in lotta per non retrocedere, sarebbe stato un rischio. Una scommessa con poche chance di vittoria. Un altro, forse, avrebbe declinato l’offerta etnea. Avrebbe aspettato un po’, magari un paio di stagioni ancora nel campionato argentino, continuare a farsi le ossa e ad accumulare esperienza prima di attraversare l’Atlantico.

Il fatto è che El Cholo sa che senza rischi non si cresce né come allenatore né come essere umano. Senza rischi non può completare l’apprendistato. Per diventare grande, deve inevitabilmente alzare l’asticella, deve accettare sfide ancora più difficili. E Catania sembra lo scenario perfetto.

Oltre a questo, ci sono altri due fattori che possono aver influito su una scelta apparentemente suicida. Uno è poter contare sui suoi collaboratori fidati: il connazionale Germán Adrián Ramón Burgos, vice allenatore, meglio noto come El Mono, e l’uruguayano Óscar Ortega, preparatore atletico, detto El Profe. Burgos è più di un vice. È la persona che vorresti accanto durante una battaglia: grande e grosso, pesa 120 kg (al primo allenamento scommette con alcuni giocatori che ne perderà 20); una roccia a cui aggrapparsi, soprattutto nei momenti di difficoltà. Uno stratega che mette la sua esperienza di ex portiere al servizio di ingegnosi schemi sulle palle inattive: è un amico e un confidente, tanto che ai tempi dell’Atlético Madrid, stagione 2003/2004, Simeone e Burgos erano compagni di stanza).

El Profe Ortega è il cardine su cui si regge l’idea di calcio di Simeone: senza una preparazione fisica adeguata, sarebbe improbabile, per un giocatore, sobbarcarsi l’intensità, il dinamismo e il sacrificio richiesti dal Cholo.

https://www.youtube.com/watch?v=JnIT840W6nk

Una delle dimostrazioni per cui El Mono è sempre utile.

Le prime quattro partite sono pessime: il Catania ottiene solo un punto. Tanto valeva tenersi Giampaolo, dicono alcuni. Simeone non ha esperienza, dicono altri: la Serie A è un’altra cosa rispetto al campionato argentino. I catanesi hanno una strana propensione al disfattismo, come se volessero confermare a loro stessi che in fondo in fondo la vita è davvero una merda. El Cholo incassa le critiche, lo sguardo serio e concentrato, la fronte perennemente attraversata da tre rughe, sia in allenamento, quando indossa la tuta azzurra con il numero 99 stampato vicino al petto, che in panchina, con quel completo scuro che ne ribadisce l’autorevolezza. Ha bisogno di tempo per fare in modo che la squadra assimili il suo gioco.

Giampaolo usava uno strano 4–1–4–1. «Non voglio fossilizzarmi su un modulo» dice El Cholo, che preferisce oscillare tra un 4–2–3–1 e un 4–3–1–2, con un giusto mix di muscoli e cervelli a centrocampo, una punta centrale che sappia far salire la squadra e aprire spazi per gli inserimenti, degli esterni votati al sacrificio. Per questo, Simeone ha bisogno di tempo per vedere i risultati del lavoro del Profe sui suoi giocatori. Soprattutto, ha bisogno di tempo per trasferire il suo carattere ai rosso-azzurri. Per imporre la sua leadership e il suo carisma. Ma il tempo scarseggia.

La svolta arriva il 13 febbraio. Il Catania sta perdendo in casa, contro il Lecce. Dopo il momentaneo vantaggio di Silvestre, nato da uno schema messo a punto da Burgos, i salentini si sono portati sul 2 a 1. Ma è cambiato qualcosa. Il Catania, adesso, somiglia davvero al suo allenatore. Soffre, aggredisce, attacca. Il pareggio arriva con una punizione di Lodi, che da una posizione piuttosto decentrata al limite dell’area traccia una parabola a metà tra classico della fantascienza e Rinascimento. A cinque minuti dalla fine arriva un’altra punizione dal limite, questa volta più centrale. Lodi calcia forte sul palo del portiere. La palla si abbassa repentinamente e beffa Rosati. Sono i primi tre punti di Simeone da quando allena il Catania.

https://www.youtube.com/watch?v=2gKm8025f7k

Da questo momento in poi, fino alla fine della stagione, il Cibali diventa il fortino in cui El Cholo costruisce la salvezza: 18 punti su 21 (unica sconfitta contro la Lazio). «Per noi il fattore campo è molto importante: la forza che ti dà la gente è un qualcosa in più, che i ragazzi sentono. Però per fare un salto di qualità dobbiamo prenderci qualcosa fuori, non possiamo aspettare ogni volta di giocare in casa».

Quel qualcosa fuori, a fine campionato saranno solo cinque punti. Ma ci sono due trasferte memorabili. Una è un pari all’Olimpico di Torino, contro la Juve: sotto di due gol, i ragazzi del Cholo attaccano con coraggio, si espongono a qualche rischio e trovano il 2–2 nei minuti di recupero grazie a una punizione di Lodi, arma letale potenziata dagli schemi messi a punto dal Mono: «Abbiamo visto una possibilità per poter ricominciare, nella vita bisogna saperlo fare».

https://www.youtube.com/watch?v=Iu1dDAZk4x0

In mezzo a queste due partite, però, ce n’è una ancora più importante. Più importante di una salvezza. Più importante di una vittoria su una grande squadra.

A Simeone piace passeggiare, la sera, con i suoi collaboratori. Passeggiano al lungomare, guardano lo Jonio e con lo sguardo tracciano il profilo frastagliato della scogliera. Parlano di calcio, continuano a farlo anche quando sono lontani dal campo. È fine marzo, tra pochi giorni c’è il derby contro il Palermo, il primo con i tifosi ospiti dopo l’apocalisse del 2 febbraio 2007. La sconfitta dell’andata è una ferita aperta, El Cholo lo sa.

I piani di Simeone e dei suoi collaboratori passano dalle lavagnette al campo da gioco con precisione e puntualità. Il Catania si difende compatto, lascia pochi spazi ai rosanero ed è lesto a ripartire e a colpire in contropiede sfruttando i piedi buoni di Lodi e Ricchiuti e i movimenti di Maxi López, che apre spazi per gli inserimenti dei compagni. Il 4–0 finale è un capolavoro.

https://www.youtube.com/watch?v=pRzlw1UbTvE

Da Pesce a Griezmann, il passo è breve.

Simeone resta a Catania per quasi cinque mesi: 17 partite in totale sulla panchina rosso-azzurra, con 21 punti realizzati sotto la sua gestione, nonché 46 totali e nuovo record per il Catania in Serie A. Il primo giugno El Cholo rescinde il contratto che lo legherebbe agli etnei per un altro anno. Qualche giorno dopo attraversa la città per andare a Fontanarossa. Passa di nuovo per San Cristofoto, osserva i segni delle passioni cittadine sui muri: gigantografie di Sant’Agata e murales celebrativi della promozione in Serie A di cinque anni prima, la religione vissuta con fervore tipicamente calcistico e il calcio vissuto con la dedizione di una fede.

https://www.youtube.com/watch?v=jvYwGWa2vOs

Durante la fase di decollo, forse, Simeone guarda la sagoma dei palazzoni di Librino. E l’abbraccio dell’Etna non è più minaccioso. El Cholo sente di aver vinto la sua sfida. E di aver raggiunto la maturità sia come allenatore che come persona. Sta tornando in Argentina, al Racing de Avellaneda. Ma la porta del calcio europeo, per lui, resta spalancata.

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