La rivoluzione liberale, ovvero l’Empoli di Andreazzoli

Gianmarco Lotti
Crampi Sportivi
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6 min readMay 3, 2018

Nonostante tutti i pregiudizi sulla Toscana patria rossa, Empoli non è una città portata per le rivoluzioni. Chi abita qui ormai si è abituato alla tranquillità della provincia. E non è neppure una questione politica: Empoli la sua anima partigiana l’ha ben chiara e marchiata sulla pelle, solo che non è nella sua ribellarsi all’ordine costituito. Perché? Per due semplici motivi.

Il primo: solitamente all’empolese l’ordine costituito va bene. Il secondo: la polemica rimane sempre migliore dell’azione.

A Empoli e nell’Empolese Valdelsa piace l’abitudine: il caffè e l’aperitivo sempre nello stesso bar, il giro in centro il sabato pomeriggio, il parcheggio nel medesimo posto da anni (anche se ormai non è più consentito). Gli stravolgimenti sono roba da quotidiani nazionali, da romanzi o al massimo da televisione. Può essere terra di rivoluzionari, ma non di rivoluzioni. Fermo restando questo concetto, arriva l’eccezione che conferma la regola: l’Empoli Fc.

‘Addio alla provincia rossa’ è un libro che vi consiglio

A maggio 2017 l’Empoli è retrocesso in Serie B dopo un girone di ritorno che ha dato adito a sospetti e dietrologie ma che, in realtà, ha mostrato un’unica grande verità: per la prima volta l’Empoli aveva sbagliato tutto, dal mercato allo spogliatoio, passando per le scelte in corsa. Quella prima volta è rimasta un unicum, per la gioia dei tifosi azzurri, anche per via della rivoluzione di cui sopra. Fabrizio Corsi, presidentissimo empolese fin dai tempi di Fantastico e Drive In, ha scelto di cambiare quasi tutti i giocatori e anche un po’ di dirigenti.

Se ne è andato Marcello Carli, che è un po’ come spostare il Pirellone in Molise, mentre è arrivato Andrea Butti, figura importante nel Triplete dell’Inter. Via Martusciello, dentro Vivarini. Nel corso della stagione, poi, via il responsabile del settore giovanile Bertelli ed ecco il tandem Innocenti-Cecconi (quest’ultimo in seguito dimessosi per motivi personali). E di nuovo, via Vivarini e benvenuto Aurelio Andreazzoli. Un andirivieni in cui in pochi ci hanno capito qualcosa, almeno fino a poche settimane fa, quando si è capito che l’Empoli in Serie B sarebbe durato quanto da Natale a Santo Stefano.

L’amore dei tifosi non è mai sopito

L’Empoli di Andreazzoli è stata la rivoluzione perfetta. Una rivoluzione liberale, se cosi si può definire, citando Piero Gobetti. L’Empoli ha preso piena coscienza delle sue tradizioni storiche e ha fatto l’Empoli. Difesa a quattro, talenti semi-sconosciuti (a chiunque non abbia mai messo piede al Castellani), possesso palla. Andreazzoli ha fatto meglio quel che aveva fatto bene Maurizio Sarri pochi anni fa.

Ha sfruttato una rosa forse migliore di quella del figlinese, soprattutto dal centrocampo in su: Caputo e Donnarumma hanno un cinismo diverso da Maccarone e Pucciarelli/Tavano, Zajc è tutta un’altra pasta rispetto a quel Verdi e a Pucciarelli, tra Krunic e Signorelli non c’è paragone, Castagnetti è meno calcolatore e più sudamericano di Valdifiori. Forse la difesa è l’unico reparto peggiore, soprattutto se si considera che i titolari di allora (Tonelli, Hysaj, Rugani, Mario Rui che si alternava con Laurini) si stanno lottando lo Scudetto. La promozione in Serie A non era un obbligo, ma lo è diventato con le scelte invernali della dirigenza. In definitiva, è stata più una formalità che altro.

Ci sono stati due Empoli nel 2017–18. Il primo, targato Vivarini: 3–5–2 e pressing offensivo, ricerca del ritmo a ogni costo anche quando il ritmo lo dettavano le avversarie. Un Empoli divertente, ma troppo istrionico e sconclusionato: a un attacco sostanzioso si contrapponeva una difesa lacerata dalle azioni dei rivali. Un esempio dell’Empoli di Vivarini è la sconfitta di Venezia, in cui i toscani dominano ma alla fine prendono un gol ridicolo all’ultimo minuto in contropiede.

Vivarini non era il tecnico giusto? Probabilmente lo era, ma aveva bisogno di un ambiente differente e di tempi più dilatati. Si è dimostrato un uomo di spessore, secondo molti tifosi, ma la sua cocciutaggine sulla difesa a tre e sull’impiego sbagliato di Krunic e Zajc è stata decisiva. Ha fatto da cuscinetto per qualche mese, ha avuto il merito di riportare un po’ di entusiasmo (e di gol) dopo la peggior annata dell’era Corsi. Il suo esonero ha fatto gridare al Tso, ma alla fine ha avuto ragione il presidente, per l’ennesima volta.

Andreazzoli ha rivelato che farà una cover con il soprannome Nonno Aurelio

Il secondo è arrivato col freddo, come in 007. L’Empoli era in zona promozione, è arrivato Andreazzoli e lo ha trasformato nella Juventus della Serie B. Nonno Aurelio, come lo hanno subito chiamato i tifosi, ha riportato i dettami del gioco di Sarri. Nemmeno due giorni dopo il suo approdo, l’Empoli ha pareggiato col Brescia ma si è vista una squadra diversa: palla bassa, verticalizzazioni, difesa in linea e mezzali essenziali in fase di costruzione. Con Andreazzoli Krunic, solitamente terzo di centrocampo, in fase di possesso del portiere si abbassa per prendere il rinvio e riparte, magari dando la palla subito in avanti a Zajc.

Un Empoli geometrico così non si vedeva da Sarri, ma Andreazzoli l’ha reso migliore. Se l’attuale tecnico del Napoli aveva il pallino del dominio del match, con l’ossessione del fraseggio, Nonno Aurelio spesso ha preferito aspettare e giocare più a folate. Non è un caso se, soprattutto nella parte finale della stagione, l’Empoli ha segnato serie di due o tre gol in pochi minuti. Quando premevano sull’acceleratore, gli azzurri sembravano davvero la Juve di Allegri.

La rivoluzione è stata anche caratteriale: se l’anno scorso l’Empoli era un’ameba, con Vivarini è diventato lunatico, mentre Andreazzoli gli ha dato rigore.

Il tecnico massese, come tutti gli amanti della bicicletta, fa dell’organizzazione il suo vanto. Una summa di ciò che ha dato all’Empoli si ha nelle prime due interviste post-partita della sua esperienza azzurra. Dopo il primo pari col Brescia è arrabbiato, mette sotto torchio i giocatori nonostante il Natale alle porte e arriva a Perugia dove vince 4–2 e mostra il calcio più spumeggiante dei primi mesi di B. È un Empoli ancora embrionale quello del Curi, ma nel gelo artico dello stadio umbro Andreazzoli è un fungo di quelli che vengono messi fuori dai locali per irradiare calore. Ha visto una squadra più veloce, più furba, più motivata. Al Curi sorride per la prima volta, tradendo per un attimo la sua somiglianza con Daniel Craig. Da allora: 4 gol al Bari, 4 gol al Palermo, 4 gol al Parma, 4 gol al Frosinone. Tutte squadre che i quotidiani sportivi italiani incensano da agosto, quando nelle griglie per la promozione mettevano l’Empoli a rischio play-off.

La famosa esultanza a Bari

Un capitolo a parte meritano Caputo e Donnarumma. L’Empoli ha ammazzato la Serie B anche grazie a loro due. Perché si può giocare bene e non segnare, ma se si gioca bene e si hanno due attaccanti così allora tutto è più facile. Sono stati un corpo e un’anima fin dall’inizio, fino ad arrivare a segnare 45 gol in due a tre giornate dalla fine. Se Caputo ha più l’istinto da bomber, Donnarumma è una seconda punta leggermente più tecnica. L’impressione, però, è che ognuno abbia imparato qualcosa dall’altro: Caputo ha iniziato a spaziare su tutto il fronte e a fare da assist-man, Donnarumma è diventato più rapace e istintivo. I due hanno maturato una grande amicizia anche fuori dal campo: a Empoli non è raro vederli assieme in centro. Magari bevendo una birra, dato che Caputo non ha portato solo gol: è sbarcato con la sua Pagnotta Terruar, fatta con pane di Altamura. Il presidente ha avuto modo di degustarla nella festa promozione, sobria ma allegra.

Uno dei pregi della città è proprio quello di vivere senza pressione, neppure quando manca un punto alla promozione in Serie A. C’è stata un po’ di maretta dopo la retrocessione e la cattiveria social l’ha fatta da padrona, ma — è bene ripeterlo — Empoli non è posto da cambiamenti repentini. Se però la rivoluzione si aggancia al passato e l’Empoli torna a essere l’Empoli, a fare l’Empoli — comprando Imperiale e Di Lorenzo e non Gilardino, per dire — allora del rovesciamento non si ha neppure traccia. Se poi questa sovversione porterà a un nuovo stadio entro il 2020, chi lo sa, magari anche gli empolesi potranno vivere una novità così clamorosa come una normalità.

Sta di fatto che in un anno è cambiato tutto per l’Empoli Fc, eppure i sentimenti sono quelli di un tempo. Nonno Aurelio è l’uomo giusto per tornare a fare bel calcio in Serie A, a prescindere dalla posizione finale, come è sempre stato nella massima divisione per gli azzurri. È stato l’uomo giusto per fare un serio bagno di umiltà dopo il 2016–17: «Forse non ci rendiamo conto di quello che abbiamo fatto e come, forse ce ne renderemo conto un po’ più avanti, ma è un’impresa da ricordare».

Magari non c’entra nulla, ma secondo me questa è la colonna sonora della stagione dell’Empoli

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Gianmarco Lotti
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Nel 2010 è stato inserito nella lista dei migliori calciatori nati dopo il 1989 stilata da Don Balón - @calcionews24 @gonews_it