La squadra più odiata d’Italia

Gianmarco Lotti
Crampi Sportivi
Published in
8 min readJun 8, 2017

L’Empoli delle ultime stagioni ha avuto come sceneggiatore Vince Gilligan. Alla stregua di Walter White, l’Empoli si è presentato in sordina al grande calcio con l’ingenuità e la simpatia di una provinciale di passaggio, mano a mano ha acquisito più confidenza. I toscani si sono imposti al pubblico italiano come una piacevole sorpresa e poi come una conferma. A un certo punto, però, da personaggio buono è diventato improvvisamente villain. È successo nell’autunno del 2016, quando lo spin-off Crotone ha preso il sopravvento. Da allora l’Empoli è stato disprezzato come Walter White nella seconda parte dell’ultima stagione di Breaking Bad. L’Empoli si è scoperto Heisenberg ma, a differenza di WW, non è riuscito a reggere il peso di cotanta responsabilità. È retrocesso nell’ignominia totale, odiato e vilipeso da tutti coloro che dicono di amare il calcio. L’ultimo frame della stagione è Daniele Croce disteso sul prato del Barbera, gli occhi fissi sulla telecamera che si alza e sfuma. Retrocesso, solo, battuto, schernito. Si è salvato il Crotone, viva il Crotone!

Viviamo in un’epoca in cui ogni notizia ha tre gradi di commento: la sterile polemica razziale, l’insegnamento deontologico, la bile. Negli ultimi tempi i travasi sono aumentati, tanto che ogni pagina che si rispetti ha almeno un post ogni due in cui c’è il commentatore violento di turno. Questo è successo anche all’Empoli. Andate a vedere la pagina ufficiale degli azzurri: dalla vittoria di Firenze in poi non c’è stato post in cui un tifoso di qualsiasi squadra non andasse a offendere. L’Empoli non valeva nulla, l’Empoli era una squadra scarsa, l’Empoli non meritava niente di buono. Poi giù offese e cattiverie, un qualcosa a cui gli azzurri non sono abituati. Sì, ok, c’è stata la polemica dello striscione sui vaccini, ma non è normale che solo quella scritta abbia fatto nascere questo profondo odio nei confronti dell’Empoli.

…anche chi di calcio non ne capisce nulla, ma comunque ha voluto passare alla storia dei social con un commento sprezzante ha avuto questo barlume di notorietà.

Fino all’anno scorso, Empoli era la bella realtà di provincia che si specchiava nel settore giovanile e nella tranquillità della sua metà classifica — inaspettata ma non troppo — ; oggi è l’untore. Il Crotone ha fatto una rimonta straordinaria e un girone di ritorno meraviglioso, sospinto quasi da tutta Italia. L’Empoli invece è rimasto al palo, fermo. Il problema poi è stato che non si sono messi di mezzo solamente i social network, anche alcune famose penne del giornalismo italiano hanno derubricato l’Empoli a squadra che non meritava la Serie A. Addirittura qualcuno ha scritto “basta con la retorica della città del carciofo”, come se l’Empoli da venti anni si divertisse a fare la voce grossa in Serie A: è sempre stato zitto e buono, non ha mai preso troppe posizioni scomode, non ha mai dato fastidio sul serio. Non per vigliaccheria, ci mancherebbe, ma per carattere. Forse troppa umiltà ha portato l’Empoli a non essere quasi mai al centro della scena, anche se poi quest’umiltà è venuta meno. La retorica, semmai, viene fatta in relazione ad altre squadre, piene di giocatori squalificati (nel migliore dei casi) per calcio-scommesse. Ma è un’altra storia, si rischia il populismo.

L’Empoli è diventato la squadra antipatia senza nemmeno fare niente per rimanere antipatica. Come Walter White ha continuato a perpetrare il suo fine, ma è cambiato il modo in cui gli altri hanno iniziato a vederlo. È rimasta la squadra di provincia — ma con sostanziali differenze rispetto agli anni scorsi, le vedremo più avanti — che fa le feste al circolo di Spicchio assieme ai tifosi, ma gran parte d’Italia ha iniziato a detestarla. E allora viene da chiedersi perché, per quale motivo l’Empoli sia arrivato a questo punto. La risposta c’è, ma è complessa.

L’amore è come la luna: se non cresce, cala.

Innanzitutto l’Empoli ha giocato il calcio peggiore di tutta la Serie A. A maggio 2016 la squadra, reduce dal capolavoro Sarri e dal miracolo Giampaolo, si è trovata decima con un gioco spumeggiante fatto di fraseggi corti e verticalizzazioni. In estate è cambiato tutto. Marcello Carli è passato a fare il dg, Pietro Accardi il ds, ma i risultati sul mercato sono stati disastrosi. Non è stato preso un giocatore in grado di sostituire Paredes, in attacco è stato comprato un Gilardino sempre più sul Sunset Boulevard, in difesa si è tentata la via dell’esperienza con Bellusci e Costa. E qui l’Empoli ha toppato, perché gli anni prima ha preso giocatori sempre funzionali a un possesso palla sbarazzino e a ripartenze intelligenti, e invece quella freschezza è venuta meno. Un po’ perché c’era chi voleva andare via e non c’è riuscito — o c’è riuscito tardi — e un po’ perché il modo di giocare è diventato prevedibile. C’è chi punta il dito anche sulla preparazione ed evidentemente qualcosa dal punto di vista fisico non è andato benissimo: molti infortuni muscolari con rientri indefiniti, squadra sempre stanca nell’ultima parte di partita, cali vertiginosi tra un tempo e l’altro.

Il cambiamento più grande è stato in panchina. Giovanni Martusciello ha preso il timone, il presidente Fabrizio Corsi ha rischiato puntando su un prodotto di Empoli e dell’Empoli, ma alla fine la scelta non ha pagato. Sia ben chiaro: col materiale che aveva a disposizione, Martusciello non poteva ripetere le salvezze tranquille dei predecessori, ma è riuscito nell’impresa di retrocedere pur avendo avuto undici punti di vantaggio sulla terzultima. Va da sé che, se una squadra si fa rimontare un divario simile, il problema principalmente è mentale. E proprio questa è la colpa principale di mister Martusciello: non aver dato un carattere vero e proprio alla squadra, o almeno non averglielo dato quando contava. La tenacia tipica di Bello Guaglione in campo, non si è vista in panchina. Un dato su tutti: in 38 partite, l’Empoli ha ottenuto un solo punto dalle situazioni di svantaggio. La sensazione di resa ha accompagnato l’Empoli per tutta la stagione. E non a caso ogni qual volta la squadra subiva un gol, ne arrivavano subito altri due o tre. Non ha convinto neppure la gestione del finale di stagione, il trincerarsi dietro ritiri e allenamenti a porte chiuse: non era mai successo, i risultati sono stati disastrosi.

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Retrocedere dopo aver vinto a Firenze (per un empolese sbancare il Franchi è la gioia più grande possibile, per chi non lo sapesse) e a Milano contro il Milan è un duro colpo. Poi ovviamente i commentatori di cui sopra hanno ormai deliberato che l’Empoli quelle partite le ha comprate, perché troppo scarso per vincerle davvero. Non vale la pena rispondere, anche perché se l’Empoli avesse avuto i soldi immaginati dagli haters, molto probabilmente li avrebbe spesi per una punta o un centrocampista, fidatevi. Ma torniamo alla squadra. La cocciutaggine di Martusciello a un certo punto sembrava aver dato i suoi frutti, quel 4–3–1–2 era riuscito a far breccia nel gruppo e a quattro giornate dalla fine il quadro era quasi idilliaco. Ma in sole tre partite sono venuti fuori tutti i problemi azzurri.

Il primo: il gioco. La squadra ha cercato la via del bel gioco pur non riuscendoci. Con le caratteristiche dei giocatori in rosa, l’Empoli doveva giocare a fare le barricate, come si suol dire, e invece si è snaturato, rischio mortale per le piccole squadre. Bellusci e Costa non sono stati quei difensori dai piedi fini abili a impostare la manovra, men che meno Dioussé, passato in un anno da delizia del vivaio a regista fallito — è giovane, come mezzala si rifarà. L’attacco troppo spesso è parso abulico e svogliato, e qui si arriva al secondo problema: la mentalità. Stiamo parlando di Empoli e suona strano dover dire una cosa del genere, ma ormai la piazza e i giocatori non erano più abituati a lottare col coltello tra i denti per la salvezza. In fase di mercato sono arrivati giocatori in prestito che sarebbero tranquillamente tornati nelle loro big a fine stagione, questo forse ha influito. Mentre il Crotone ha giocato ogni partita come se fosse stata Fuga per la Vittoria, l’Empoli ha agito quasi da sornione, beandosi del fatto che comunque si sarebbe salvato. E invece non è andata così, la classifica di Serie A è lì a ricordarlo, impietosa. Se poi si aggiungono i fatti di cronaca (Buchel che picchia un vicino, le liti coi tifosi, la presunta rissa con Levan), allora si ha la stagione più travagliata della storia dell’Empoli.

Un giorno i tifosi dell’Empoli vedranno questi highlights e tireranno un sospiro di sollievo per un brutto ricordo ormai lontano.

Il terzo problema è una conseguenza del primo e del secondo, perché l’Empoli ha perso la sua vera natura. Si è sempre vantato di essere una squadra giovane con molti elementi dal vivaio ma, alla fine, quasi niente di tutto questo si è visto nel 2016–17. E il ‘quasi’ è dovuto solo alla presenza di Pucciarelli, Pelagotti e Dioussé in campo e all’esordio di Jakupovic. Una squadra abituata a tirar fuori giocatori dal nulla (Croce, Valdifiori, Mario Rui, ma anche Rocchi o Bresciano) o a portare in prima squadra i gioielli del centro sportivo di Monteboro (Rugani, Tonelli, Hysaj, Eder e altri), si è trovata di punto in bianco a far crescere i giovani delle altre. E poi può andar bene se i giovani sono Zielinski o Paredes, non se si tratta di Tello e Mauri. L’età media si è alzata paurosamente, tanto che a salvare la squadra nelle ultime giornate ci hanno pensato Croce e Pasqual, un po’ meno Maccarone. Il buon Mchedlidze non è più un ragazzino e, nel momento decisivo della stagione e della sua carriera, è sparito per un infortunio. L’unico a salvarsi in tutto e per tutto e a uscire indenne da questa annata è stato Lukasz Skorupski, senza il quale l’Empoli probabilmente sarebbe retrocesso a pari punti col Palermo.

Il gioco orrendo, le grane caratteriali, la perdita della naturalezza: tre ingredienti che hanno dato vita alla peggior stagione dell’Empoli dell’era Corsi. E che hanno reso l’Empoli la squadra più odiata d’Italia, almeno sui social network. Il cattivo Empoli contro il buon Crotone, la sceneggiatura perfetta per quelle pagine che vivono di contenuti altrui perché l’originalità ormai è un concetto superato. Però a Empoli si sono già cosparsi il capo di cenere e hanno iniziato a lavorare per il futuro. C’è chi chiede le dimissioni di tutti, ma ancora non ha capito che chiedere le dimissioni è uno dei gesti più beceri dei nostri giorni. C’è addirittura chi ha esultato all’addio di Marcello Carli: 25 anni di Empoli, una crescita rapida e ripida, un ciclo da direttore sportivo che ha portato l’Empoli sui media internazionali. Non si può giudicare la storia per una stagione storta, per di più vissuta da non protagonista.

Si lavora per lo stadio nuovo, che si farà nonostante la Serie B. Si lavora per il nuovo allenatore, perché Martusciello probabilmente andrà alla corte di Spalletti. Si lavora per restituire credibilità a una squadra che ne ha persa molta dopo una retrocessione simile. E proprio dal rapporto con Empoli deve ripartire Corsi, uno abituato a rifondare e a iniziare da capo. Ripartire da Monteboro, ripartire dai giovani, ripartire dall’Empoli che indossa la maglietta “con poco si fa tanto”. Togliersi quell’impercettibile patina di contadini arricchiti che girano per il paesello con il macchinone, farsi di nuovo un bagno nell’umiltà. A Empoli riesce benissimo. Poi un nuovo progetto, fatto di giocatori che vogliono rilanciarsi, magari con un allenatore interessante come Moreno Longo, sosia non ufficiale di Federico Buffa. Il ritorno in Serie A non è un’ossessione, ma tornare a farsi ben volere — se non amare — è un punto cruciale per il nuovo corso. Il ruolo di squadra più odiata d’Italia lasciamolo ad altre.

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Gianmarco Lotti
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Nel 2010 è stato inserito nella lista dei migliori calciatori nati dopo il 1989 stilata da Don Balón - @calcionews24 @gonews_it