Epica sannita

Crampi Sportivi
Crampi Sportivi
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3 min readJun 12, 2017

Iliade, libro ventitreesimo. Patroclo è morto e Achille, tormentato più che mai, porta a termine il rituale funebre che l’amico, da eroe qual è, merita. Subito dopo però succede qualcosa che ora ci interessa di più. Lo stesso Achille proclama l’inizio dei giochi funebri in onore di Patroclo. Siamo davanti alla prima narrazione sportiva della storia e Omero — quasi antesignano di un moderno Gianni Minà — ci racconta le gare, i premi, i vincitori. Non è un caso che sia proprio l’epica a raccontare per la prima volta un evento sportivo, seppur immaginario. Vediamo perché.

Havelock parla della poesia epica come di “enciclopedia tribale”, cioè di una sorta di grande contenitore con dentro i valori e tradizioni della società di cui è espressione. È come se tutti gli individui di un popolo potessero dire, rileggendo l’epica propria della loro cultura, “Sì, questo è mio: mi ci rivedo”. Jorge Luis Borges, uno dei più grandi intellettuali del secolo scorso, parlando degli Americani diceva:

Non hanno un’epica, oppure quella che hanno è particolarmente tragica. Hanno quindi sostituito la carenza di quest’epica storica con le narrazioni della loro contemporaneità e in quel momento hanno creato una cultura sportiva.

Ecco, qui c’è il legame di prima, quello di Havelock, cioè il senso di appartenenza di un popolo nei confronti di qualcosa, spesso di un evento che poi diventa narrazione. Ed ecco allora lo sport. L’esaltazione, specie in quelli di squadra, di valori comunemente accettati e la celebrazione di avvenimenti comunitari. Borges però, stranamente per essere un argentino, odiava il calcio, pensando che fosse connaturata a questo sport una sorta di idea di supremazia, che lui non riusciva a sopportare. Sapeva anche però come non fosse uno sport normale e quanto fosse legato alla dimensione popolare, inteso proprio come elemento della comunità. Ecco, in questo fu perfettamente argentino. Non a caso è sua la frase geniale:

Ogni volta che un bambino prende a calci qualcosa per la strada, lì ricomincia la storia del calcio.

Noi non siamo americani; mettiamo i jeans, anche se in realtà il tessuto fu creato a Genova; ogni estate ci facciamo bombardare da tormentoni con testi che non capiamo bene e sicuramente nella nostra collezione di dischi o film la maggior parte sono americani. Ma no, noi non siamo americani. Noi l’epica l’abbiamo: è quella classica, è quella proprio dell’Iliade, o dell’Odissea, dell’Eneide. Ma la sentiamo più come tale? Abbiamo ancora il legame che ci dovrebbe essere con quel tipo di testi? Io non credo e penso pure che sia normale, perché non sono un prodotto né direttamente della nostra cultura né di una cultura vicina alla nostra. Forse anche noi ci rifacciamo ad un’epica moderna, senza volerlo, perché queste cose non si pianificano, e forse è proprio lo sport quello che dà le spinte più grandi in questa direzione.

Lo sappiamo tutti cosa è successo la sera di due giorni fa, non c’è bisogno di raccontarlo, è ancora fresco. Quello che mi interessa di più quasi è il contorno, la ricezione dell’avvenimento, che da semplice evento sportivo viene elevato a qualcosa di più grande. All’epica. Non starò qui a dire che Achille in uno contro uno con Lucioni, “pie’ veloce” quanto vuoi, sarebbe stato fermato a ogni azione (ma lo sappiamo tutti che è così), ma che tutta quella gente in piazza, quegli sconosciuti che si abbracciavano, quei “non ci credo ancora”, non sono stati altro che il timbro posto sul ricordo di quello che è successo e che mette quella sera sullo scaffale di una libreria immaginaria con la targhetta grande con su scritto: “Epica”. Non è denigrare la letteratura classica, guai a me a farlo, ma è capire che ci sono momenti che incidono sull’immaginario collettivo e che lo plasmano quasi. Giovedì sera, sia allo stadio che al passaggio del pullman dei giocatori (portati in trionfo proprio come i vincitori degli antichi giochi olimpici, come quelli dell’Iliade di prima) noi da sotto cantavamo: “Mammà, si nu suonno sto facenn nun me scetà.” Ragazzi, quello non è un sogno, è epica.

Articolo a cura di Corrado Tesauro

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