Essere Adem Ljajic

Crampi Sportivi
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12 min readAug 18, 2016

Per comprendere fino in fondo un giocatore come Adem Ljajić, forse bisognerebbe essere Adem Ljajić. Potersi mettere nei suoi panni, magari per 15 minuti, entrando in una piccola porticina nascosta al 7° piano e ½ di un edificio ancora da scoprire, così come accadeva a John Malkovich nel film di Spike Jonze. In alternativa, ciò che possiamo fare è contemplare la carriera di questo giocatore che deve ancora compiere 25 anni, ma che può già essere definita una roller-coaster ride, considerando tutti gli alti e bassi che la compongono.

Adem Ljajić nasce il 29 Settembre del 1991 a Novi Pazar, in Serbia. I genitori di Ljajić sono bosgnacchi, una popolazione slava convertitasi alla religione musulmana durante il periodo dell’occupazione ottomana in Bosnia. Adem segue la religione dei genitori, l’Islam, un dettaglio non da poco considerando che la Serbia è un Paese per la stragrande maggioranza di fede cristiana ortodossa.

Novi Pazar è da sempre un crocevia di culture, ma Novi Pazar non è la Serbia. E il Sangiaccato, zona in cui la città è situata, ha storicamente rapporti tutt’altro che distesi con Belgrado. La carriera del giovane Adem inizia perciò già in modo, per così dire, interessante, perché dopo essere cresciuto calcisticamente nell’FK Josanica, piccola squadra di Novi Pazar, si trasferisce proprio nelle giovanili del Partizan di Belgrado, nel 2005.

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Qui una serie di highlights del giovanissimo Adem al Partizan, accompagnati da una sobria colonna sonora tipicamente balcanica.

Quel suo galleggiare nella trequarti con movimenti laterali, l’accarezzare il pallone nel tentativo di trovare un varco per la giocata, sono gli elementi che compongono lo stile Ljajić, così come la sua tendenza a colpire da fuori con un destro potente, preciso, beffardo.

A un solo anno dal debutto tra i professionisti, nel 2008, arriva la sua prima grande occasione. Qualcuno vuole investire sul suo talento: il Manchester United. Il giovane scugnizzo serbo si allena con la mitica squadra inglese, conosce Sir. Alex Ferguson, si becca anche un’intervista esclusiva pubblicata direttamente sul sito dei Reds, giusto per iniziare a creare un po’ di hype attorno a questo biondino venuto da lontano.

Nell’intervista, Adem ci tiene a puntualizzare: “La qualità è molto alta da queste parti perché ti alleni con grandi giocatori, ma la differenza principale è che è tutto più veloce”. Già, in Premier è tutto più veloce. Si fatica di più, le decisioni vanno prese in fretta, il fisico deve essere abituato a reggere 90’ di corsa a ritmi alti. Niente galleggiamenti, niente pause di riflessione. In poche parole, niente Manchester United. L’affare salta, anche se sembrava già tutto predisposto per un suo arrivo all’Old Trafford.

Per un portone che si chiude, c’è una porta che si apre ed è quella della Fiorentina. Adem Ljajić passa dal Partizan alla Fiorentina nel Gennaio del 2010. Nel suo primo spezzone di stagione in Serie A colleziona 9 presenze e 1 assist in 357’ giocati. Ma ha solo 18 anni, deve ancora ambientarsi. Ad aspettarlo c’è una società con tanta voglia di crescere e un allenatore in ascesa, Siniša Mihajlović, peraltro del suo stesso Paese.

Il giovane serbo sembra da subito uno dei giocatori in grado di far compiere il salto di qualità alla Fiorentina. Il “Kakà dell’Est” è, agli occhi del suo allenatore, estremamente duttile, perché può giocare in tutti i ruoli d’attacco: trequartista, esterno, seconda punta, punta centrale. Batte anche bene le punizioni grazie alle sue ottime capacità balistiche. I paragoni con Jovetic si sprecano e in società sono tutti convinti da Adem, per primo Andrea Della Valle: “Non compreremo un sostituto di Jovetic, puntiamo su Ljajić”.

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L’azione parte da lui, si conclude con lui. È solo preseason, ma i tifosi viola già sognano con le prodezze che fa vedere il serbo.

Ljajić nella stagione 2010/2011 segna 3 gol e confeziona 6 assist in 26 presenze. La Viola però non decolla: la squadra chiude il Campionato al 9° posto, fuori da tutte le competizioni europee, pur migliorando il piazzamento della stagione precedente.

Fino a qui tutto bene, potremmo dire. Adem ha perso una grande occasione con lo United, ma alla Fiorentina sembra aver trovato la dimensione giusta per crescere. La squadra decide di confermare Mihajlović, anche se il rapporto fra allenatore e società non sembra così solido. A novembre 2011, infatti, il tecnico viene esonerato, al suo posto arriva il più navigato Delio Rossi. Ljajić, che aveva giocato poco fino a quel momento, col cambio di allenatore ritrova spazio, nonostante non venga mai fatto rimanere in campo per tutti i 90’.

Gioca scampoli di partita e a volte viene sostituito presto. In una partita, in particolare, viene sostituito prestissimo, al 32’ del 1° tempo. È Fiorentina-Novara del 2 Maggio 2012. Delio Rossi richiama il serbo per sostituirlo, ma il giocatore non sembra affatto gradire. Scendendo le scale per prendere posto in panchina, Ljajić mette in scena un applauso ironico verso il suo allenatore, poi lo guarda fisso negli occhi e gli alza il pollice, sarcasticamente. Chi l’avrebbe mai detto che il giovane tutto Playstation e Nutella fosse un così abile provocatore.

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La fatality di Delio Rossi su Ljajić

Insulti alla famiglia, parolacce in serbo, mazzate. Succede di tutto. Non vogliamo indagare su cosa i due si siano detti quella sera all’Artemio Franchi. Ma guardando l’episodio da un certo punto di vista, sembra quasi che Ljajić fosse cosciente di come sarebbe andata a finire. Che fosse consapevole che andando a toccare quelle corde, tirando quei particolari fili, le cose avrebbero irrimediabilmente finito per andare a Sud. Ha portato il suo allenatore oltre il limite, di fatto facendolo esonerare.

Quando piove, diluvia. Sì, perché Ljajić finisce fuori rosa per le due partite conclusive della stagione, ma non solo. La sua carriera in nazionale subisce un duro colpo dopo lo scandalo della lite con Delio Rossi. 26 Maggio 2012: amichevole fra Serbia e Spagna. Ljajić non canta l’inno serbo insieme ai suoi compagni. Mijahilovic, che è il c.t. di quella nazionale, decide di escluderlo proprio per questo motivo, non convocandolo più dopo quella partita. Cantare l’inno era parte integrante del nuovo codice di comportamento per i giocatori della nazionale, Mijahilovic voleva così. Ljajić è però cresciuto a Novi Pazar, fa parte di una minoranza religiosa, vittima di una repressione a opera delle Tigri di Arkan guidate da Željko Ražnatović e, che sia per questo motivo o meno, di fatto non canta l’inno. Suo padre si scuserà con i serbi e lo giustificherà dicendo che non conosceva le parole.

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C’è solo un giocatore che non canta l’inno: Adem Ljajić.

Escluso dalla nazionale, con il Campionato chiuso fuori rosa. Le cose per Ljajić non sembrano andare granché bene alla fine di quella stagione. Però, visto che è impossibile pronosticare qualcosa quando si parla di Adem Ljajić, la stagione successiva, 2012–2013, è la migliore della sua carriera in Serie A. Gioca 28 partite, segnando ben 11 gol e regalando ai compagni 7 assist. La Fiorentina arriva quarta, a soli 2 punti dalla Champions, e torna in Europa. Vincenzo Montella, nuovo allenatore dei Viola, diventa uno dei tecnici più apprezzati del Campionato.

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Il ragazzo sembra aver finalmente affinato le sue capacità di inserimento. Il senso del gol è aumentato esponenzialmente rispetto alle stagioni precedenti.

Montella lo fa giocare molto da punta e da seconda punta, pur utilizzandolo in alcuni casi nella posizione di ala o trequartista. Valorizza la duttilità di Ljajić, evitando che lui si impigrisca, che si estranei dal gioco troppo spesso. Riesce a stimolarlo nel modo giusto e il giocatore serbo lo ripaga con una stagione ineguagliabile (secondo i suoi standard) a livello di rendimento.

Qualcuno sembra essere riuscito a entrare nella testa di Adem Ljajić: Vincenzo Montella. L’aeroplanino sembra aver fatto breccia nella mente intricata di un giocatore che già allora sembrava un rebus difficilmente decifrabile. Forse Montella era convinto di questo, forse pensava di poter fare del talento serbo una delle colonne della sua Fiorentina. Succede però l’inaspettato: durante l’estate del 2013, dopo essere stato protagonista di un’intensa telenovela di mercato, conteso fra Roma, Milan e Atletico Madrid, alla fine Ljajić sceglie la squadra capitolina, rifiutando la proposta di rinnovo della Fiorentina.

Quando le cose sembravano aver trovato un equilibrio, il serbo ribalta il tavolo e spinge il suo allenatore a reagire. Delio Rossi aveva risposto con la rabbia (e le mani), Montella lo fa in conferenza stampa prima di Fiorentina-Catania, l’esordio stagionale in Serie A, definendosi “stufo” della situazione creata dal giocatore serbo. Possiamo solo immaginare l’atteggiamento di Ljajić durante quella preparazione estiva. Montella getta la spugna e Ljajić interrompe con freddezza e un pizzico di crudeltà un sodalizio che pareva destinato a durare anni. Quello che era stato definito “Il presente e il futuro dei Viola”, ne diventa il passato nel giro di un’estate.

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Il serbo si presenta così davanti ai tifosi giallorossi.

Dire che Ljajić ha smaltito in fretta la sua rottura con la Fiorentina è riduttivo, visto che segna un gol all’esordio con la maglia giallorossa contro il Verona. Ne segna poi altri due nelle successive due partite all’Olimpico. Uno di discreta importanza, il gol su rigore nel derby contro la Lazio, vinto dalla Roma per 2 a 0. L’altro di discreta bellezza, un pallonetto da posizione molto defilata contro il Bologna. Tanto bello quanto inutile, visto che la Roma era già in vantaggio per 4 a 0.

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Il Capitano si ferma e spalanca la porta al nuovo arrivato, che con un misto di delicatezza e strafottenza sferra il colpo finale a un Bologna ormai inerme.

Complice anche l’infortunio di Totti, Ljajić potrebbe avere occasione di splendere nella nuova Roma di Garcia. Ma il serbo latita, non incide e non segna più per tutto il girone d’andata. Il suo allenatore gli concede solo 8 volte in tutta la stagione di giocare per 90’. Lo paragona a un diamante grezzo, come il primo Hazard, ma non manca poi di sottolineare le sue responsabilità per il poco impegno in campo, come in occasione della amarissima sconfitta contro il Napoli nel girone di ritorno. L’atteggiamento di Ljajić durante la sua prima stagione viene spesso definito dai tifosi “irritante”, “da schiaffi”. Molti gli dicono che dovrebbe “darsi una svegliata”.

Sembra farlo, e in maniera convincente, all’inizio della stagione 2014/2015. Insieme a Nainggolan, viene indicato come uno dei migliori giocatori dei giallorossi nei primi mesi di Campionato. Sembra aver trovato continuità e fiducia dopo una prima stagione abbastanza tribolata. Il verbo “sembrare” è uno dei più usati in questa narrazione sul giovane serbo, perché qualsiasi considerazione su di lui non può che fermarsi a un livello superiore, superficiale, a quello che appare. La sostanza delle cose è quasi sempre un’altra.

Controllo perfetto, dribbling secco e stoccata sul palo lungo contro il Chievo. Partenza in posizione defilata, dribbling laterale e tiro fuori equilibrio contro l’Atalanta. Ljajić in versione extra-lusso, insomma.

La stagione della svolta, ecco cosa potrebbe essere la Serie A 2014/2015 per Ljajić. Si trova bene a Roma, arrivando a dichiarare: “Io qui sto benissimo e sono pronto a rimanere anche altri 10 anni”. A Trigoria pare aver trovato quella costanza in allenamento che lui stesso ammette di non aver mai avuto: “Prima non mi allenavo al massimo, ero una testa calda e se non giocavo facevo casino. Ero un ragazzo un po’ matto. Ora so che se non dai sempre il 100% anche in allenamento, è difficile giocare. Sono cambiato in questo e i risultati si vedono”. Non vede l’ora di tornare a vestire i colori della Serbia dopo l’esclusione del 2012.

I pianeti sembrano finalmente essersi allineati, come si dice in certi casi. Però, neanche stavolta è il caso. La corsa sul piano inclinato che lo porterà a dover rimettere tutto in gioco inizia a novembre 2014. Adem era riuscito a tornare in nazionale a settembre, per un’amichevole con la Francia, grazie all’apertura da parte del nuovo c.t., Dick Advocaat. Ma il piccolo generale dei Paesi Bassi ha deciso di sbattere presto la porta in faccia al talento serbo. “È un buon giocatore, ma rovina il gruppo, ha una mentalità sbagliata. Quasi tutti sono felici di essere convocati, non ho bisogno di chi invece non ha buone sensazioni con la nazionale”. E ancora: “Finché ci sarò io, lui non andrà in nazionale”.

Dov’è finita la convinzione, la voglia di rivincita, la volontà di dare continuità al proprio talento che Ljajić aveva trovato a inizio stagione? Con l’inizio del 2015 e del girone di ritorno, il rendimento di Ljajić subisce un lento e inesorabile declino, ancora una volta, anche se è tutta la squadra a calare. Solo 2 gol, nessun assist. 3 presenze nelle ultime 7 di Campionato. In Europa League incide nel passaggio del turno contro il Feyenoord, ma poi si arrende insieme ai giallorossi nel ritorno degli Ottavi contro la Fiorentina.

Esultanza meno pacata del solito per un gol fondamentale, che sembrava potergli anche valere una squalifica.

Dopo la crisi di risultati tra febbraio e marzo, la Roma si riprende, scavalca i cugini biancocelesti e agguanta il 2° posto, quando pochi mesi prima lottava con la Juventus per la vetta del Campionato. Ljajić deve affrontare una serie di fastidi alla schiena, che influiscono sul suo rendimento. Nonostante l’incostanza, l’ennesimo ripudio da parte della sua Nazionale e i problemi fisici, Ljajić chiude la stagione da capocannoniere della Roma in Serie A con 8 gol, tanti quanti ne mette a segno il capitano Totti.

Dire dove finiscono le responsabilità del giocatore e iniziano quelle della società, dell’allenatore, della squadra, degli infortuni è molto difficile dirlo, proprio perché si parla di Ljajić. Anche i giallorossi non sanno come valutare il serbo e, per questo, lo spediscono in prestito all’Inter nell’estate del 2015. Non senza difficoltà, visto che il contratto di Ljajić pare sia stato depositato alle 22.59 e 55 secondi del 30 Agosto 2015. Un ingaggio al fotofinish, in pratica.

Gol nell’allenamento pre-derby di Ljajić, da poco arrivato alla Pinetina. Farvi sognare per poi farvi del male, questa è la specialità della casa.

Ljajić non gioca il derby contro il Milan e bisogna aspettare la decima giornata per la sua prima prestazione convincente. Vittoria 1 a 0 contro il Bologna, suo l’assist per il gol di Mauro Icardi. La vera partita della svolta per Ljajić è però quella contro la sua ex squadra, la Roma, il 31 ottobre. Adem non segna, non realizza assist, ma non si risparmia per 90’, cercando di contribuire alla manovra offensiva e di dare una mano in difesa, dove mette in campo dei ripiegamenti difensivi degni di un terzino d’esperienza. Il suo impegno conquista definitivamente Roberto Mancini. Adem Ljajić sembra volersi prendere l’Inter e inizia a farlo proprio contro chi non ha avuto fiducia in lui, in una vittoria di grande sofferenza per i nerazzurri.

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Minuto 0.54: ricezione, finta irresistibile che manda al bar due avversari, più assist al compagno (Perisic), che spreca. Per il resto del video alcuni ottimi elementi a sostegno della tesi: “Handanovic è uno dei portieri migliori del mondo”.

Di fatto Ljajić si prende l’Inter, ma solo per 2 mesi. Compresa quella partita con la Roma, sono 14 le presenze consecutive in campionato per lui, di cui 8 per tutti i 90’. Da quella partita con la Roma, l’Inter inizia la scalata che la porterà in vetta al Campionato alla chiusura del girone d’andata. Ljajić è protagonista di molte di quelle partite, segnando il gol vittoria contro il Genoa, il gol del momentaneo pareggio nella sconfitta immeritata col Napoli e regalando 2 assist. Le nubi all’orizzonte iniziano però a vedersi prima di Natale, quando l’Inter perde sul campo della Lazio e i due ex compagni della Fiorentina, Jovetic e Ljajić, vengono multati per la loro condotta nel pre e post partita di un match così importante.

Il girone di ritorno per l’Inter inizia male: la squadra va in crisi, Ljajić cala di rendimento, nonostante Mancini continui a schierarlo con continuità. Alla fine della sessione di mercato di Gennaio, l’Inter riesce a mettere le mani sul vero obiettivo estivo per l’attacco, Eder, il cui mancato arrivo aveva aperto le porte al talento serbo. I due giocano insieme il derby del 31 Gennaio, finito con un rovinoso 3 a 0 subìto dagli uomini di Mancini. Sostanzialmente, è dopo quel derby che termina la stagione di Ljajić in nerazzurro.

Nell’ultima parte del Campionato gioca solo degli spezzoni, altrimenti resta in panchina o addirittura in tribuna. Solo 1 gol contro il Palermo, fra l’altro un gol dei suoi. Danza al limite dell’area, finta con movimento laterale a creare separazione col difensore e spazio per il tiro, conclusione rapida, a incrociare, in controtendenza con quell’ammorbante movimento in dribbling.

Il Kakà dell’Est colpisce per l’ultima volta in maglia nerazzurra.

Al termine dell’ultima di Campionato, Roberto Mancini fa sapere in conferenza stampa che, a suo modo di vedere, la squadra ha bisogno di personalità. Poco dopo, dichiara ufficialmente che Ljajić tornerà a Roma per la scadenza del prestito. Due considerazioni collegate fra loro. Anche Mancini, come altri allenatori prima di lui, sono stati sedotti e poi irrimediabilmente delusi dal giocatore serbo.

Ljajić è dunque costretto a tornare lì dove non è il benvenuto. Da Garcia la Roma è passata a Spalletti, che però non ha intenzione di cadere nella trappola del suo predecessore, facendosi affascinare dal giocatore di Novi Pazar. Al momento, l’unico con il coraggio di scommettere su Ljajić è primo allenatore che lo ha allenato in Italia, colui che lo ha lanciato ai tempi della Fiorentina: Siniša Mihajlović. Il ritorno del figliol prodigo, scacciato quando era allenatore della nazionale della Serbia. Una ricongiunzione che potrebbe avere il valore di una vera e propria chiusura del cerchio. Anche il presidente Cairo dimostra di puntare forte su Adem, il più pagato nella storia della sua gestione granata.

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Punizione di livello in amichevole contro il Benfica.

Il viaggio avventuroso e ricco di ostacoli affrontato dal giovane Adem potrebbe essere finalmente arrivato a una conclusione. Forgiato dai litigi, dalle critiche, dai fischi delle sue ex tifoserie, dai rimproveri dei suoi tanti allenatori, forse Ljajić è pronto per la sua definitiva affermazione nel Campionato italiano.

Chissà se dopo anni in cui in molti hanno tentato di entrare nella sua testa, stavolta non sia lui stesso a farlo. Chissà se avrà il coraggio di affrontare i propri demoni, anziché assecondarli, mettendoli da parte per lasciare spazio a uno dei talenti più fulgidi della Serie A, almeno in potenza.

Articolo a cura di Andrea Gaetani

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