Essere invisibili

Jacopo Ottenga
Crampi Sportivi
Published in
11 min readJul 5, 2018

Il 7 agosto 2015, Erick Pulgar Farfán arriva a Sestola, sede del ritiro del Bologna. Dirigenti, compagni e curiosi si trovano di fronte un ragazzo timido, dimesso e un po’ spaesato. Pochi lo conoscono aldilà dei dati anagrafici, lui dice di ispirarsi a Busquets e al connazionale Vidal, è principalmente un mediano ma possiede buoni tempi di inserimento e in carriera ha già ricoperto diversi ruoli.

Delio Rossi gli concede subito spazio, lanciandolo titolare in varie occasioni. Nelle prime dieci giornate però il Bologna racimola solo 6 punti e il cambio di guida tecnica è inevitabile. In Emilia arriva Roberto Donadoni e il processo di ambientamento del cileno subisce un brusco rallentamento. Alcune prove insufficienti e la contemporanea esplosione di Amadou Diawara lo spediscono ai margini della rosa facendolo uscire anche dai radar della Nazionale in vista di Russia 2018. Per due estati sembra sul punto di partire, alla fine il tecnico dei felsinei decide di dargli fiducia.

Difficile oggi immaginare un Bologna senza Pulgar. Qualche mese fa Donadoni lo ha elogiato pubblicamente: “È la chiave del nostro gioco, la sua è la zona dove inizia la fase di recupero del pallone e dove si amministra il possesso, e sotto questo punto di vista sta crescendo molto”.

Il cileno non risalta particolarmente per classe o giocate appariscenti ma è un ottimo calcolatore di distanze. Rappresenta una preziosa fonte di equilibrio e i suoi movimenti sono costantemente orientati a mantenere la squadra corta per non esporla ai contropiedi avversari. Con 2770 minuti è stato il quarto rossoblu più utilizzato in questa stagione (a fine aprile era il primo: ha perso le ultime gare per via di un infortunio), una continuità di gioco e prestazioni che gli ha permesso, per la prima volta da quando è arrivato in Italia, di mostrare appieno anche quelle qualità che erano rimaste inizialmente in ombra, come i calci da fermo.

Il 4 febbraio 2018 è entrato nella storia del calcio a seguito di quell’inedito botta e risposta con Veretout direttamente da corner. Due settimane più tardi ha deciso l’importante sfida salvezza col Sassuolo con una punizione magistrale. Tre passi di rincorsa, busto e braccia inclinati in modo da accompagnare il calcio, piede d’appoggio misurato in direzione dell’effetto, traiettoria arcuata a scavalcare la barriera, una trasformazione da specialista condita da un’esultanza rabbiosa, con l’indice puntato sul naso come a voler mettere a tacere tutti coloro che, dopo il rigore sbagliato contro il Torino, avevano contestato il suo ruolo di tiratore designato.

“Se non fossi un calciatore non sarei nulla”, ha dichiarato una volta in un’intervista. Il cileno ha sempre avuto le idee molto chiare e quando si è trattato di scegliere tra la scuola e il calcio non ha avuto dubbi:

“Ero al primo liceo e non avevo il tempo materiale per fare entrambe le cose, così un giorno sono andato con mia madre dalla direttrice per comunicarle la mia intenzione di dedicarmi al 100% al calcio”.

La famiglia lo ha sempre appoggiato, d’altronde la sua è stata una passione precoce. Da bambino trascorreva gli interi pomeriggi a giocare nel campetto della chiesa a pochi metri da casa, un ricordo che poco tempo fa ha deciso di custodire tatuandolo sulla coscia destra. Su quel rettangolo polivalente e polveroso il piccolo Erick fantasticava sul futuro sperando un giorno di potersi permettere un’abitazione confortevole, arrivare in Nazionale e magari vincere una Copa América.

“Aveva sicuramente del potenziale ma nessuno immaginava che sarebbe arrivato così lontano e così in fretta”, ha sottolineato il vecchio presidente del Miramar Sur Este, il piccolo club di quartiere in cui è cresciuto. In soli 6 anni è passato dal calcio amatoriale al sollevare la prestigiosa Copa América Centenario, alla cui vittoria ha contribuito giocando 60 minuti di pura garra nella semifinale contro la Colombia. Oggi vive in una distinta villetta a Zola Predosa, poco fuori Bologna, e ha acquistato per la famiglia un rispettoso appartamento ad Antofagasta, sua città natale. Tutti i sogni si sono avverati, talmente presto da lasciare intendere che sia stato semplice raggiungerli.

Gli ostacoli però non sono mancati, a partire dal più banale: la lontananza. Non è stato facile lasciare il Miramar per approdare nel più noto Club de Deportes Antofagasta:

“Mio padre era il mio allenatore, per questo motivo e per l’amore che avevo per la mia squadra non me ne sono mai andato. Poi a 15 anni mi hanno invitato per un provino: non volevo andarci, ma i miei genitori mi dissero che era arrivato il momento di provare a raggiungere il mio obiettivo”.

Erick si è ritrovato catapultato in un altro mondo. Lunghe trasferte, allenamenti regolari, codici comportamentali da rispettare, abituato al grossolano e poco disciplinato calcio di provincia all’inizio ha incontrato qualche difficoltà, anche nelle piccole cose, come aprire una stanza d’albergo, stando al simpatico aneddoto che un vecchio compagno di squadra racconta ancora sogghignando: “In uno dei primi ritiri non sapeva come usare la tessera per aprire la camera. L’avvicinava male alla porta, è rimasto fuori diverso tempo”.

Un ragazzo ingenuo, poco avvezzo alle comodità, con tanta voglia di imparare e riscattarsi. Erick nasce centrocampista offensivo ma non ha mai avuto problemi a misurarsi in altre posizioni. Per un periodo nel CDA gioca terzino sinistro, poi nella Sub 16 viene definitivamente abbassato a difensore centrale per via dell’altezza precoce, un ruolo che interpreta con carattere e spirito di sacrificio sviluppando in poco tempo una distinta abilità in marcatura. E a detta di uno dei suoi primi allenatori c’è anche un altro aspetto che non manca di destare attenzione: “A 16–17 anni già calciava in modo sorprendente, con freddezza. Dopo gli allenamenti si fermava sempre a provare tiri liberi e calci d’angolo”.

Un pomeriggio, durante un’amichevole, strega il tecnico della prima squadra Gustavo Huerta, il quale decide istantaneamente di aggregarlo ai grandi. La prima tappa di un percorso che lo trascinerà sempre più lontano da casa, prima a Santiago (sponda Universidad Catolica) poi in Italia, lasciando dentro di sé un vuoto che il cileno proverà a colmare ricalcando sul proprio corpo affetti e luoghi d’infanzia, per sentirli vicino fino ad indossarli.

Sul braccio sinistro ha tatuati la data di nascita del nonno scomparso e alcuni simboli religiosi legati alla sua terra. Sull’addome spiccano i nomi della madre, del padre (in realtà il patrigno perché il padre naturale non lo ha mai conosciuto) e dei quattro fratelli cui è legatissimo, mentre sul petto, inquadrato tra le frase “No se recuerdan los dias se recuerdan los momentos”, campeggiano la casa e il barrio in cui è nato il 15 gennaio del 1994, Calle Martin Luther King, una stradina periferica ricca di baracche e case fatiscenti situata nella parta alta di Antofagasta, lontana dal cuore pulsante della quinta città più popolosa del Cile, lontana dalle spiagge sul Pacifico, dalle attrazioni turistiche e a due passi dal deserto di Atacama, il più arido del mondo.

Erick vi torna ogni qualvolta gli impegni calcistici glielo permettono. Assiste alle gare delle sue vecchie squadre, si cimenta in partitelle con amici e compagni di un tempo, organizza feste e rimpatriate dal sapore romantico, un vero e proprio tuffo nel passato per convincersi anche solo per un attimo che nulla sia cambiato. Per certi versi, non solo per il viso imberbe, il cileno è rimasto quel bambino pieno di sogni che ha disegnato sulla coscia. Nella casa bolognese ha fatto sistemare in giardino una porta regolamentare con tanto di barriera. “Prende il pallone ed esce a giocare” rivela Olga Rubio (rimasta a Bologna anche dopo l’addio del fratello Hugo, il primo cileno a vestire la maglia rossoblu nel ’89) che ha aiutato Erick ad ambientarsi nei primi mesi: “In questo è ancora un ragazzino, giocherebbe sempre. È ancora senza malizia e non ha vizi”.

Sono indubbiamente cambiate però le sue risonanza mediatica e disponibilità economica, che non esita a mettere al servizio della comunità con campagne di sensibilizzazione e iniziative benefiche, come quando ha donato per Natale palloni e attrezzature sportive a tutti i bambini del barrio. Anche il citato campetto vicino casa è cambiato. Oggi è una struttura al coperto in sintetico dotata di spogliatoi che lo stesso Erick ha avuto il piacere di inaugurare in qualità di ospite d’onore lo scorso gennaio, poiché direttamente finanziata dai diritti di formazione spettanti al Miramar a seguito del trasferimento al Bologna.

In una di quelle strade della parte alta di Antofagasta tuttavia, il 14 gennaio 2013, poche ore prima di diventare 19enne, accade qualcosa che lo segnerà per il resto della vita. Erick sta tornando dall’allenamento con la macchina, svolta ad un incrocio, si distrae solo un attimo, quel tanto che basta ad investire un uomo di 66 anni, deceduto qualche ora dopo in ospedale a causa delle lesioni riportate. Un impatto fatale, una disattenzione alla guida di quelle che possono capitare a chiunque. Erick è terrorizzato, non ha ancora conseguito la patente, agisce d’impulso, pigia il piede sull’acceleratore e scappa senza soccorrere il povero malcapitato. Torna nel barrio come se nulla fosse ma le forze dell’ordine grazie alle tracce lasciate sull’asfalto risalgono facilmente al veicolo coinvolto e lo prelevano poco dopo dalla sua abitazione.

“Ogni volta che passo da quella parte mi ricordo quello che è successo”, dichiarerà un anno più tardi “Non mi stancherò mai di offrire le mie scuse alla famiglia del defunto. Nessuno esce di casa per ammazzare qualcuno: ho pianto molto per questo”.

I mesi che seguono sono terribili, il senso di colpa lo divora in attesa di una sentenza che potrebbe seriamente compromettere il suo futuro. Il calcio da obiettivo si trasforma in rifugio. Tre giorni dopo la tragedia è già sul campo d’allenamento. I compagni sono sorpresi, il tecnico del CDA Huerta lo prende sotto braccio, lo conforta, gli garantisce tutto il supporto necessario ma lo invita a prendersi qualche giorno per riposare e stare un po’ con la famiglia. Erick è visibilmente turbato, ma non ne vuole sapere: “È un brutto momento ma proprio per questo preferisco venire ad allenarmi. Restare a casa sarebbe peggio. Ora più che mai tutto ciò che voglio è essere in squadra”.

L’incidente rallenta inizialmente la sua crescita ma il calcio si conferma l’unica cosa in grado di alleviare il macigno che porta nell’animo. Calmatesi un po’ le acque, Huerta decide di premiarne l’applicazione facendolo esordire in Primera Division. Erick gioca al centro della difesa le ultime cinque gare di campionato, dimostra solidità e ottime doti aeree che gli permettono di siglare ben due reti.

Il 19 gennaio 2014 alla fine il Tribunale si pronuncia: è omicidio colposo. Considerate però la giovane età e la condotta fino a quel momento irreprensibile, la pena viene sospesa con la condizionale e il ragazzo se la cava con la sospensione della patente per due anni. La carriera è al sicuro e Erick ritrova un minimo di serenità per andare avanti.

A causa di varie defezioni la stagione successiva Huerta lo impiega come centrocampista di contenimento, posizione che gli appare subito naturale poiché capace di conciliare le spiccate capacità di lettura ed anticipo alla qualità tecnica e le doti di rifinitore maturate ai tempi del Miramar. Pulgar disputa un’annata al di sopra di ogni aspettativa e finisce nelle mire dei principali club cileni. Fernando Felicevich, il suo procuratore (lo stesso di Vidal e Alexis Sanchez), si accorda inizialmente con il Colo-Colo. La trattativa però va per le lunghe, così alla fine firma per l’Universidad Catolica.

A Santiago ogni giorno, tranne nei casi in cui è un compagno a dargli un passaggio, un taxi lo aspetta sotto casa per accompagnarlo agli allenamenti e poi riportarlo alla base. Il ricordo dell’incidente è sempre vivo ma Erick è ormai lanciato verso una carriera brillante. Sotto la guida del tecnico Mario Salas si alterna con successo nel ruolo di mediano e in quello di mezzala rivelando un’impensata incisività negli ultimi venti-trenta metri. Il rendimento è altissimo e i sette gol nel Clausura 2015 attirano l’interesse di vari club europei. A spuntarla è il ds del Bologna Pantaleo Corvino che fiuta un affare da 2,2 milioni di euro.

Difficile stabilire se in questi anni trascorsi in Italia abbia smarrito la duttilità che lo contraddistingue sin da piccolo o abbia semplicemente finito per consolidarsi nel ruolo a lui più congeniale. Il calcio italiano richiede sicuramente tempi e modalità di inserimento diversi, oltre che una copertura degli spazi molto più sofisticata, probabilmente è per questo motivo che come interno di centrocampo è apparso spesso fuori luogo. Donadoni lo ha sempre considerato un mediano. Secondo lui infatti il 24enne cileno possiede le qualità ideali per giocare davanti alla difesa e l’esperienza maturata in A gli consentirà presto di convertirsi in uno dei pezzi pregiati della Roja.

Rispetto allo scorso anno Pulgar sembra avere una maggiore fiducia in se stesso. Limita falli inutili, intemperanze caratteriali e errori di sufficienza, anche se il vero salto di qualità lo ha compiuto nella gestione del pallone. Ora detta con personalità i tempi di gioco sul corto, è più pulito nei tocchi, tenta spesso cambi di gioco e verticalizzazioni, se saprà migliorarsi nel possesso sotto pressione e nella difesa a zona — il passato da difensore lo porta ancora a “sentire” l’uomo — diventerà un metodista eccellente.

Senza dubbio il ricordo di quell’incidente non si estinguerà facilmente. A volte riaffiorerà dal fiume dei rimorsi, altre si materializzerà al di fuori della coscienza sollevando polemiche e polveroni, come in occasione della proposta, avanzata e poi rigettata dal sindaco di Antofagasta a causa delle proteste dei figli della vittima, di conferirgli la nomina di “Figlio illustre”, onorificenza assegnata solitamente a tutti i vincitori della Copa América. “Mio figlio è rimasto molto ferito” ha rivelato nei giorni immediatamente successivi la madre “Questa faccenda ha creato solo danni, Erick nemmeno la voleva quell’onorificenza. Da tutte le parti c’era gente che lo criticava, qualcuno ha parlato anche di uso di alcool o di droga, ma non sa come sono andate veramente le cose. È stata solo un’imprudenza”.

“Il potere che vorrei avere? Essere invisibile”, ha dichiarato tempo fa il cileno al canale ufficiale degli emiliani. Un potere da supereroe non di quelli permanenti ma da utilizzare solo quando Erick ne avverte il bisogno. In tutti quei momenti ad esempio in cui dopo uno sbaglio viene investito da un vortice di insicurezza che lo paralizza e lo rende poco lucido portandolo a compiere scelte sempre più sbagliate.

È successo in questa stagione contro il Napoli, quando dopo aver scippato una punizione a Verdi e averla calciata alle stelle ha regalato a Mertens il pallone del 3 a 0.

In campo di tanto in tanto gli succede, commette un errore e con la mente sembra tornare a quel maledetto pomeriggio di gennaio. È capitato due anni fa contro il Palermo, gara in cui dopo un inizio nervoso è stato espulso in maniera diretta a causa di una parola di troppo all’indirizzo dell’arbitro. Contro il Torino, quando dopo aver sbagliato un calcio di rigore ha dato il via con un passaggio maldestro all’azione del gol di Niang, e in altre occasioni, in cui l’annebbiamento temporaneo ha provocato magari conseguenze meno lampanti.

“La cosa che mi fa più paura è il destino”, ha anche ammesso nell’intervista precedente. Un timore che in fin dei conti sembra riflettersi nel suo stile di gioco. Con 12.128 km di media Pulgar è stato il calciatore ad aver percorso più chilometri in Serie A. È come se non avendo la possibilità di scomparire facesse affidamento in toto al suo atletismo. Si trasforma in difensore aggiunto quando gli avversari premono su una fascia, si alza in pressione quando la squadra si sta abbassando troppo, è sempre pronto a raddoppiare, dare una mano ad un compagno, prevenire circostanze sfavorevoli, non si risparmia, corre incessantemente da una parte all’altra del campo come a voler scongiurare il pericolo che qualcuno o qualcosa possa provare nuovamente a portargli via il sogno di diventare calciatore.

Se da una parte Erick continua a vivere interamente aggrappato al calcio dall’altra ha ormai raggiunto una stabilità e un livello tali da renderlo uno dei giocatori più interessanti del nostro campionato. In una delle sue ultime apparizione stagionali, contro la Roma, si è reso protagonista con un diagonale potente e preciso che ha infilato Alisson, mettendo un’ulteriore firma sulla salvezza del Bologna. Alcune grandi squadre lo monitorano da vicino, il cileno potrebbe rivelarsi uno dei nomi caldi del mercato estivo e magari scegliere di inseguire la definitiva consacrazione altrove.

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Jacopo Ottenga
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Classe '93, abruzzese di sangue e napoletano nell'animo. Autore e giornalista sempre a caccia della Bellezza