Un weekend di ordinaria follia cestistica in Turchia

Marco A. Munno
Crampi Sportivi
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6 min readMay 24, 2017

Uno dei precetti sempre in voga quando si parla di sport è quello di considerarlo per quello che realmente sia: per quanto serio, per quanto pieno di sacrifici, per quanto dispensatore di emozioni positive e negative, resta comunque un gioco. Il che richiede di evitare la strumentalizzazione degli esiti per fini relativi alla politica o alla gestione di dinamiche della vita di tutti i giorni. Tuttavia è chiaro come le meccaniche sociali non possano restare indifferenti alle competizioni sportive, rimanendo influenzate dagli effetti secondari che grandi successi e grandi sconfitte sui campi di gioco possano portare. In fondo, basta osservare quanto condizionamento eserciti il gioco del calcio nel nostro Belpaese come dimostrazione per quest’argomento.

Quando poi le dinamiche sportive vanno ad incrociare quelle complesse di una delle nazioni dall’equilibrio interno più fragile, le combinazioni risultati possono risultare quantomeno particolari.

In questa settimana ad esempio abbiamo avuto il caso della Turchia.

Già l’evento di martedì scorso, con l’incontro fra i due capi di stato statunitense Donald Trump e turco Recep Tayyip Erdoğan, si è dimostrato per quest’ultimo non solo un buco nell’acqua per i suoi obiettivi (un mutamento della posizione USA sul sostegno all’YPG, ovvero l’unità di protezione dei siriani curdi; l’estradizione del nemico numero uno del governo, Fethullah Gülen; il rilascio del personaggio chiave del caso di corruzione turca del 2014 Reza Zarrab), ma anche un’ennesima dimostrazione (con esposizione internazionale annessa) dell’agitata situazione interna, con i dimostranti anti-governativi a scontrarsi violentemente all’esterno dell’ambasciata turca con la sicurezza personale del presidente turco. Il weekend appena trascorso ha scritto un altro capitolo sul tema del ritorno all’islamizzazione radicale della nazione, incrociandosi con la disciplina sportiva della pallacanestro.

Per iniziare: da venerdì a domenica ad Istanbul sono state in programma le Final Four di Eurolega. Proprio in questa stagione, la competizione ha assunto una forma particolare: per la prima volta è stata varata dalla cordata di privati organizzatori la formula che di fatto ha reso la competizione una superlega fra i migliori team continentali. È chiaro come, con la posizione di forza da ribadire nei confronti della Federazione Ufficiale FIBA — che osteggia la competizione — ci fosse bisogno di far la migliore figura possibile, tanto più vista la provenienza geografica del ricco sponsor dell’intera Eurolega, ovvero la Turkish Airlines.

Fra le quattro semifinaliste coinvolte nell’ultimo atto, anche la finalista della scorsa stagione: si tratta della casalinga Fenerbahçe.

Se il quadro della situazione che avete in mente disegna in questo contesto sportivo un’immagine di Turchia in orgogliosa missione di riscossa patriottica contro il mondo, vi sbagliate. Perché la polisportiva Fenerbahçe Spor Kulübü, di cui la squadra di pallacanestro fa parte, ha sempre professato la laicità della propria organizzazione; nonostante qualche sparuto gruppo filo-islamico nel tifo, la società rappresenta una roccaforte per quanto riguarda la diffusione dei valori di Mustafa Kemal, il padre fondatore della Turchia di stampo repubblicano. Atatürk fu grande tifoso dei colori gialloblu e sostenitore anche materiale: quando ad esempio il primo edificio di proprietà della società e sede del club, in gran parte di legno, venne distrutto da un incendio la notte del 5 giugno 1932 a Kadiköy, la prima donazione per una nuova costruzione venne proprio da Atatürk.

Non è quindi raro che gli ultras del Fener intonino sulle tribune la İzmir Marşi, marcia che inneggia alla devozione per Mustafa Kemal.

Oltre che come canto di gioia, l’inno viene anche utilizzato come simbolo di coesione per l’intera nazione turca, come nel caso dell’attentato di Capodanno del 2017 e successivo tributo del 6 gennaio, in occasione dello scontro di Eurolega con l’Olimpia Milano.

Il roster della squadra allo stesso modo è esplicativo: tra i 15 componenti, ci sono un americano, un canadese, un ceco, un nigeriano, un macedone, un greco, il capitano della nostra nazionale Gigi Datome, due serbi (più l’immenso coach Obradovic) e sei turchi. Una macedonia di nazionalità perfetto per le barzellette, meno per un club che voglia ribadire un’identità nazionalista, tanto più che dei due soli turchi in rosa che effettivamente vedono il campo invece della tribuna, uno ha acquisito la nazionalità solamente negli ultimi due anni, cambiando il suo nome da Bobby Dixon ad un simbolico Ali Muhammed.

Il vostro tipico profilo ottomano

Venerdì 20, però, la giornata cestistica si apre con un’altra news: Enes Kanter, pivot turco sotto contratto con la squadra NBA degli Oklahoma City Thunder, è bloccato dalle forze dell’ordine in Romania e fermo all’aeroporto di Bucarest, dal quale sarebbe dovuto ripartire a causa della cancellazione dei documenti di viaggio da parte della nazione natale.

Il protagonista della vicenda non è casuale: Kanter, il miglior giocatore turco attualmente, è sempre stato critico nei confronti delle ideologie del presidente Erdoğan. Anzi, sfruttando la piattaforma mediatica della Lega statunitense, il big man dei Thunder ha ovviamente avuto una cassa di risonanza maggiore per le sue parole.

Inizialmente l’isolamento nei suoi confronti è risultato con la sola esclusione dalla selezione nazionale: ufficialmente per scuse mai porte dopo litigi non meglio specificati, mentre ufficiosamente il ragazzo ha motivato la scelta con la foto seguente, in cui sono presenti Hidayet Türkoğlu (giocatore più rappresentativo della nazione, all’epoca militante nei Los Angeles Clippers), l’ex giocatore NBA Mirsad Türkcan, il presidente europeo della FIBa Turgay Demirel e quello della federazione cestistica turca Harun Erdenay, tutti intorno al presidente Erdoğan.

Il tweet recita: “Hey, Turchia. Ecco una prova concreta del motivo per cui sono escluso dalla nazionale. Peccato. Che Allah vi castighi.”

Il ragazzone infatti è un fervente sostenitore del movimento di Fethullah Gülen, che riesce anche a visitare personalmente negli stessi Stati Uniti in cui entrambi vivono; proprio dopo il colpo di stato tentato in Turchia, dietro il quale il presidente Erdoğan sospetta esserci come mandatario lo stesso Gülen, Enes ha espresso sostegno per la rivolta mentre veniva subissato di minacce di morte.

Grazie al lavoro di squadra del proprio avvocato, dei legali dei Thunder, del sindacato dei cestisti della lega (NBPA), del Dipartimento di Stato americano e dei senatori, originari dell’Oklahoma, Jim Inhofe e James Lankford, il ragazzo è potuto volare dopo quattro ore dall’aereoporto di Bucarest a quello di Londra per poi tornare negli Stati Uniti, dichiarando di aspettarne con fervore la cittadinanza vista l’ostilità della patria natale, dove anche la famiglia naturale lo ha disconosciuto da ormai un anno (e su Twitter stesso il ragazzo nell’handle si presenta come Enes Gülen). A coronamento, le dichiarazioni a tinte forti a proposito di Erdoğan , definito “l’Hitler di questo secolo”.

Intanto il Fenerbahçe qualche ora dopo supera in scioltezza il Real Madrid, vendicando l’uscita in semifinale di due anni prima da parte degli stessi Blancos; la domenica non restava loro che migliorare il risultato finale dello scorso anno, stavolta contro l’Olympiacos, che nell’ennesimo déjà vu ha eliminato la corazzata CSKA, emergendo da sfavorita guidata dal solito Spanoulis nella sua versione “Kill Bill” nell’ultimo quarto.

Dal 2015, difatti, i “canarini” hanno compiuto ogni anno un passo in più verso l’impresa di conquista dell’Eurolega da parte di una squadra turca per la prima volta; nonostante l’abbandono del ricco sponsor Ülker dopo la semifinale del 2015 con il Real Madrid (a proposito: indovinate il capofamiglia dei proprietari di circa il 50% di azioni dell’Emniyet Foods, azienda distributrice dei prodotti Ülker), gli assi non hanno abbandonato in massa la squadra. Dopo la sconfitta dello scorso anno per un solo tap-in, tutti avevano stretto un patto per rimanere tutti insieme e chiudere l’assalto alla Coppa.

Ed effettivamente il loro impegno è stato encomiabile: la superiorità sulla carta nei confronti del team greco è stata ribadita con forza sul campo, concludendo la gara con un largo successo.

Al nostro Gigi Datome, protagonista nel terzo quarto del break che ha definitivamente spazzato via le speranze del team del Pireo, non è restato che rispettare la promessa presa: via al taglio dei capelli per Jesus, l’orgoglio azzurro!

Non sono mancati i complimenti proprio del presidente turco, tifoso dei gialli inviso all’intera fanbase, che anche nel ventesimo anniversario della Black Sea Economic Cooperation ha usato il Fener quale esempio di collaborazione al ministro degli esteri serbo, connazionale del trittico d’assi Bogdanovic-Kalinic-Obradovic, e al presidente greco Prokopis Pavlopoulos, connazionale dell’uomo di sostanza Sloukas:

Abbiamo detto all’inizio: lungi da noi confondere sport e politica. Per quanto ci riguarda, allora, chiudiamo il racconto con il solo evento che meritava di contraddistinguere il weekend cosí movimentato di palla a spicchi in salsa turco: la cavalcata finalmente vincente del Fenerbahçe!

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Marco A. Munno
Crampi Sportivi

Pensa troppo e allora scrive. Soprattutto di pallacanestro.