Fernando Torres, il Cholismo, il Barcellona

Crampi Sportivi
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3 min readApr 6, 2016

Il catenaccio dell’Atletico Madrid e il possesso palla del Barcellona. L’outfit portafortuna di Diego Simeone, il Cholismo, il suo modo di pressare sulle fasce e la paura di Luis Enrique, esorcizzata nel pre-partita, gli spettri di un calo psicologico.
La difesa spigolosa dei Colchoneros contro il tridente delle meraviglie dei Culè.
Nel mezzo ci sta un buco enorme allo stomaco, al mio stomaco, e un appuntamento a cena alle 21.45. Al massimo riuscirò a vedere la prima parte della gara, tanto poi Fernando si stanca da morire e non corre più.
Il magnetismo che Fernando Torres esercita su di me è radicato nel profondo: ha il sapore di una mezza bugia, di quella volta in cui credevo che il Milan avesse ottenuto una prelazione sull’attaccante lentigginoso in cambio di Albertini. Alla fine Torres a Milano ci è arrivato davvero, ma per me (e per il mio milanismo morto nel maggio del 2010) era già troppo tardi.
Fernando Torres è cristallizzato nell’urlo di Massimo Marianella in loop infinito.
La scivolata da torero, la Kop, i gol come se fossero un gesto naturale, tipo infilare le ciabatte.
Quell’anno in cui spostò vagonate di milioni passando al Chelsea, i soldi per Andy Carroll, il resto.

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AAAAAH

Sotto il nove di Fernando si nasconde la doppia responsabilità dello spagnolo: guadagnarsi una difficile conferma a Madrid e dimostrare che senza Jackson Martinez si vive comunque meglio, semmai ci fosse bisogno di confermarlo. Lentissimo rispetto a Carrasco e Griezmann, al fischio d’inizio sono attratto dal suo ciondolare a centrocampo, col tempo passato a scorrere sul corridoio che attraversa il campo da porta a porta. Ho paura per lui, temo per me: sono terrorizzato dalla doppia idea di perdermi un suo probabile gol nel secondo tempo, ma mi impressiona di più pensare che possa giocare una partita anonima.
Al primo giallo Pierluigi Pardo mi poggia una mano sulla spalla, non è diffidato e non salterà il ritorno. Ma serve davvero un giocatore che sbaglia tutti questi appoggi? Che perde un discreto numero di palloni e che si muove in una dimensione diversa rispetto a quella della sua squadra?
Fernando in questa gara è l’ancora che tiene l’Atletico attraccato alla sua epoca da semi-perdente, quando il Cholismo era in campo e la squadra non era la macchina di fiato e guerrieri dei nostri tempi. È incastrato li, al centro del ring: alle sue spalle i suoi compagni, molti dei quali troppo più giovani ed esplosivi di lui, tanto da metterlo quasi in imbarazzo. Forse, se potesse, chiederebbe scusa a tutti per essere invecchiato.
Dall’altra parte ci sono i colleghi spagnoli, quelli del doppio Europeo e del Mondiale. Colleghi, ma fino a un certo punto.
Lo spartitraffico generazionale ha le lentiggini e una fascetta tra i capelli comprata negli anni 90/00 e gioca una mezz’ora anonima.
Poi Koke si stacca, taglia in diagonale e alza un pallone dolcissimo. Fernando trivella la coppia di centrali e la gira in rete, naturalmente, alle spalle di Ter Stegen.
Così facile, come mettere le ciabatte.

Un tocco

Serviranno quelle per la doccia anticipata.
Un cartellino rosso, gli occhi del torero si infiammano, la nebulosa storia di un vincente eternamente giovane si arricchisce di un altro capitolo e magari l’Atletico saprà gestire la sua eredità, con un gol che potrebbe scrivere la storia di questa stagione e una espulsione che potrebbe macchiare una vita intera.

Ma siamo già troppo oltre, è fine primo tempo e sono già in ritardo anche se questa serata di coppe europee, per me, non ha forse più nulla da dire.

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