Football Horror Story
Illustrazione di Andrea Chronopoulos
“Tutto quello che devo fare è lanciare alcune conchiglie per entrare in contatto con lo spirito del campo di gioco: la nostra porta sarà come blindata mentre quella avversaria sarà spalancata. Oppure, all’improvviso, trasformerò il pallone in un grosso sasso o in un altro oggetto spaventoso.”
Aliyu Mbenkem ne è convinto. Abita a tre ore da Yaoundé ed è certo dei propri poteri soprannaturali. Come moltissimi stregoni africani, si ritiene in grado di influenzare, con invidiabile arte, lo sport più amato del continente.
Il documentario tedesco Kick the Lion — Football and Magic in Africa, realizzato poco prima della Coppa del Mondo sudafricana, sentenziò che, proprio come in Europa ogni squadra ha alle sue dipendenze uno o più fisioterapisti, in Africa ogni squadra tende ad ingaggiare uno o più stregoni.
Aliyu Mbenkem ha abilità eccezionali, per sua stessa ammissione.
A più di quattro anni di distanza da quel Mondiale, due calciatori africani di successo si sono trovati al centro di vicende di cronaca dalle sfumature inquietanti.
A fine settembre, Gyan Asamoah è stato accusato di aver trafugato i corpi del rapper Castro e di sua moglie Janet. Il capitano del Ghana ha dovuto smentire di aver utilizzato i corpi dei due, con i quali era in vacanza al mare, per un sacrificio umano che avrebbe agevolato la sua carriera.
Solo due mesi dopo, Gilles Yapi Yapo — 46 presenze con la Costa d’Avorio — ha confessato che la sua compagna e la fede cristiana lo stanno aiutando a liberarsi finalmente dai pensieri di suicidio e dalle spire dell’occulto.
Il centrocampista dello Zurigo, attualmente in ripresa dopo un gravissimo infortunio, era diventato schiavo del sesso e della pornografia. Profondamente depresso e pieno di debiti, fu introdotto da un suo amico in un vortice interminabile di pratiche oscure.
Ad un certo punto, gli era stata prospettata un’unica, terribile via d’uscita: il sacrificio del suo figlio primogenito.
I due episodi citati sono forse legati solo incidentalmente al mondo del calcio. Ma possono comunque servire a ricordarci che il pallone, soprattutto a certe latitudini, può essere ricettacolo di pulsioni macabre e irrazionali che sembrano discendere da un altro mondo, da un’altra epoca. Un’epoca in cui il calcio non era ancora il calcio, e parecchio sangue veniva versato nei pressi di un oggetto rotolante.
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La video-confessione di Gilles Yapi Yapo, drammaticamente autentica.
I palloni dei Maya, ad esempio, erano in caucciù e grossi pressappoco quanto teschi. Andres Campomar, nel suo viaggio alle origini del calcio latinoamericano, racconta di tlachtli e ulama, giochi enormemente popolari in tutta l’America centrale di tremila anni fa.
Gli Olmechi (il “popolo della gomma”) potrebbero essere stati i primi a praticare un gioco in cui l’obiettivo era rimandare la palla con le anche nella metà campo avversaria. In alcuni casi l’oggetto sferico — che pesava 3–4 kg e riproduceva il misterioso movimento del sole nel cielo — doveva passare attraverso anelli di pietra posti in verticale.
Una sorta di pallavolo ante litteram di cui ci restano solo qualche testimonianza scritta dei conquistadores e, soprattutto, alcuni imponenti campi da gioco in pietra. Erano centinaia prima dello sbarco poco amichevole di Hernan Cortes e dei suoi.
Nel periodo di massima diffusione del gioco, circa 16000 palloni in caucciù partivano annualmente dalle province agricole verso Tenochtitlán.
Le partite più importanti erano riti partecipati, eventi religiosi, espedienti per risolvere un conflitto senza arrivare a una vera guerra.
Non che ci fosse molto di pacifico nel gioco della palla: alcuni lividi richiedevano di essere aperti con un coltello, e non di rado alcuni giocatori rimanevano uccisi dopo essere stati colpiti in punti vitali.
Altre volte le partite si concludevano con cruenti sacrifici umani.
Alcuni prigionieri di guerra, ad esempio, venivano sacrificati in seguito ad una sconfitta in una partita rituale (e pilotata).
Ma anche al capitano della squadra vincente poteva capitare simile sorte: il sacrificio dopo una vittoria era visto come l’inizio del percorso verso la divinizzazione.
Alcuni studiosi ipotizzano che in alcuni casi le teste mozzate venissero utilizzate in luogo dei palloni in caucciù. D’altra parte in una delle leggende più note del Popol Vuh (il libro della comunità, lo stesso che ha ispirato le fantasiose teorie sulla fine del mondo nel 2012), era successo al dio del sole in persona di essere decapitato dagli dei della morte. Questi ultimi giocarono a palla con la sua testa, prima di essere sconfitti per sempre.
Il campo da gioco di Monte Alban, nello stato messicano di Oaxaca.
Mentre gli spagnoli si dilettano nel radere al suolo i campi da gioco Maya, nell’altro emisfero la giovane Anne Gunter vomita chiodi in seguito a crampi e contrazioni indicibili.
1604, North Moreton, Berkshire, Inghilterra, patria del football moderno. Alcuni dottori giunti dalla vicina Oxford informano la famiglia di Anne che la loro ragazza soffre a causa di qualcosa di soprannaturale.
E’ probabilmente posseduta, e tre donne vengono accusate di averle lanciato un incantesimo.
Una delle streghe è tale Elizabeth Gregory, una donzella con una pessima reputazione in paese. Il processo — raccontato da James Sharpe nel romanzo The Bewitching of Anne Gunter — coinvolge addirittura re Giacomo ed è un incredibile susseguirsi di colpi di scena che rendono bene l’idea di quanto fossero ramificate le implicazioni della stregoneria nella società inglese dell’epoca.
Durante il dibattimento, viene fuori che i rapporti tra i Gunter e i Gregory si erano incrinati molto tempo prima. Per la precisione, da quando Brian — padre di Anne — aveva ferito fatalmente due membri della famiglia Gregory in seguito a una rissa. La rissa era scoppiata durante una partita di pallone.
Che tu sia maledetto, ignobile calciatore!
Il football, sempre il football, fonte originaria di terribili incantesimi.
(Spoiler alert: si scoprirà che era stato lo stesso Brian Gunter a obbligare sua figlia a simulare la demoniaca possessione. Ma tant’è.)
In quest’illustrazione del tardo Seicento, una strega inglese dà da mangiare ai suoi famigli, i demoni minori che fungevano da servitori.
Questo breve viaggio attraverso due luoghi-simbolo della nascita e diffusione del gioco con palla più famoso al mondo non può che ricondurci infine verso il continente che più di tutti gli altri l’ha elevato a credo e ragione di vita.
Ora, qui non si vuole tentare l’arduo esercizio storico e antropologico di collegare in qualche modo le pratiche Maya ad alcune storie del calcio africano moderno. Nemmeno vogliamo rapportare, a cuor leggero, la stregoneria dell’Inghilterra degli Stuart a quella dei colleghi del buon Aliyu Mbenkem.
C’è però un denominatore comune, ed è un gioco che continua a generare una serie di cronache esoteriche niente male. All’alba del 2015, sui giornali di sport capita di leggere notizie che sembrano giungerci direttamente da tremila anni fa.
Invece è attualità, e difficilmente può lasciare indifferenti.
I confini del calcio in Africa sono difficilmente distinguibili e sfondano, senza chiedere alcun permesso, quelli dell’occulto. Le pratiche magiche collegate al gioco sono varie e articolate; vanno dallo spargimento di sangue di maiali nello spogliatoio della squadra ospite fino alla sepoltura di una mucca viva di fronte alla porta avversaria.
L’uomo non può restare senza miracoli e se ne creerà egli stesso di propri, e si prosternerà davanti ad un mago, ad una fattucchiera, foss’egli anche cento volte ribelle, eretico e ateo.
Fëdor Dostoevskij, I fratelli Karamazov
Nel 2012 Goran Stevanovic, all’epoca ct del Ghana, attribuì il mancato successo in Coppa d’Africa alle accuse reciproche di stregoneria che serpeggiavano nello spogliatoio.
Abedi Pelé, tre volte Pallone d’Oro africano, aveva già confermato che amuleti e incantesimi — sintetizzati con la parola juju, di origine Hausa — esistono da sempre nel calcio africano. “Mi è capitato più volte di ricevere cose particolari che dovevo bere o respirare in certi momenti.”
Se sei un’ala e non sei abbastanza veloce, è possibile che ti venga chiesto di sacrificare un volatile per acquisirne le doti; un calciatore sudafricano ha raccontato una volta di essere stato condotto in un bosco, con i suoi compagni di squadra, durante un momento particolarmente sfortunato della stagione. Dovettero spogliarsi tutti e attraversare, nudi, un nido di termiti. Le vittorie non si fecero attendere.
In Tanzania è successo invece che le squadre più importanti del Paese abbiano subito una pesante multa della federazione per aver ritardato il calcio d’inizio del loro scontro diretto: non c’era accordo su chi dovesse entrare in campo per primo.
Un po’ più ad ovest, il Congo è stato teatro dell’incredibile vicenda del fulmine che uccise tutti i componenti della squadra ospite durante una partita del torneo provinciale. “Gli atleti del Basanga (la squadra di casa) sono rimasti curiosamente illesi dopo questa catastrofe”, chiosava il reporter di Kinshasa.
Non abbiamo la prova che le partite di calcio possano essere vinte attraverso la sola stregoneria.
Botswana Sports Magazine
Cimiteri e morti sono altro leitmotiv, come in ogni storia horror che si rispetti. E’ pratica comune, per alcune squadre africane, quella di andare in ritiro in un cimitero la notte prima di una partita importante. Contemporaneamente, alcuni addetti noleggiano salme dall’obitorio locale e le trasportano allo stadio per ‘pulire’ il campo e diluire i poteri dello stregone avversario.
Brividi a buon mercato e folklore da quattro soldi, direte.
Dopotutto nessuno ha mai creduto che la tendinite pre-mondiale di Cristiano Ronaldo fosse stata realmente provocata da Kwaku Bonsam e dal suo filtro prodotto usando cani, polveri e foglie. Oppure che le bambole voodoo dello sciamano di Rio — in alcune zone del Brasile la magia nera di origine africana è molto diffusa — abbiano turbato Thomas Muller prima della semifinale mondiale di qualche mese fa.
Queste storie bizzarre, tuttavia, in alcuni casi salgono di livello e assurgono al rango di cronaca nera.
Nel 2008, durante il derby congolese contro il Socozaki, il portiere del Nyuki avanzò d’un tratto verso il centro del campo e tentò di lanciare un incantesimo per far svoltare la partita. La sua squadra era in svantaggio. Scoppiò una rissa e il poliziotto che cercò di intervenire venne colpito da pietre provenienti dagli spalti. I lacrimogeni lanciati sul pubblico causarono una fuga di massa. Molti rimasero intrappolati, altri asfissiati. Il bilancio alla fine fu di 13 morti (quasi tutti bambini) e 36 feriti gravi.
Roger Milla, intervistato sul tema, una volta ha dichiarato: “Secondo me la magia, nel calcio, non può esistere. La prova è il Camerun. Non è la nazione più forte del mondo nella magia, ma gioca meglio a calcio di paesi in cui la magia è forte come Benin, Togo o Nigeria.”
Come spiegato dall’antropologo olandese Arnold Pannenborg, l’idea è che la competizione tra gli uomini sia lo specchio del combattimento tra forze soprannaturali; è una convinzione che persiste in Africa dall’epoca precoloniale. La partita non è altro che la realizzazione pratica della “guerra” che gli stregoni hanno portato avanti durante la settimana, di pari passo con la preparazione atletica della squadra. Il juju è una partita dentro la partita.
Poi ci sono le storie di quelli come Gyan e Yapi Yapo. La magia non serve solo a vincere partite, ma anche a migliorare la propria salute e ad avere successo nella vita. Diventare calciatori professionisti o entrare nel giro della Nazionale costa ovviamente di più. Molto di più.
Un calciatore camerunese, rimasto anonimo, ha raccontato a Pannenborg che per ottenere dei poteri soprannaturali alcuni stregoni chiedono tanti soldi. Altri esigono espressamente il sacrificio di una persona amata, con cui si abbia un legame di sangue.
“Possono anche chiedere il sacrificio di tua madre o di tuo figlio. Conosco un carpentiere che è diventato improvvisamente ricco, giusto due o tre settimane dopo la scomparsa di sua madre. Oppure, prendete il capitano dell’Olympique de Buea: è arrivato al top in pochissimo tempo, pur essendo un fumatore e avendo abitudini malsane. Chi può escludere che questo processo non sia legato al sacrificio di un suo caro?”
Per la maggior parte dei calciatori africani, la stregoneria è poco più che una forma di superstizione.
Simon Kuper, Football Against the Enemy
Qualcuno potrebbe farci notare che pure il calcio occidentale, ricco e scientifico, elargisce a piene mani piccoli grandi rituali scaramantici. Il più delle volte li troviamo colorati e simpatici. Ma possiamo, anche solo provocatoriamente, accostare juju e analoghe pratiche pseudo-religiose a manifestazioni à la Trapattoni o agli oroscopi di Liedholm? Sembra un parallelo alquanto faticoso.
Né tantomeno si può derubricare a superstizione il sentire di atleti che ripongono nella fede il fondamento della propria missione sportiva. Dopotutto, un gesto atletico ben eseguito resta una delle prove meno confutabili dell’esistenza di un principio di bellezza che trascende la nostra corporeità. Non possiamo negare, in definitiva, che lo sport sia capace di trasportarci in una dimensione sensoriale altra.
Ma la stregoneria è qualcosa di completamente diverso. Riporta a barbarie ancestrali e a costumi medievali verso i quali nessuno nutre alcun tipo di nostalgia. Banalmente, si tratta di qualcosa di più che deleterio in contesti già di per sé complicati come quello africano (o come quello iraniano, per dire).
Alcuni studiosi sostengono che tutto quello che è noto come juju sia una reminiscenza del passato, destinata a scomparire grazie al lavorio di forze di modernizzazione che — lente ma inesorabili — agiscono nella società africana. Altri, come Peter Geschiere (Università di Amsterdam), ritengono vero il contrario: stregonerie, sortilegi e magie prosperano in molte zone dell’Africa moderna. E stridono con il faticoso processo di crescita che il continente sta finalmente mettendo in moto.
Numerosi blogger e giornalisti sportivi africani portano avanti, da anni e con scarsi risultati, una battaglia culturale contro il proliferare della stregoneria nel calcio. Il loro punto di partenza è un punto interrogativo: se davvero queste pratiche funzionano, perché una nazione africana non ha mai vinto la Coppa del Mondo?
Investiamo in strutture sportive piuttosto che in santoni, dicono.
Difficile dargli torto. Il portiere che fa magie in campo può avere una sola sfumatura semantica: è semplicemente uno che respinge, con invidiabile arte, moderni palloni in caucciù grossi pressappoco quanto teschi.
E poi Herrera le chiese se secondo lei la magia di quel nero che giocava in una squadra francese fosse efficace. No, disse Liza Do Elisa. Era pazzo. Come avrebbe potuto essere efficace? E Herrera disse: e allora perché i suoi compagni cominciarono a giocare meglio? Perché erano buoni giocatori, disse la brasiliana.
Roberto Bolaño, Buba
Dopo il record giallorosso delle dieci vittorie consecutive, nella stagione scorsa Claudio Lotito parlò di maghi in servizio a Trigoria. James Pallotta su Twitter replicò così: “Hanno svelato il nostro segreto: abbiamo 5 maghi, 4 stregoni, 3 veggenti, 2 ciarlatani e 1 giullare di corte.”