Formula Futuro

Gabriele Anello
Crampi Sportivi
Published in
7 min readOct 20, 2017

La Formula 1 ha un nuovo proprietario, nuovi eroi ed è pronta forse a una grossa fase di transizione dal 2018 in poi. Button ha salutato, Massa potrebbe a fine stagione, mentre Alonso e Räikkönen hanno forse un altro anno — se non due nel caso dello spagnolo — nella faretra. Con Hamilton e Vettel che hanno già scavallato i 30, di sicuro si aprirà spazio per nuovi volti, per un passaggio di consegne.

Sarebbe ancora più facile che questo avvenga con un numero maggiore di macchine in griglia. Ahimè, la Formula 1 non vede nuovi ingressi dal 2010 — se escludiamo l’arrivo del team Haas –, cioè l’anno in cui la HRT, la Lotus e la Virgin decisero di tentare l’avventura nella categoria. Un’avventura costosa e poco fruttifera, che però ci ha restituito una griglia a 24 macchine, con tanto spazio per molti piloti.

E mentre in Formula E entrano diversi costruttori (Mercedes e Porsche si sono già impegnate a darci dentro nel prossimo futuro), bisogna trovare delle soluzioni per favorire lo stesso fenomeno in Formula 1. Magari lasciare l’ibrido, dando spazio ai vecchi motori, meno costosi e più rombanti, nonché appoggiarsi all’idea di spettacolo di Liberty Media, che ben vedrebbe l’ingresso di nuovi protagonisti.

In un pezzo dell’anno scorso — in cui abbiamo immaginato (con molta fantasia) la nuova griglia per il 2017 –, Audi e Aston Martin già figuravano come possibili alternative. Ma i nuovi team in Formula 1 potrebbero essere molteplici, nella speranza di tornare (almeno) alla situazione del 2012: 24 macchine, 12 scuderie e diverse battaglie.

Per il 2018 sembra già tardi. Ma per il 2019, qualcuno potrebbe lavorare dietro le quinte (e qualcuno punta al 2021, ma solo da motorista). A Crampi Sportivi abbiamo pensato a cinque alternative per rimpolpare la griglia.

Il ritorno — Alfa Romeo

Siamo sicuri che sia troppo lontano dalla realtà? Delle grandi scuderie, la Ferrari sembra l’unica a non avere un vero team-B, visto che la Mercedes domina la categoria anche a livello di mercato (grazie ai suoi ottimi motori) e la Red Bull si è tutelata ormai un decennio fa con la nascita della Toro Rosso. La Ferrari, invece, manca di questa struttura (sta provando a rimediare con la Sauber per il 2018): Montezemolo propose di correre con tre macchine, dimenticandosi che è meglio avere una seconda scuderia a questo punto.

Inoltre, il ritorno dell’Alfa Romeo sarebbe una bella notizia per i nostalgici della categoria. La casa natia di Milano ha corso 110 GP in Formula 1, vincendo due titoli prima con Giuseppe Farina (detto “Nino”), poi con l’immortale Juan Manuel Fangio. 10 vittorie e 26 podi, con l’ultima uscita nel 1985 — dopo un periodo nel quale aveva fatto solo da fornitore dei motori tra il ’61 e il ’79.

Un ritorno sarebbe augurabile anche per lavare l’onta subita da quell’ultima esperienza in Formula 1: in un’intervista di 15 anni più tardi, Riccardo Patrese definì l’Alfa Romeo 185T — proprio quella del 1985 — «la peggiore macchina che abbia mai guidato». Per altro, Sergio Marchione non ha escluso che l’Alfa si riaffacci veramente alla F1.

Sarebbe un bel vedere. Vuoi mettere Leclerc in Alfa Romeo con l’attuale Sauber?

Una seconda chance — Jaguar

Teoricamente anche la Jaguar tornerebbe nella categoria, ma la prima partecipazione — durata dal 2000 al 2004, che vede all’attivo due podi (a firma Eddie Irvine in quel di Monaco ‘01 e Monza ‘02) — non è stata delle più gloriose. E dire che il nord-irlandese nel ’99 rinunciò alla convivenza con Schumacher per gettarsi in questa nuova avventura e si scottò, come già successo l’anno prima al binomio Villeneuve-BAR.

Basata in Milton Keynes, in realtà la Jaguar non era altro che l’ex Stewart, che così bene aveva fatto nei suoi ultimi anni di esistenza (vinse persino un GP d’Europa con entrambi i piloti a podio!). La Ford ha spinto quell’operazione in nome del marketing, ma il rebranding ha portato con sé l’uso comunque di motori Cosworth, senza che l’ingegneria Jaguar venisse realmente coinvolta.

I risultati modesti hanno poi portato all’addio nel 2004, quando la Ford non ha visto grossi ritorni economici e ha passato tutto all’attuale Red Bull Racing. Tuttavia, recentemente la Jaguar si è rifatta viva in Formula E, con tanto di campagna pubblicitaria con uno dei membri dei Gorillaz come testimonial. Tutto in nome dell’elettrico: chissà che non ci possa essere un nuovo stint in Formula 1 una volta che i costi si abbasseranno.

Nel 2002 fecero testare la macchina a Niki Lauda, nel frattempo entrato nello staff del team.

La tradizione — Dallara

La Dallara è una grandissima industria nel mondo del motorsport, già pesantemente coinvolta in varie categorie: Formula 3 più telaio per IndyCar, Formula 2, GP3, SuperFormula, la stessa Formula E… e la lista potrebbe andare avanti per altri venti minuti. Anzi, negli ultimi anni le attività ingegneristiche della casa italiana sono incrementate e forse nemmeno Gian Paolo Dallara — il suo fondatore — avrebbe sperato in così tanto successo.

Tuttavia, nonostante la situazione sia piuttosto florida, la Formula 1 è stata solo sfiorata da Dallara. Diventato costruttore collaborando con la BMS Scuderia Italia nel 1988, il nucleo lavorativo è durato fino al ’92: i due terzi posti di de Cesaris e JJ Lehto rispettivamente a Canada ’89 e San Marino ’91 sono il massimo raggiunto da quella scuderia. Si è parlato spesso di un ritorno, che però non si è mai effettivamente concretizzato.

La Dallara ha nell’ordine:

  • testato il telaio per la Honda nel ’99, in un arrivo nella categoria mai messo a punto;
  • collaborato con la Midland — che aveva comprato la base e le strutture della Jordan –, senza però costruire un telaio per il team;
  • costruito le macchine per l’HRT, senza trovare un vero accordo a causa di pagamenti ritardati e delle discordanze sulla qualità del telaio fornito al team spagnolo;
  • progettato la macchina per la Haas sia nel 2016 che nel 2017.

A quando, però, l’effettivo ritorno, con una propria macchina?

La suggestione — Apple Racing F1

Cos’era la Red Bull all’inizio negli anni ’90? Una bevanda semi-sconosciuta. All’epoca, l’imprenditore austriaco Dietrich Mateschitz — reduce da un’esperienza lavorativa nel costruttore tedesco Blendax — si associò con Chaleo Yoovidhya, proprietario della TC Pharmaceutical. Quest’ultimo era cresciuto nel centro del paese ed era nato da una famiglia di origini cinesi, costruendosi una carriera a Bangkok come rappresentante farmaceutico e poi fondando la sua compagnia negli anni ’60.

Quest’incontro magico è stato causato da una bevanda energetica, introdotta nel paese nel 1976 e rappresentata da un logo figuranti due bisonti indiani a contatto. La specie tipica del Sud-Est asiatico — chiamata krathing — ha dato origine alla Krating Daeng, la bevanda di cui sopra. Mateschitz scoprì che la bevanda gli curava l’effetto dato dal jet lag e si mise in affari con Yoovidhya, creando la “Red Bull”. Da lì, il resto è storia.

Ma se di Mateschitz sapete tutto o quasi, vi basti ricordare questo: al momento della sua morte nel marzo 2012, all’età di 88 anni, Chaleo Yoovidhya — figlio di un emigrante povero dalla zona del Hainan, la regione più meridionale della Cina — era il terzo uomo più ricco della crescente economia thailandese, con un patrimonio da cinque miliardi di dollari.

«Ti mette le aaaaaaliiiii».

Oggi la Red Bull ha diverse squadre di calcio (una gioca in Champions League e tre anni fa era in terza divisione tedesca), ma soprattutto un patrimonio enorme e un team di Formula 1 che ha fatto la storia recente di questa categoria. E che probabilmente continuerà a farla, vista la lungimiranza in alcune scelte: in fondo, non ti capitano per caso tra le mani quattro Mondiali, Adrian Newey e la coppia Ricciardo-Verstappen.

Ci sono altre aziende che potrebbero tentare un salto del genere? Ci sono, ma nascondersi nel mercato odierno è impossibile. E se la voglia di Formula 1 in America non si traducesse nel Haas F1 Team, bensì in una scuderia foraggiata pesantemente da uno sponsor eccellente, che tutto il mondo conosce e che ha un brand ormai ben identificato?

La Apple avrebbe queste caratteristiche. Con un fatturato da 215 miliardi di dollari e Liberty Media a gestire il circus, sarebbe il partner ideale. Vuoi mettere Fernando Alonso con un iPod a fare da testimonial e a godersi gli ultimi due anni della sua carriera in California? Sarebbe l’ideale, magari accostandolo a un giovane pilota statunitense, dimostrando che sognare è possibile.

Prove già fatte sugli accostamenti cromatici.

La sorpresa (ma neanche troppo) — China F1 Racing Team Limited

Se n’è parlato. Già, perché dopo il calcio, non è detto che la Cina non voglia prendersi la Formula 1. In fondo, c’è già il circuito di Shanghai. La grossa crescita “verde” del paese asiatico spingerebbe la Cina verso la Formula E, ma l’eco della categoria principe è abnorme. Lo sanno e allora ecco che è spuntata la suggestione “China F1 Racing Team Limited”.

A domanda precisa, il capo della Fia Jean Todt ha ignorato l’argomento e non si è fatto troppe illusioni (la storia è piena di team che non sono nemmeno scesi in griglia dopo grandi proclami). Eppure la voce sparsa nei paddock segnala addirittura come gli ex tecnici della Manor siano pronti a salire a bordo. E c’è già stato un pilota cinese in Formula E, quel Ma Qinghua che ha corso qualche gara con il Team Aguri.

In un delirio d’onnipotenza del Sud-Est asiatico, potremmo persino rivedere Rio Haryanto. Chi lo sa.

Per il 2018, è tutto impossibile. Ma per il 2019 vedremo qualcuno del circus trasferirsi in Cina? Potrebbe esser possibile. E sarebbe bello avere nuove facce sulla griglia.

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Gabriele Anello
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Ha il passaporto italiano, ma il cuore giapponese | RB Leipzig, J. League Regista, Calcio da Dietro | fmr. Ganassa, DAZN, MondoFutbol.com, Crampi Sportivi